10. Documenti arcadici

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DINA TORTOROLI

Rivivo molto volentieri le ore in cui potei consultare i manoscritti dell’Arcadia, custoditi nell’archivio dell’accademia, depositato presso la biblioteca Angelica di Roma. Mi accorsi ben presto che la loro importanza superava persino le mie aspettative:

1) Catalogo degli Arcadi, volume VIII  (“custodia Pizzi (1772-1791), contiene gli elenchi degli Arcadi per lettera alfabetica dei cognomi”), pagina  91: «A dì 24. Genn.o 1773 / Imbonati Conte D. Carlo Milanese Conv.re nel Clementino / Andremone Alcioneo». (Era stato facile ipotizzare l’appartenenza all’accademia di quel «garzon […] di pregi adorno» (Parini), ma vedere confermate le mie congetture così inequivocabilmente fu emozionante);

2) Atti Arcadici, anno 1773, volume 5, pagina 38: «Colonia Stravagante / Fondata nel Collegio Clementino il 9 Aprile 1773». «Fondatori»:

Amicle Eteonio            D. Lorenzo Litta Visconti Arese    Vice Custode

Eriteo Lamsacio           D. Nicola Branciforte Pri.pe di Leonforte, de’ Pri.pi di Scordia

Epito Tebano               D. Salvatore Crescimanno de’ Baroni di Capodarso

Zacinto Epirio              D. Ambr.o Caracciolo d’Avellino, Pri.pe di Torchiarolo

Stenelo Meonio            D. Petraccone Caracciolo Conte di Buccino de’ Duchi di Martino

Asbite Ripeo                D. Francesco Compagnoni Marefoschi

Licante Origio             D. Francesco de’ Conti di Carpegna

Etilo Dulichiense         D. Feder.o Gravina de’ Pri.pi di Montevago Duchi di S. Michele

Licofonte Cretense      D. Luigi Guttadauro de’ Baroni di Reburdone

Podarce Neritide         D. Emanuele de Gregorj de’ M.si di Squillace

Andremone Alcioneo Conte D. Carlo Imbonati

Clito Lotense              D. Alberto Litta Visconti Arese

Polinice Etolio            M.se Francesco Monti

Ippalco Ligeo             D. Litterio Moncada de’ Pri.pi di Rosolini

Asterio Acherontino   M.se D. Innocenzo Odescalco

Abretano Perizio         D. Bartolomeo Pacca de’ M.si di Matrice

Sarpedone  Licio         D. Gaspare S. Martino di Ramondetto de’ duchi di Montalbo

Egino Ciparissiense     M.se Paolo Spinola

Tisbio Amarinteo        M.se Francesco Spinola

Deduttore: il P. De Lugo Rettore di esso Collegio, fra gli Arcadi Megildo Isio»;

3) Manoscritti dell’Accademia Letteraria dell’Arcadia, volume 30, pagina 172, «Allocuzione»:

«La Celebre Accademia degli Stravaganti da gran tempo fondata nel Nobil Collegio Clementino di Roma de’ Chierici Regolari Somaschi sotto gli auspici della Real Pastorella d’Arcadia Basilissa, Cristina di Svezia, avendo sempre secondata la magnanima propensione della sua invitta Istitutrice verso la nostra Pastorale Letteraria Repubblica, ha voluto ora, darne un nuovo argomento col formare nel suo ragguardevole Ceto un’Arcadica Colonia, di cui si è fatto Deduttore l’Immortale Megidio Isio P. D. Antonio Maria De Lugo, bastantemente noto per le dotte produzioni del Suo talento, ed assai benemerito della nostra Adunanza, e si è nominato in Vice Custode l’Inclito ed Erudito Amicle Eteonio Sig.r M.se D. Lorenzo Litta Visconti Arese.

Il Saggio Collegio di Arcadia dopo aver confermate sì luminose risoluzioni, si è fatta anche gloria di annoverare fra gli Arcadi due rispettabilissimi Soggetti. L’uno è il Sig.r D. Giuseppe Niccolò L’Azara Comm.le dell’Ordine della Concezione, e Agente di Sua Maestà Cattolica in Roma, assai chiaro per la sua vasta erudizione, e pel suo scelto Genio verso le buone Lettere Italiane, e sono state ad esso assegnate le pastorali denominazioni di Admeto Cillenio. L’altro è il Sig.r Giosìa Cild Inglese, Cav.e pieno delle più cospicue prerogative, e de’ più singolari adornamenti, ed è stato distinto col nome di Acate Melido. Io ve ne porgo, Arcadi Sapientissimi, le liete novelle, non meno in adempimento del mio ufficio, che per chiamarvi a parte del nuovo Lustro, che ne ridonda alla Gen.le Adunanza».

L’autore dell’ Allocuzione, il Custode Generale Nivildo Amarinzio, cioè l’abate Gioacchino Pizzi redige anche il seguente verbale della «Adunanza Generale Straordinaria», del giorno 9 Aprile 1773:

 «Preceduti i soliti Inviti, compariva ad un’ora di notte  la Sala del Serbatojo vagamente illuminata al solito per celebrarvi  la Passione del Redentore, la cui memoria ricorreva in tal giorno.

Il Custode diede parte col mezzo di una sua Allocuzione di essersi stabilita una Colonia nel Collegio Clementino, che la med.ma aveva assunto il nome di Stravagante, e che era stato presentato in Vice Custode l’Inclito Amicle M.se d. Lorenzo Litta Visconti Arese.

L’adunanza approvò tutto ciò con battimento di mani, e con voci di applauso.

Seguì nella sua Allocuzione il Custode a proporre l’Aggregazione de’ Sig.ri

D. Gius.e Niccolò L’Azara, Comm.le dell’Ord.e della Concezione e Agente di S. M. Cattolica in Roma.

Milord Giosìa Cild Inglese […] »

Notevolmente compiaciuto e solenne il tono assunto dal Custode Nivildo, ma la sua euforia non era neppure paragonabile all’esultanza prodotta dalla sua testimonianza – più di due secoli dopo –  nell’animo di una lettrice estranea all’accademia, ma davvero abbagliata dalla “luminosa risoluzione” dei diciannove giovani Arcadi, desiderosi di essere cittadini intraprendenti della République des Lettres.

Di fatto, a me, in quella sala di lettura dell’Angelica, il cofondatore della “Colonia Stravagante” – Andremone Alcioneo / Conte D. Carlo Imbonati – stava dichiarando di voler essere un “intellettuale militante”.

Proprio così: les yeux de l’esprit, lo sguardo della mente rivelava come sempre il proprio primato su quello del corpo, les yeux des sens, e io  vedevo solennemente certificato il momento in cui, a vent’anni, l’Imbonati si impegnava  ufficialmente a intraprendere «la via scoscesa» lungo la quale, negli ultimi tempi della sua vita  – ce lo ha detto Alessandro Manzoni quando ancora assecondava il proprio bisogno di schiettezza – “bramò” «a passo a passo / per man guidare» proprio  lui, il negletto figlio di Giulia Beccaria (In morte di Carlo Imbonati, vv. 44-46).

Sinapsi elettriche e sinapsi chimiche, con l’immediatezza del lampo, stavano connettendo le carte imbonatiane (che ero riuscita a individuare in Archivi o in Biblioteche da cui Manzoni non aveva potuto ottenerle) agli scrupolosi, geniali saggi di pensatori del livello del professor Gian Mario Cazzaniga, sulla “rete sovranazionale” delle Accademie, “laboratorio” in grado di progettare l’“invenzione del legame sociale”, quindi della politica come religione dei moderni  (Gian Mario Cazzaniga, La religione dei moderni,  Edizioni ETS, Pisa, 1999).

Oltre al Caro Nome avevo riconosciuto nell’elenco quello di altri  sette cofondatori della Colonia Stravagante, poiché, quando ancora l’Archivio Generalizio dei  Padri Somaschi era custodito a Genova, l’archivista Padre Beccaria mi aveva autorizzato a trascrivere l’imponente  manoscritto del Padre Paltrinieri, dedicato alla biografia di seicento circa allievi clementini, diventati illustri.

Pertanto, sapevo che non solo il nostro Carlo possedeva una personalità eccezionale, ma anche i fratelli Lorenzo e Alberto Litta Visconti Arese di Milano, Ambrogio Caracciolo di Napoli, Federigo Gravina palermitano, Francesco Marefoschi maceratese, Luigi Guttadauro siciliano e Bartolomeo Pacca beneventano.

Di Bartolomeo Pacca avevo poi voluto leggere le Memorie storiche, e alcuni brani  si imponevano nuovamente alla mia attenzione, per asserzioni che mi suggerivano di verificare l’attendibilità delle mie intuizioni, proprio ricorrendo alle opere pubblicate da quei protagonisti nell’età matura.  Avrei potuto quindi immaginare il ventaglio di interessi, di posizioni, di progetti che, all’epoca del collegio, li aveva impegnati in un lungo dibattito di idee, fino alla decisione di aumentare il livello delle responsabilità personali, non solo contribuendo, anno dopo anno, alla produzione di Inni sacri e Dispute di filosofia, di matematica sublime, di storia e geografia, gradite al “pubblico sceltissimo” che accorreva ad applaudirli, ma dando il dovuto rilievo alle proprie Osservazioni morali e a più vitali proposte anche nel settore dell’attività teatrale, per essere degni eredi spirituali di Girolamo Miani.

Oggi è facile recuperare quelle dichiarazioni, perché l’“operetta” è disponibile in rete (books. google.it, Memorie storiche di Monsignor Bartolomeo Pacca ora Cardinale di S. Chiesa sul di lui soggiorno in Germania dall’anno MDCCLXXVI al MDCCXCIV in qualità di Nunzio Apostolico al Tratto del Reno dimorante in Colonia con un’appendice su i Nunzi, Modena, per G. Vincenzi, M.DCCC.XXXVI).

Prima di tutto, la lettera che  “B. Cardinal Pacca” scrisse da Roma al tipografo Geminiano Vincenzi, il 9 Aprile 1836, resa pubblica dall’editore:

«Illustrissimo Signore  ho ricevuto i due esemplari, da lei gentilmente trasmessimi, della nuova edizione della mia operetta la Nunziatura di Portogallo, e le ne professo obbligazione. Essa è riuscita assai bene, e parmi una perfetta imitazione della prima da me pubblicata. La ringrazio anche del gentile pensiero di dare in luce le altre mie operette  per formarne una completa collezione. Desidero vivamente ch’esse ottengano quel fine che mi sono proposto nello scriverle, voglio dire la pubblica utilità».

Immediatamente dopo questa dichiarazione d’intenti,  la lettera dedicatoria «All’Eminentissimo e Reverendissimo Signor Cardinale Fabrizio Sceberas Testaferrata Vescovo e Conte di Sinigaglia» , che meriterebbe di essere conosciuta per intero (pp. VII-XV) e di cui invece mi limito a trascrivere soltanto le affermazioni più istruttive:

«Eminentissimo Padrone ed Amico […]

Spero che questa relazione, ossia queste memorie, possano essere utili ai ministri della S. Sede. […]

Io non intendo di defraudare delle meritate lodi que’ degnissimi porporati, che giunsero alla dignità cardinalizia esercitando cariche ed impieghi dentro le mura della capitale, e specialmente quelli che furono segretarj delle congregazioni ecclesiastiche, che debbono essere forniti di scienza non volgare, e dotati di somma prudenza; ma sì gli uni che gli altri da savj e discreti, com’essi sono, non potranno disconvenire, che altro incarico ben più difficile e travaglioso è il sostenere, massime nei calamitosi nostri tempi, nei quali “Romae ubique contradicitur” a fronte di continui ostacoli e di giornaliere contraddizioni gli oppugnati diritti della s. sede nei dominj esteri, di quello che sia lo stendere nella quiete del gabinetto dello studio voti e relazioni per le sagre congragazioni e per le udienze, esaminare e giudicare cause nei tribunali, e tener bene spazzate e nette le strade di Roma. Resta poi il più delle volte ignota e dimenticata la condotta dei nunzj, perché, se si eccettua quel poco che si sa dalle loro lettere  particolari, o per qualche articolo di gazzetta estera, ordinariamente di critica e di censura, null’altro si conosce del loro apostolico ministero, depositandosj negli archivi le relazioni dello stato delle nunziature, ch’essi trasmettono nella loro partenza. Eppure, togliendovi ciò che la prudenza suggerisce di tenere ancor segreto, tali relazioni pubblicandosi recherebbero pel governo degli affari della chiesa gran giovamento; sarebbero utili agli scrittori di storia ecclesiastica per sapere esattamente e vedere nel suo vero punto di vista tanti avvenimenti alterati e sfigurati dallo spirito di partito, e dalle penne prezzolate dei nemici della santa sede; sarebbero più utili ancora ai cardinali e prelati delle congregazioni ecclesiastiche, onde conoscere lo stato della religione nei paesi esteri, le massime adottate dalle corti, e dai ministeri negli affari di chiesa; le convenzioni antiche e moderne tra queste e la sede apostolica, dopo le vertenze insorte tralle due potestà, e finalmente l’indole e il carattere delle nazioni, notizie tutte necessarie a chi in gravi affari deve dar consiglio e suggerimento ai pontefici; utilissime poi sarebbero tali relazioni ai prelati che si destinano al ministero delle nunziature. Essendo io nunzio in Colonia lessi più volte con gran giovamento la bella relazione della legazione apostolica al Tratto del Reno di Monsig. Pier Luigi Carafa, e vi acquistai grandi lumi e notizie per mia regola e norma nella condotta degli affari; e siccome nel teatro del mondo gli avvenimenti si ripetono, e cambiansi solo gli attori, mi accadde di trovarmi in qualche affare talvolta in circostanze quasi consimili a quelle, nelle quali si era trovato il Carafa ed avrei potuto con ben picciolo cambiamento esporre il fatto colle stesse di lui parole, mutando solo il nome del nunzio, ed invece di Pier Luigi Carafa vescovo di Tricarico, sostituire Bartolomeo Pacca arcivescovo di Damiata. Fin d’allora mi determinai di fare un giorno la relazione dei principali avvenimenti del mio ministero apostolico in Colonia più diffusa di quella che suole spedirsi alle segreterie di stato per istruzione del nunzio successore, che feci a suo tempo; ma varie cagioni me l’impedirono fino all’anno 1827. Villeggiando in quell’anno in Frascati cominciai il lavoro, lo proseguii nell’amenissimo soggiorno di Vaccarile (“Casa di campagna e villa del vescovo di Siniaglia”) nell’ottobre dell’anno seguente 1829, e l’ho compito nei pochi giorni di quiete e tranquillità che godei lo scorso ottobre nel palazzo Colonna in Marino. […] Terminato il lavoro non mi fu difficile di trovar subito il personaggio a cui dirigerlo e dedicarlo. Poiché era ben giusto che lo dedicasse Bartolomeo Pacca all’antico compagno di collegio ed amico Fabrizio Testaferrata; un Cardinale ad un suo dolcissimo collega, che ha servita la S. Sede nel ministero delle nunziature; a quell’insigne Porporato, che in tempi turbolentissimi, mentre gemeva prigione il Capo della Chiesa, erano sciolte le congregazioni ed i tribunali di Roma e disperso il sagro collegio, solo, abbandonato a se stesso tra le continue contraddizioni e gli ostacoli, aveva con fermezza e coraggio sostenuto presso la nazione elvetica il decoro, la dignità e i diritti della luminosa pontificia rappresentanza. Spero che questa relazione, ossia queste memorie, possan esser utili ai ministri della s. sede; e benchè io conosca la tenuità del mio ingegno e la scarsezza delle mie cognizioni, vorrei nondimeno poter dire per la Chiesa romana ciò che Marco Tullio [Cicerone] diceva per la repubblica: Defendi adolescens, non deseram senex: l’ho difesa mentr’era giovanetto, non l’abbandonerò nella mia vecchiaia».

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