FELICE BACCHIARELLO
Venusberg (Seconda parte)
Negli ultimi tempi, come ho già accennato, furono molto frequenti i bombardamenti, per cui non ci era più nemmeno possibile svestirci, per essere più pronti a fuggire.
In certe occasioni ho passato momenti talmente spaventosi da correre il rischio di impazzire. In uno di tali bombardamenti, infatti, fu tanto il terrore, che parecchi morirono proprio di spavento, fra cui alcuni di quei bambini.
Si era, mi pare, a fine febbraio od all’inizio di marzo; erano le 22 circa ed era stato dato il segnale d’allarme, il tempo piovigginoso rendeva le tenebre fitte a tal punto da dover camminare tastoni, inciampando continuamente nella precipitosa fuga dal Lager in uomini ruzzolati a terra ovvero cozzando in qualunque ostacolo si presentava dinanzi, facendo così ad ogni momento tombole tali da rompersi l’osso del collo. A Dresda, si sentiva il lugubre rumore di un impotente massa di fortezze volanti, coperto dal susseguirsi intermittente degli scoppi delle bombe lanciate sulla città.
Dopo pochi minuti il rumore si sentì più distinto, più vicino e le scurissime tenebre, all’arrivo dei primi ricognitori, furono illuminate a tal punto che sarebbe stato possibile leggere distintamente, come in pieno giorno la luce del sole, dagli orrendi ed impressionanti “bengala” lanciati dal cielo.
Allora, impazziti dal terrore che la scena incuteva, si videro migliaia di uomini correre all’impazzata come forsennati in aperta campagna, presaghi di quanto stava sopravvenendo. Si urlava, si piangeva, si impazziva per la disperazione e per lo spavento, impossibilitati a trovare un riparo in simile inferno, che non so descrivere e perché credo che chi non abbia con i propri occhi veduto ed udito non ne possa comprendere la portata.
Mentre i “bengala” stavano come sospesi nel cielo, a guisa di soli, ad illuminare la scena del macabro teatro, sempre più distinti si sentivano e più frequenti, gli scoppi delle bombe sulle città e paesi antistanti. Nel giro di pochi minuti il rumore divenne assordante, ripercuotendosi nei nostri cuori, che battevano a martello, fino a rischio di scoppiare.
Schierati su di una linea di fronte, a centinaia e forse a migliaia, mentre noi sempre si correva come se si avesse voluto vincere la corsa con quei mostri volanti, a non più di 500 metri sopra di noi, al punto di vederli distintamente, quasi nella grandezza naturale, arrivarono nella zona vomitando fuoco da ogni parte. Ogni apparecchio, oltreché le normali bombe, aperti gli sportelli lasciava cadere centinaia e centinaia di spezzoni incendiari, i quali a contatto con l’aria si accendevano illuminando maggiormente il cielo dei più sinistri e multicolori bagliori, la cui viva impressione rimarrà indelebile nella mia mente. Era un fuoco lento, cadente dal cielo, che prendeva le più svariate colorazioni via via assunte dal fosforo, di cui erano formati gli spezzoni: verdastro, turchino, azzurro chiaro, rosso vivo; in poche parole ci si immagini un globo incandescente multicolore avanzare nel cielo verso di noi senza pietà. La fine del mondo! Le bombe si succedevano le una dalle altre con sinistri ululati nel loro percorso nel cielo, andandosi ad infrangere qua e là con spaventosi scoppi da schiantare il cuore e il cervello.
Ero solo; mio fratello in tale occasione era di turno in fabbrica, così si era in ansia a vicenda. Fortuna volle che il lancio degli spezzoni fosse interrotto per poco, proprio sopra il piano da noi occupato. Si era in qualche migliaio e Dio solo sa quale strage sarebbe avvenuta. Per circa un’ora si visse in simile stato, per tutto il tempo cioè che durò il passaggio, ad ondate successive, degli aerei sopra di noi. Ovunque ardevano immensi roghi: case, fabbriche, paesi interi bruciavano, di modo che la notte continuò a essere illuminata dalle fiamme.
La località a noi circostante era costituita, come del resto buona parte della Alta Sassonia, di immense e secolari pinete, abbondanti di vetusto legname secco, cadente dalle piante mai tocche dall’uomo, motivo per cui fu battuta la zona a tappeto con gli spezzoni incendiari.
Buon per noi che i Tomies d’Inghilterra ed i Gangsters d’America, anziché una notte asciutta avevano trovato la pioggia, altrimenti sarebbe stato un rogo di vite umane, sarebbe stato inevitabile morire in mezzo alle fiamme. Chi avrebbe trovato scampo se tutte quelle immense foreste avessero preso fuoco, come era intendimento degli operatori di quella notte?
Alcune nostre baracche adibite a magazzini bruciarono così pure qualche baracca per le donne russe.
Per nessun prezzo al mondo vorrei tornare alla vigilia di quella famosa notte e nemmeno lo augurerei al più vile mortale.
Cessato il rombo dei motori, tornata alquanto la calma, rimase nell’aria un terribile puzzo di fosforo bruciato di stracci carbonizzati e di tutto quel po’ di roba che all’intorno ardeva in mezzo alle fiamme. Il cessato allarme non si udì più perché tutti gli impianti erano stati distrutti.
Prima di rientrare nel Lager, corsi presso lo stabilimento in cerca di mio fratello, a vedere che ne fosse stato, poiché in quella località l’attacco era stato più violento e completo. Seppi che era già rientrato al Lager in cerca di me. Lo trovai al rientro. Si era muti; ancora fuori di noi stessi per lo spavento, con nelle orecchie il frastuono assordante e negli occhi la visione del fuoco cadente dal cielo.
Mai altro bombardamento diurno o notturno, senza però il lancio a tappeto degli spezzoni, mi aveva così impressionato e lasciato fuori di me stesso.
A morire si era rassegnati, in tutte le occasioni e a qualunque ora, ma a simile spettacolo non si era preparati e, dico veramente, che fu qualcosa di inverosimilmente impressionante e spaventoso.
Se Iddio dovesse sterminare il mondo con il fuoco, dico sinceramente che preferisco morire prima, per non godermi lo spettacolo finale, senza invidiare affatto coloro che avessero la ventura di trovarcisi.
Al buio, silenziosi come tanti fantasmi barcollanti nell’enorme fabbricato che ci ospitava, cercammo la cuccia sperando di dormire almeno tranquilli le poche ore rimanenti. La pioggia della sera, dopo la mezzanotte, andò trasformandosi in neve cadente a larghe falde. Così almeno trovammo il tempo, allorquando, per la seconda volta nella stessa notte, verso le tre mattutine, dovemmo, senza essere chiamati due volte, uscire a rivivere dal più al meno le stesse peripezie ed a ricevere le identiche impressioni del precedente attacco. Questa volta ero con mio fratello. Poco mancò fossimo accoppati dallo scoppio di una bomba a circa un centinaio di metri da noi. Molte schegge ci sorvolarono infrangendosi con suoni squillanti nella parete rocciosa alle nostre spalle. Sentita la bomba sibilare spaventosamente nella discesa, intuito il pericolo ci cacciammo bocconi a terra al riparo dietro due massi.
Non si sperava più in nulla; si attendeva…
Lo scoppio avvenne talmente vicino e così poderoso che le nostre teste batterono violentemente insieme mentre i corpi furono sollevati da terra.
Ci si era diretti proprio nel posto dove cadde la bomba e sarebbe stato sufficiente un minuto di anticipo da parte nostra o di ritardo da parte della bomba, che saremmo stati colpiti in pieno.
Proprio vero che per ognuno di noi è scritto un destino. Dico la sincera verità: in quella notte non speravo più di vedere la luce del giorno seguente.
Non sto a rievocare più altri casi di bombardamenti e mitragliamenti, essendo questa una cosa troppo spaventosa, anche se conclusa.
Ho voluto rievocare i due di cui sopra, perché impressi nella mia mente per lo spavento provato al nuovo tipo di bombardamento e di incursioni a fuoco cadente; sistema forse usato poche volte, ma molto efficace per fare impazzire dallo spavento intere regioni.
Nella stessa notte, fu in simil modo battuta tutta quanta la Sassonia fino a Dresda, che fu in tale occasione quasi totalmente distrutta.
Dresda, la stessa notte, ebbe pure a subire un altro attacco aereo dell’aviazione russa, essendo nel raggio d’azione nell’esercito russo cioè a 50 km dalla linea nemica (i Russi effettuavano incursioni solo a 50 km avanti le loro linee). In questo modo di guerreggiare furono più leali di qualunque altro popolo.
Da ogni altra parte il cerchio si stringeva attorno alle ormai stremate forse alemanne; la Germania era stata quasi tutta occupata. Rimaneva libera poco più della Sassonia, cioè la zona meno accessibile.
Tutte le forze rimanenti dell’esercito tedesco, ormai ridotto ai minimi termini, si erano rifugiate in tale zona. Per notti e giorni spararono le artiglierie pesanti appostate intorno a noi, mentre gli attacchi aerei angloamericani concentrarono ivi tutte le forze aeree necessarie ad annientare la resistenza avversaria.
(Continua)
La foto è tratta da: https://www.gedenkstaette-flossenbuerg.de/geschichte/aussenlager/aussenlager/venusberg/
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