SIMONE BIUNDO
Valle Gesso
settembre 2018-1943
Il bianco e il nero non sono due colori
ma forme che dilungano il rumore delle acque,
lo espandono, divagandolo, sulle rocce della valle.
Qui leggiamo nomi che pensiamo d’altri,
stampati o incisi, e che non perdono
polvere o colore ma lo acquistano
negli strappi del vento che ci allaccia
e che ci accoglie.
Un calabrone ronza, insiste. L’eco del torrente esala dalla forra.
Erano in tanti. Erano in tanti che scendevano
dai passi. Sfuggiti dal fronte orientale
e ora occidentale, profughi dalla zona
abbandonata dai reparti della IV Armata
del Regio Esercito Italiano. Seicento
ebrei d’Europa in fila sulle carrarecce dirupate,
per i contrafforti delle rocce, per i rivoli
dei ghiacci, in tornanti e in traversi, per le frane
innevate dei valloni, tutti in fuga dal nazismo.
Scappavano in silenzio, come selvaggina. Dal Belgio
alla Croazia, dalla Polonia alla Germania, e ora da S. Martin Vésubie
a Entracque, da S. Martin Vésubie a Valdieri,
sui colli di Finestra e di Ciriegia: piegati sotto i ghiacci bianchi del Gelàs.
La turba nera in rotta li vuole morti. Arrivarono
il decimo giorno dopo l’armistizio. Carnefici. Armati. Casa
per casa. 349 catturati, poi internati
nell’ex caserma di Borgo San Dalmazzo, nuovo campo di concentramento.
Da qui, il 21 novembre, deportati ad Auschwitz.
Di questi, 331 i morti. 18 i sopravvissuti.
Leggo in un cartello corroso.
Come dico a scuola, dagli agenti atmosferici.
Per la prima volta penso ai morti della valle. La terra mi si secca nella gola.
Gli atti, i calchi, e l’ombra delle rupi. Nessuno
è mai stato incolpevole. Perseguire i propri scopi
con mezzi idonei e chi sbaglia paga, ho ascoltato in un video.
Ma basta? È umano? Il calabrone
dà un brivido, vortica, vola via. Il sole
è al tramonto dietro il Gelàs. Ci giriamo. Torniamo all’albergo.
***
Monte Labbro
la rosa canina
è a guardia del sagrato.
Non vuole che si guardi
dietro il suo rossore
***
L’albero
C’è un albero di uomini
che sembra affondare
le radici in cielo,
è come
un baobab
che contiene fino a 120
mila litri d’acqua
e sangue
nel suo tronco.
È l’albero al contrario
e chi lo cura è un Verbo
impersonale –
piove.
Simone Biundo è nato a Genova il 16 giugno del 1990. Insegnante di lettere a Genova in una Scuola secondaria di primo grado, è editor della rivista «VP Plus», il quindicinale online dell’Università Cattolica di cui è anche SMM. Ricercatore di storia dell’editoria e critica letteraria ha pubblicato “Un altro acquario: Vanni Scheiwiller consulente letterario” e “L’immagine non contaminabile della poesia»: Biagio Marin”.Nel 2020 uscirà la sua traduzione di una selezione di testi del poeta marsigliese Louis Brauquier nel volume “Approdi. Vivremo fino al mattino” curato con Paola Fossa, traduttrice e insegnante all’Università di Mulhouse, per Festa mobile. Con il poeta Damiano Sinfonico, l’attrice e linguista Sara Sorrentino cura la rassegna di poesia contemporanea ,poet. – alla libreria Falso Demetrio. Fa parte di Gruppo Limpido, laboratorio di teatro e libera espressione. Alcune sue poesie sono uscite su «Neutopia» e «L’Altrove».
(La foto è dell’autore)