Dopo i racconti di Volteggi. Orizzonti di immagini e parole (Boré, Tricase, LE, 2018), continua anche in questa nuova raccolta la feconda collaborazione artistica tra Gabriella Vergari e Franco Blandino, nel segno di una progettualità estetica un po’ diversa dal consueto, capace di far “dialogare” scrittura e pittura in una forma di “sinestesia” tesa a cogliere meglio le istanze dell’attuale homo videns.
Di un vero e proprio dialogo si tratta, e non di un monologo a senso unico perché, se è vero che molti racconti hanno sollecitato il pittore che li ha rappresentati visivamente, alcuni altri sono nati dalle suggestioni che quadri e disegni hanno suscitato nella scrittrice: al lettore il piacevole compito di scoprire quali… Il risultato è un percorso per così dire pluri-sensoriale e a suo modo globale, dedicato soprattutto – ma non solo – a protagoniste femminili alla prese con la modernità e con le nuove sfide dell’universo multi-mediale. Anche se le figure femminili restano quasi sempre senza nome, perché nella maggior parte dei racconti sono loro le narratrici in prima persona, e in medias res, esse sono tutt’altro che anonime e sbiadite: infatti è la loro versione dei fatti quella che ci viene riferita, è il loro punto di vista quello che viene adottato, e quindi i tratti della loro personalità affiorano nitidi dal testo. Sono donne curiose, intraprendenti, piene di energia; donne che di fronte alla vita e al mondo hanno un atteggiamento non certo passivo, men che meno rassegnato: che si tratti di amore o di lavoro, di rapporti interpersonali o di problemi sociali, sanno sempre come cavarsi d’impiccio.
Il racconto che apre la raccolta, Rosso variabile, è una perfetta introduzione al libro, esemplare com’è sotto tutti gli aspetti, tematici e stilistici: si tratta infatti del monologo interiore di una donna incuriosita dalla regolarità con cui, dalle finestre dell’ufficio, durante la pausa-caffè, vede seduto su una panchina, di spalle, un uomo con una maglia rossa, che stuzzica la sua fantasia e la induce a fare mille ipotesi diverse sulla sua identità e sulla sua vita. In questo modo, per interposta persona e con un pizzico di ironia, la scrittrice ci parla delle ragioni profonde del narrare: “Immaginare le altre vite mi dilata la mia”, e della necessità di essere sempre pronti a cogliere l’ispirazione, perché “nessuno lo sa com’è fatta, o quando può apparire, la Musa, men che meno la propria”, e “le storie accadono a chi le sappia trovare, riconoscere o narrare”. Non si può che ammirare la capacità inventiva dell’autrice, per cui le storie rampollano una dall’altra in una concatenazione inesauribile: altrettanto ricca è la pluralità dei temi, nello sforzo di non escludere nulla, dalla scrittura.
L’immagine che accompagna il racconto è anch’essa esemplare nella sua pregnanza, per la “trovata” della maglia-puzzle, che condensa in un solo colpo d’occhio l’andirivieni del testo fra le varie possibili storie, senza che si arrivi mai a comporre definitivamente il quadro.
Il lettore non deve perciò aspettarsi rassicuranti certezze o risposte univoche, da questi racconti in cui il quotidiano si tinge /che scavano nel quotidiano fino a tingerlo/ di surreale, ma predisporsi a essere “depistato”, spiazzato, fin dai titoli, che a volte strizzano l’occhio ad altri titoli famosi (come Risvegli di Oliver Sacks, o On the road di Jack Kerouac), ma sono sempre misteriosi, per non dire fuorvianti, quasi delle “trappole” per creare nel lettore aspettative che poi il racconto sistematicamente smentisce, con uno straordinario effetto-sorpresa: chi potrebbe sospettare, ad esempio, che Il giocar dell’onda sia addirittura un racconto di fantascienza? E non svelo altre “sorprese”…
Preferisco invece soffermarmi ancora sul rapporto bidirezionale parola/immagine, sulla gara di concisione ed essenzialità fra testo e illustrazione. È chiaro che, quando il racconto trae ispirazione dal dipinto, si muove molto liberamente nei suoi confronti: non ne è un commento o una “parafrasi”, ma a volte ne fa quasi un “personaggio” della storia narrata. Viceversa, quando è il pittore a “tradurre in immagini” lo scritto, a volte lo sintetizza interamente, ma più spesso ne riproduce uno o due elementi, quelli che più lo hanno colpito, quelli che sente più affini a sé, dandone in tal modo una chiave di lettura.
Graficamente, l’alternanza di testo e immagini imprime al libro lo stesso ritmo del nostro cuore, generato dai due movimenti opposti di sistole e diastole: alla sistole dell’immagine, la contrazione della visione simultanea che concentra tutto il messaggio in un unico colpo d’occhio, segue la diastole della narrazione, la distensione del discorso verbale che si snoda linearmente sulla pagina: e al lettore è richiesta una doppia competenza visiva, è sollecitato ad alternare una duplice modalità di lettura, allenandosi in tal modo alla complessità del mondo 2.0.
Anche al tempo del computer, di internet, dei social media la Letteratura – sembra dirci la Vergari – mantiene inalterate la sua importanza vitale e la sua potenza espressiva e simbolica, purché non si arrocchi in difesa, dietro uno sterile rifiuto del “nuovo”, ma sappia aprirsi ad esso e inglobarlo nel racconto, come avviene magicamente, grazie a una scrittura fluente e variegata, preziosa e spiritosa, in queste Magie d’amore 2.0.
(prefazione alla raccolta di racconti di Gabriella Vergari Magie d’amore 2.0, con immagini di Franco Blandino, Giuliano Ladolfi editore 2020)