GIANCARLO BARONI
Quale destino alla fine ci attende? Salvati oppure dannati, beati oppure castigati? Le pitture che raffigurano il Giudizio Universale ci ammoniscono, istruiscono, avvertono: attenzione alla strada che da vivi avete imboccato e che state percorrendo; una vi porterà alla gioia e l’altra alla sofferenza eterna. Cupo monito per i peccatori (guardate cosa vi accadrà se perseverate nel male, quali punizioni e castighi subirete) e felice promessa per i virtuosi (gioite per le beatitudini e per i premi che otterrete), il Giudizio Universale anticipa il futuro di ogni singolo uomo e dell’intera umanità. Nessuna mezza misura: o di qua o di là, sprofondati nell’Inferno oppure elevati in Paradiso. La fine del mondo, la fine dei tempi.
Sopra a una rupe tufacea che poggia sull’argilla si estende la piccola e incantevole città di Orvieto, dalla fisionomia medioevale. Sui campanili e sulle torri (come quelle dell’Orologio e del Moro), svetta la Cattedrale con la sua facciata ornata e rifinita come un raffinato ricamo, decorata di statue, mosaici, guglie, cuspidi, pilastri, portali; in alto il rosone assomiglia a un merletto, nella parte bassa della facciata vengono scolpite nel Trecento scene del Vecchio e Nuovo Testamento.
Il Duomo fu iniziato nel 1290 per custodire la preziosa reliquia di un miracolo avvenuto circa trent’anni prima a Bolsena (che dista venti chilometri da Orvieto): si tratta del lino, o corporale, insanguinato al momento della consacrazione dell’ostia. Sull’altare della Cappella del Corporale un prezioso reliquiario conserva il sacro lino. Chi visita il Duomo di Orvieto può inoltre ammirare uno dei più affascinanti Giudizi Universali esistenti. Si trova nella Cappella Nova detta anche di San Brizio. Nel 1447 Beato Angelico iniziò a dipingerla e circa cinquant’anni dopo Luca Signorelli portò a termine la maggior parte degli affreschi. Il pittore si ritrae con una berretta e una lunga veste nere, al suo fianco il frate domenicano Beato Angelico indossa il saio. Colpisce la scena della resurrezione della carne, con i corpi nudi o quasi nudi usciti dai sepolcri che ne contenevano gli scheletri; corpi giovanili plastici e vigorosi, atletici ma non imponenti e possenti come quelli che Michelangelo dipingerà, quasi quarant’anni dopo, nella Cappella Sistina. Gli eletti esultanti di Signorelli ascendono gloriosamente al cielo, i dannati precipitano verso il basso, all’Inferno, ammassati, puniti, percossi, terrorizzati.
Orvieto si innalza verso l’alto e si inabissa dentro la terra. Sotto le case e le vie percorribili in superficie esiste ed è visitabile una suggestiva città sotterranea fatta di grotte, cavità, gallerie, cunicoli, scale, sepolture, cisterne, cantine e pozzi scavati nel tufo per decine di metri. Servivano per attingere e approvvigionarsi di acqua in caso di bisogno e di assedio. Il pozzo più noto è quello chiamato di San Patrizio iniziato nel 1529 da Antonio Sangallo il Giovane: un cilindro profondo più di cinquanta metri con due rampe di scale elicoidali formate ciascuna di 248 gradini, una che sale e l’altra che scende così da non intralciare persone e animali da soma, asini e muli, che si recavano alla sorgente trasportando otri da riempire. Grandi finestre monofore impediscono al buio di imporsi. Il suo nome deriva dal Santo evangelizzatore e patrono d’Irlanda, san Patrizio che, si racconta, si ritirava in preghiera in una grotta ipogea che metteva in contatto il mondo dei vivi con quello dei morti. Nella Legenda aurea, voluminosa raccolta di racconti agiografici che ispirò parecchi pittori, Jacopo da Varazze scrive: “Dio gli ordinò di tracciare col bastone un gran cerchio sulla terra. Ed ecco che la terra si aprì seguendo quel tracciato ed apparve un grande e profondissimo pozzo: seppe poi Patrizio per rivelazione divina che quel pozzo era una specie di Purgatorio e chi voleva discendervi non avrebbe avuto a soffrire altra penitenza dopo la morte”.
Orvieto collega l’alto e il basso, il sopra e il sotto, la luce e l’oscurità, le viscere terrestri e il cielo adamantino; su una rupe insidiata dall’instabilità e dalla precarietà sorge un piccolo Paradiso in terra.
C’è una linea verticale
a Orvieto
che unisce il Paradiso al male
alto e basso
oscurità e luce
puoi scendere e salire, l’anima
del mondo qui
non ha segreti.
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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.