La musica, dentro

organetto

GABRIELLA MONGARDI

Ho suonato nella Grande Orchestra Occitana – nell’era ante Covid, s’intende…
Come il tamburino del celebre canto natalizio, non avevo nulla da portare, solo il mio organetto e quelle poche note che, da principiante, riesco a suonare. Ma l’Orchestra Occitana è diversa da tutte le altre: non seleziona ma accoglie, non esclude ma include: basta saper suonare musica occitana.

Quella occitana è in origine, per sua natura e vocazione, una musica che non esibisce se stessa, ma si mette al servizio della danza e della “comunità”; per questo è una musica allegra, vivace nel ritmo, orecchiabile nelle melodie, “naturale” nelle armonie… È una musica antica, che affonda le sue radici nella Provenza delle corti feudali e si è tramandata nelle vallate al di qua e al di là delle Alpi Occidentali dal Medioevo fino ad oggi, come patrimonio culturale immateriale; una musica che dagli anni ’80 è stata riscoperta e valorizzata anche attraverso la “contaminazione” con il rock, grazie soprattutto alla passione e alla competenza di Sergio Berardo, erede dei trovatori provenzali, ideatore e direttore di questa Orchestra straordinaria.

Lo “zoccolo duro” della Grande Orchestra Occitana è costituito dai maestri dei corsi di musica occitana (Roberto Avena, Simonetta Baudino, Sergio Berardo, Enrica Bruna, Chiara Cesano, Carlo Revello, Riccardo Serra), e da altri musicisti provetti, ma la maggior parte dei suonatori sono dilettanti, di tutte le età e di tutte le provenienze: l’orchestra è così un vero e proprio “specchio della vita”, uno spaccato della società inevitabilmente variegato e “plurale”.

Ho suonato nella Grande Orchestra Occitana e ho scoperto l’altra faccia della musica, ho imparato com’è la musica, dentro. Tra ascoltare un’orchestra e suonarvi dentro c’è la stessa differenza che intercorre tra guardare il mare dalla riva e nuotarvi dentro, al largo: non vedi più le singole onde che avanzano, si rincorrono, s’infrangono sulla spiaggia o contro gli scogli, si ritirano, ricominciano, ma ti lasci trasportare, ti lasci cullare dal loro formarsi, dal loro alzarsi e abbassarsi, diventi tu stesso mare, onda. Allo stesso modo, la musica suonata dentro un’orchestra ti avvolge e ti trascina, non distingui più il suono dei singoli strumenti, ma percepisci solo il ritmo e la corrente sonora di cui tu stesso fai parte, diventi tu stesso musica…

Ho suonato nella Grande Orchestra Occitana e ho capito perché in tante lingue europee lo stesso verbo che significa “giocare” (to play, jouer, spielen…) significa anche “suonare”: perché la musica è il più bel gioco del mondo, a tutte le età.

E la musica occitana ha un valore aggiunto: è una musica “con l’anima”, perché ha una storia ed è espressione di una gente, un “popolo” transnazionale diffuso dai Pirenei alle Alpi; un popolo che non rivendica di farsi “nazione politica”, ma si riconosce nella lingua, nella montagna, nella musica come in un testimone passato da generazione a generazione, e che per questo avrà un futuro.

Credevo di aver trovato, nell’organetto, una semplice musica: ho trovato una patria ideale, un’appartenenza “musicale” – sommessa ma profonda, leggera ma tenace. Ne è simbolo la Grande Orchestra Occitana.