GIANCARLO BARONI
Spesso mi capita di iniziare a leggere le note critiche di un libro di versi e di interrompere subito la loro lettura per riprenderla alla fine. Nel volume di Alfredo Rienzi intitolato Partenze e promesse. Presagi, appena pubblicato dall’editore “puntoacapo”, è invece indispensabile partire, per capire e apprezzare pienamente le pagine che ci attendono, dalla “Prefazione” di Dario Capello e dalla “Postfazione” di Ivan Fedeli.
Scrive Capello: “La poesia di Rienzi si è sempre mossa, o se si vuole, ha sempre tremato su un bilico, su una linea di confine…Da un lato l’ironia…dall’altra la stupefazione…L’ignoto è proprio ciò che la parola poetica di Rienzi cela e rivela. Una parola che rincorre l’ignoto, quella verità balenata, intuita insieme al suo contrario”. Gli fa esemplarmente eco Fedeli quando dice che il libro di Rienzi “viaggia con lo sguardo teso a un oltre che verrà, se verrà…il messaggio è kafkianamente latente…C’è l’attesa, allora di un senso”.Si tratta pertanto di testi critici estremamente pertinenti, che non divagano e che discutono del libro con competenza, partecipazione e precisione.
Concentriamoci adesso direttamente sui versi che per circa cento pagine ci accompagnano; una lettura allo stesso tempo interessante e affascinante.
Rienzi, che è nato nel 1959 e vive a Torino, ha al suo attivo diverse raccolte di poesie in parte confluite ne La parola postuma. Antologia e inediti. Ha inoltre pubblicato il volume di saggi Il qui e l’altrove nella poesia italiana moderna e contemporanea, titolo come vedremo fra breve particolarmente significativo. Ci troviamo insomma di fronte a uno scrittore di notevole esperienza; la sua scrittura è colta ma non erudita, raffinata, intensa, suggestiva, allusiva, contemporaneamente antica e modernissima.
Sospeso tra il qui e l’altrove, il nuovo libro di Rienzi è indubbiamente dominato da una sensazione di attesa che implica uno smarrimento almeno temporaneo di orientamento e di senso: “due uccelli di specie ignota / volteggiarono / prima di sparire dietro il colle // sembrava un’attesa / ma non capivamo di cosa”. La realtà pare manifestarsi principalmente come traccia, orma (“orme intrecciate, un calpestio indecifrato”), sogno (“le cronache ingannevoli dei sogni”); è complicato scorgere, distinguere, svelare nitidamente la realtà quando il visibile e il nascosto si mescolano e si intrecciano fra loro: “Continuo (persevero) a guardare / senza vedere…”.
Aspettiamo spesso ciò che non può succedere (“attenderanno assieme / nel non accadere dell’evento”) o che forse non avverrà disattendendo e negando ogni eventuale promessa, profezia, rivelazione, presagio (“Resta il presagio, cupo e disperante”), speranza, illusione, pretesa. “La vita”, ricorda Rienzi, “accade in sé”, e inoltre le lacune della memoria generano dimenticanze e oblio (“Dimenticare / cancellerà il presagio?”).
Un tema forte della raccolta è quello della partenza e dell’addio, dell’abbandono e dei legami recisi, di presenze umane che si sottraggono alla vista o che compaiono misteriose e inattese rivelando la propria sofferenza (“…qualcuno geme / ha fame o forse nei piedi qualche taglio / o un vuoto troppo grande / per farsi parola”). Nelle poesie di questo genere prevalgono sentimenti di solidarietà, compassione, pietà, carità (“ogni lingua ogni cuore che non dica / carità, che non ripeta carità”), la necessità di opere di misericordia (“il cibo agli affamati, l’acqua agli assetati / la luce ai sotterrati”).
La poesia intitolata “Rifioriture” chiude Partenze e promesse. Presagi quasi come un’implorazione e forse anticipa una nuova raccolta che attendiamo:
Fiorite fiorite fiorite
magnolie nei cortili
susini e ciliegi per le colline
e dei viali glicini silenziosi!
Almeno voi, indifferenti all’artiglio
fiorite e mutate in petali i veleni
in bianche illusioni i deflagrati
crepuscoli e le notti d’Europa.
Fiorite, colmateci gli occhi
Lavate lo sporco degli sguardi.
Fiorite, almeno voi senza il dubbio
tra la resa e la vita.
Alfredo Rienzi, Partenze e promesse. Presagi, Prefazione di Dario Capello, Postfazione di Ivan Fedeli, puntoacapo editrice, 2019, p.114
Tre poesie tratte dalla raccolta:
ATTENDO, DOVE NON GIUNGERÀ VOCE
Attendo, dove non giungerà voce
un arenile calpestato, tracce
di troppi percorsi
alla distanza di una gomena,
la marea cancella
segni di partenze, promesse
acque e deserti, il vento va contro
la direzione del respiro, cancella.
Anche il vento cancella
ma la parola insiste
non vuole perdersi.
Io ho camminato troppo
per ricordare i cento incroci
le vie non scelte
per dare nome albero ad albero
e anche il mio, scritto sulle cortecce
recitato dai rami, cambia
e la mia ora cresce.
*
OGGI ATTENDERAI LA PIOGGIA
Pioverà, pioveranno acque
nelle fessure, nei pori
nelle miniere, nei chiostri
sull’erba che rinnova i palmi
negli ossari dove orbite vuote
conservano pietà
pioverà sulla cenere, sul pane e sul sale
sul frutto che attende
non è questa terra di raccolti,
zolla e seme chiedono il sorso, ma
non oggi il passo stringerà la via degli equilibrî:
che fremano i venti della clemenza
e del rigore! Prudenza e ardore
ribollano nelle stesse acque,
gloria e sconfitta avvolgano un solo rogo!
Oggi attenderai la pioggia, ti laverai
con l’acqua senza fonte
che brucia come fosse fiamma
ogni lingua ogni cuore che non dica
carità, che non ripeta carità.
*
LA LUCE AI SOTTERRATI
Non so se questo è il centro della stanza
se il mio è l’ultimo passo nella vita
è buio a quest’ora
la mancanza dice del bene più prezioso:
il cibo agli affamati, l’acqua agli assetati
la luce ai sotterrati.