Poesie inedite di Andrea Garbin
Dodicesimo paesaggio
(a rasoterra)
La precaria condizione
della sabbia che trascinata perde
la calcificazione della notte
fa sì che la strada venga riscritta.
Il percorso progettuale tramuta
nettamente l’arcana direzione
su cui lento l’uomo asperge
il ritorno dell’istante.
La proiezione dell’occhio sul nulla
è come il vento che sposta il granello:
situazione d’incertezza
che lascia presagire lunga attesa.
Sulla strada che costeggia l’oceano
dormono tentazioni e trabocchetti.
Restano solo le vecchie formiche
a cantare il loro tempo.
Hanno creato un sentiero sicuro
al riparo dall’incertezza umana
che traspare dallo sguardo
dell’individuo che prono le osserva.
Quindicesimo paesaggio
(il compito del cuoco)
Di quella volta in cui l’agnello morto
crocifisso sulle braci roventi
in vetrina esposto ai voraci denti
degli affamati volti lì mostrati
nel salone di tavole imbandite
dagli acquirenti prenotate a tempo.
Di come il polso stringeva il machete
fendendo e nella carne entrando in fondo
per poi ruotare e scorticare pelle
per ossa infrangere e snodare a schiocco
per nervi e muscoli portare a scollo
fino alle più profonde vene esauste.
Sembrava il compito del cuoco quello
di consegnare i tocchi dell’agnello
per svellere i peccati dai presenti
e come lo compievi quel mestiere
conscio che nel braccio destro avevi
lo stesso compito del dio celeste.
Sedicesimo paesaggio
(intermezzo tra la vita e la morte)
Terra rossa e polvere anch’essa rossa
si leva dalla scossa del terreno
appena l’auto passa senza sosta;
qui sto fermo ad osservare il fondale
il cui suono mi dice non andare
laggiù nel mondo dove passa tutto.
La vacca chiusa nel recinto ligneo
non si turba affatto per come attende
il condor delle Ande la sua morte
appollaiato sul legno più alto
sono vita e morte in completo abbraccio
ed io mi scotto nel vederli accanto.
Ossessione del miraggio
Non potevamo sapere quel tempo
intercorso tra l’inizio e la fine
se sarebbe davvero stato un tempo
misurabile dai nostri segmenti,
né se il riflesso delle nostre azioni
sarebbe durato l’eternità
o l’attimo che esplode e che finisce
come la morte che gela il sangue;
l’infinitudine che ci circonda
non potevamo ancora dirla nostra
perché sul vetro che ci colma il vuoto
la direzione è solo una tempesta,
nei nostri aperti cardini carnali
non potevamo che subire il flusso
irrefrenabile dei sogni opachi,
delle piaghe, delle tozze comparse
che si esauriscono nei nostri palchi;
quando nel transito alzavamo sabbia
non sapevamo che i nostri minuti
si sarebbero ridotti al bruciore
degli occhi e al freddore delle spalle;
quella nostra incertezza di misura
venimmo qui per farne correzione
ma il nostro viaggio scoprimmo servire
scoprire le coordinate d’arrivo,
null’altro, sgomenti e sanguinanti.
Nell’arrivo non v’era comprensione.
Diciannovesimo paesaggio
(anche le pecore interrompono il percorso)
Tutto il tempo che ho viaggiato
per la terra non vuol dire storia
non vuol dire tempo luoghi o gloria
resta solo di un passato la memoria
che ogni giorno ingravida un presente
una sbornia refrattaria che si perde
dove i morti vivono un futuro
un incastro senza viti senza croci
senza incastri fasti o religioni.
Ci si perde solamente a cavalcarla
questa terra senza ferri e senza gente
solamente ossa carne sangue ed elementi
i pensieri che ti svuotano la mente
e gli indugi che ti tremano le gambe
i lontani passi al tuo paese
in cui la porpora ti ha generato.
Quando il gregge ti circonda sulla strada
resti immobile indifeso come quaglia
sei un nudo verme giudicato dal presente
una gobba sulle spalle del pianeta.
Non ti resta che coprirti gli occhi
nella bocca accogliere l’antico vento
accartocciarti come un fischio nella nebbia
aspettare e sperare che finisca il giorno.
Andrea Garbin (1976) vive a Castel Goffredo, in provincia di Mantova. I suoi libri di poesia sono Il senso della musa (Aletti Ed.-2007) riedito col titolo Genesi dei sensi (Gilgamesh ed-.2015); Lattice (Fara Editore – 2009); Croce del sud (Gilgamesh Ed.- 2013); la raccolta di haiku Viaggio di un guerriero senz’arme (L’arca felice – 2012). Nel 2016 ha raccolto in un volume i primi ventidue Canti di confine (Pellicano), opera tutt’ora in fase di espansione. È fondatore, nel 2008, del “Movimento dal sottosuolo” (MDS), gruppo di scrittori e poeti operativo tra le province di Mantova e Brescia, nonché co-autore del libro “Manifest’Azioni dal Sottosuolo (Seam Ed.-2014). Ha collaborato con numerosi autori, in particolare con Jack Hirschman, Beppe Costa e Fernando Arrabal, che considera i suoi maestri viventi. Nel 2014 ha ideato la collana di poesia internazionale “Le zanzare”, della quale è Direttore, per Gilgamesh Edizioni. Tra i progetti e realtà cui ha aderito si segnalano: lo spettacolo “I dialetti nelle valli del mondo” di Rosana Crispim Da Costa; la Revolutionary Poets Brigade; il Collegio di Patafisica; gli spettacoli “Il tamburo della memoria” e “L’uomo in piedi” realizzati nel 2019 dal MDS. Nel suo percorso artistico gioca un ruolo importante anche il teatro. Attore per una decina di anni in una compagnia bresciana, ha collaborato anche con il Living Theatre e con l’Odion Teatret. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo testo teatrale L’inferno di Marlene (Gilgamesh Ed.). Nello stesso anno ha partecipato alla realizzazione del DVD “Antifascismo, solo per amore”, promosso dall’ANPI Franciacorta. Il suo ultimo progetto si intitola Haiku dalla quarantena, un insieme di novanta haiku scritti nei mesi di marzo e aprile 2020 e che, successivamente, ha tramutato in acquerelli.
(a cura di Silvia Rosa)