EVA MAIO
A come alberi
come quelli per Natale
che i bambini
ci appendevano i mandarini
una volta
come quelli che non ci sono più
grazie alle multinazionali
che i grandi grandi grandi se ne fregano
e i potenti ne traggono profitto
come quello in Genesi
l’albero della conoscenza
come quello sempre in Genesi
chiamato della vita
che è un rebus se sono due
in quel magnifico giardino
che sogniamo
o è uno solo
bifronte
come quello delle sefirot
che sa un poco di Cabala
di ebraismo di lettere
e di luce
come quello di Alce Nero
pensato al centro del mondo
come quello di Chomsky
in linguistica che negli anni 80
affascinava qualche insegnante delle elementari
con la sua grammatica generativa
come quello genealogico
come quello che fanno disegnare
in psicoterapia
come quelli amati
dallo scultore Penone
o dal fotografo Bergamino
e come non ricordare
quelli di Klimt…
Però…che dire…
Dire alberi è poco
insomma troppo vago
generico.
Se vuoi scrivere
un haiku
un giro di sette versi
qualche strofa
degni di un minimo
di credibilità
non dire alberi.
Puoi dire
A di pruno
A di ciliegio
A di pino marittimo
A di quercia
A di leccio
A di betulla
A perfino di olmo
e così via.
*
Alberi
Strati di caos
opposte tensioni
decolli di muffe
e fughe e ombre
si fanno corteccia.
Dentro
l’ anima morbida
sta
in scorrimento verticale
perdurante e lieve
in tacita ricerca
dell’anima del su
dell’anima del giù.
Corteccia
anima
e rami ipogei
per slargare braccia
ospitali
verso chi vuole
fremiti di terra
aliti di nubi e sole
fremiti di nubi e sole
aliti di terra
e linfa linfa linfa.
Rami ipogei
anima
corteccia
braccia larghe
e linfa
in perenne quieto mischiare
l’anima del su
l’anima del giù
e farne vita.
Per l’intorno.
*
Le piante
Se ne stanno
lì
con mite forza
in cerca di cielo
e vanno al fondo
oscuro della terra
per teneri fili.
*
Il tempo degli alberi uno ad uno
È che ogni albero è singolare: quel pruno, proprio quello non un altro e quel ciliegio nel giardino della nonna e quell’altro mezzo selvatico in collina e quel resiliente piccolo pino marittimo su un costone a picco sul mare e quella quercia nelle Langhe attorno a cui abbiamo fatto un’indimenticabile merenda-cena ed eravamo tanti allora… e quello quello proprio quello…
*
Accade
Accade
che mando a memoria
un germoglio un canneto
le rughe d’una quercia
tre foglie di vite sospese
indecisi steli d’orzo e fiordalisi.
Accade
che quella singolare gentilezza
del crescer silenti
mi preme dentro
eversiva
senza cosmesi e scopi.
*
Da un vecchio ciliegio
Da un vecchio ciliegio
escono lacrime oneste
che di nuvole bianche selvatiche
ha coronato l’ultima riva.
Esce un sorriso quieto
che intense succose note
di rosso ha fatto sgocciolare
nel pendio fino al sentiero.
*
Se cala la nebbia
Se cala la nebbia
il grande olmo
mi disciplina i passi
si prende a cuore
che vada all’indirizzo giusto.
Ha il talento
dell’altezza
per farsi oriente.
*
Là di fronte alle onde
Su roccia scoscesa
là di fronte alle onde
piccolo sbieco pino marittimo
assediato dai venti
ci fessuri certezze
sullo stare perfetti
nel mondo.
S’addossa l’attorno
tra ago e ago di te
bevi il traffico
di nembi e schiuma salata
e mangi i quattro venti
e solo granelli di sabbia
ti danno carezze.
E tu non smetti
di spandere aroma
ridarlo ai quattro venti
al traffico di nembi.
Spandi l’aroma
del vero vivo
nonostante.
In un semplice pruno
Quando le foglie
si fanno quasi viola
i rami accennano un abbraccio
e pulsa il petto
di una cinciallegra
niente è astratto.
La trama del mondo
ci raggiunge lì
in quel semplice pruno.
*
Si condensa il verde
Si condensa il verde
e fa corona
di umori fin dal mattino
ai rami inquieti
del vecchio leccio.
La rude sua pelle
ammutolita raduna
masse di giorni e notti
il saliscendi della storia
l’imprecisa bellezza
di chissà quanti respiri.
E mai son stanchi
Quattro betulle
queste più a lato
attente e grate
non fanno altro
che addestrare nuvole
bianche
archiviare occhi
grigi fugaci
argentei al sole
estrarre lievi azzurri
farne filamenti
accogliere
piccoli nidi d’ombra
e scie nebbiose
per la topografia
della pelle.
E mai son stanchi
i nostri sguardi
a percorrere dal basso
fin su mappature
così sovrane leggere
coi rossori d’autunno
intorno.
*
Qualcosa di smarrito
Qualcosa di smarrito
ha il giovane acero rosso
come sospeso.
E’ bello
sul prato del vicino.
Bello
e sussulta che di grandi spazi
ha desiderio.
*
Troppo attenti
Troppo attenti e studiati
questi cipressi
geometrici improbabili
con la perizia della perfezione
a guardia degli assenti.
*
Sorreggimi
Sorreggimi
incrocio robusto
di rami accoglienti.
Ho voglia
di quella ciliegia lassù
così luminosa.
*
Onoro
Onoro
quell’erba un po’ verde un po’ blu.
Onoro
il muschio costretto
tra scaglia e scaglia
i licheni
nei muretti a secco
le gemme svernanti
della maggiorana.
Li onoro
che si vedono appena
stanno
come gettati a caso
tra grandi cose.
*
Platani
Oltre la porta
s’aprono i giorni
fremono puliti i platani
mentre cammino
perfetti per quel giorno
luccicanti.
Hanno bevuto lune
ascoltato campane
felici dell’angolo
di mondo
avuto in sorte.
*
Con movimenti lenti
Con movimenti lenti
di qualche estrema foglia
la salvia
ripete il rito
di piegarsi un poco
che troppa luce
la spaventa.
(Foto di Giampiero Johnny Murialdo)
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