11. Interpretare le fonti

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DINA TORTOROLI

A proposito di quale impresa – concepita per  la pubblica utilità – anche l’impareggiabile Gio. Carlo Imbonati, giunto all’età matura, avrebbe potuto dire come il suo ex compagno di collegio Bartolomeo Pacca: «Defendi adolescens, non deseram senex»?

Ero davvero speranzosa di ottenere esaurienti informazioni, leggendo la ricostruzione di «quella vita sì importante e sì cara» (Giulini), inserita dal Padre Paltrinieri tra le Biografie degli ex Clementini, divenuti benemerentissimi. Invece, ecco cosa venni a sapere:

«Carlo Conte Imbonati Milanese, nacque in Milano l’anno 1753. In età di 14. anni fu assalito da maligno Vajuolo, ed il Co. Giuseppe suo amoroso padre gli prestò così assidua assistenza per cinque giorni continui, che a questo fu attribuita quella mortal malattia che in breve lo portò al sepolcro con dolore universale e degli uomini scienziati principalmente, dei quali fu sempre generoso proteggitore. Si riebbe il giovanetto Co. Carlo, e per le belle speranze che egli dava sin da que’ teneri anni, fu di qualche lenimento al comune dolore. Il Parini perciò indirizzò a lui quell’Ode, che comincia  “Torna a fiorir la rosa che pur dianzi languìa”. La madre ch’era la cel. Poetessa Donna Francesca Bicetti de’ Buttinoni pensò subito a collocarlo nel Clementino l’anno 1770 e quivi si svilupparono i suoi talenti, e riportò alla patria quell’amore alla letteratura, che confermò quelle speranze, che di lui si erano concepute. Accoglieva volentieri in sua Casa le dotte persone, di cui abbondava Milano, conversava di continuo con esse, ed in sua Casa come il padre suo diede ricetto alla rinomata Accademia de’ Trasformati. Così proseguì egli ad arricchir la sua mente di utili cognizioni, secondando anche gli eccitamenti che davagli il Parini. Quindi è che un Letterato Milanese comunicando queste notizie, concluse con dirmi: fù la sua naturale modestia ed una certa timidezza di carattere, la quale gl’impedì sempre di dare alla luce le sue produzioni, sebbene fosse in grado di stampar buoni libri, qualora si fosse accinto. La morte troncò il filo della sua vita mentre era in Parigi l’anno 1805 ed a celebrar le sue lodi il nostro Alessandro Manzoni stampò in Parigi per il Didot que’ celebri versi sciolti, che fecero sin d’allora conoscere a quale fama Europea dovesse egli salire» (Biografie, car. 342 e 343).

Incredibile! Nel presentare il proprio lavoro «Ai cortesi lettori», il Paltrinieri aveva dichiarato: «L’Autore […] ha cercata la maggiore esattezza, e solo si duole di non aver potuto riunire tutte quelle notizie, che massimamente intorno agli Oltremontani avrebbe desiderato e dei quali o non se ne parla o molto scarsamente [...]» (car. 4). Aveva quindi fornito un esempio della propria diligenza nel documentarsi, accludendo al manoscritto la seguente lettera, del 10 Giugno 1836:

«All’Ornatissimo Monsignor Carpegna / Il P. Paltrinieri Religioso Somasco, che ha avuto il bene di conoscere il Sig. Co. Filippo di Carpegna quando era Convittore nel Coll.o Clementino diretto dai Padri Somaschi, avendo da pubblicare un libro, in cui parlerà di cinquecento e più Uomini illustri, che furono educati nel detto Collegio, ed avendo saputo, che il detto Sig.r Conte occupa al presente in Parigi illustri cariche, per le quali ha diritto, che di lui si parli nell’accennato Libro, desidera un dettaglio di esse cariche, degli Ordini Cavallereschi, che avesse ottenuto, e di tutt’altro che tornasse in suo onore, onde formarne un Articolo ben ordinato su la vita, come suol farsi nei Libri delle moderne Biografie».

Il biografo aveva riconosciuto pure a Carlo Imbonati il diritto all’accoglimento nell’accennato Libro, pertanto, mi chiedo: perché, nel suo caso, le omissioni prevalgono sulle notizie?

Perché sia le «belle speranze» che Carlo aveva suscitato da quando era allievo del Parini sia  i «talenti» che in lui si svilupparono al Clementino non vengono specificati? Perché non è detto il nome del Letterato Milanese interpellato? E perché mai quell’uomo di lettere aveva accettato il ruolo di informatore se poi riusciva soltanto a mettere insieme – alla rinfusa – notizie così inesatte che corrispondono al vero soltanto la data di nascita, quella dell’ingresso al Clementino e quella della morte di Carlo? Non conosceva neppure le opere a stampa che gli avrebbero permesso di verificare l’attendibilità di quanto stava per comunicare? Enigmi.

Ho, però, la netta sensazione che P. Paltrinieri voglia suggerire di decifrarli, alludendo con parole di encomio «a que’ celebri versi sciolti», pubblicati da Alessandro Manzoni, quando gli sembrava un obbligo morale «celebrar le lodi» dell’estinto Carlo.

Quei versi ebbero, in verità, un esito davvero sconcertante: non fecero convergere l’attenzione degli studiosi sull’Imbonati, ma, come dichiara il Paltrinieri con una formula densa di sottintesi, «fecero sin d’allora conoscere a quale fama Europea dovesse salire»  Alessandro Manzoni. Non ci sfugga: «sin d’allora!»; ed era soltanto «un giovane di belle speranze» (Guido Bezzola).

Sarà bene dedicare al Carme la doverosa attenzione!

Questa è la mia interpretazione. Ma un confratello del P. Paltrinieri ne propone una del tutto diversa. Si tratta di Padre Marco Tentorio, «custode dell’Archivio Storico Generale dell’Ordine, nella Casa di Santa Maria Maddalena di Genova, dal 1946 fino alla sua morte, nel 1993».

Nel 1973 egli pubblica una monografia, intitolata: Alessandro  Manzoni e i Padri Somaschi, dichiarando, nell’Introduzione: «Non intendo fare né un’apologia dei PP. Somaschi, né una non necessaria difesa dell’uomo Manzoni o del Manzoni letterato. Intendo solamente assolvere a quello che è un dovere precipuo per un archivista: captatio veritatis. La verità può venir fuori anche se vi sono ombre che la circondano».

Il testo è suddiviso in 15 capitoli  e nei capitoli 11 e 12 viene affrontato il problema in questione. Nell’undicesimo, intitolato Testimonianze,  Padre Tentorio dichiara:

«È naturalmente di sommo interesse conoscere innanzi tutto il giudizio che il Manzoni stesso diede del tempo trascorso nei collegi dei PP. Somaschi, degli studi ivi compiuti e dei maestri incontrativi […]. E incominciamo dalla notissima testimonianza contenuta nel Carme in morte di Carlo Imbonati, in quei versi che sono poi divenuti cavallo di battaglia per tutti coloro che pretesero fare del Manzoni una vittima dell’educazione clericale. Nel Carme, scritto nel 1805, il Poeta immagina che lo spirito dell’Imbonati, ormai in una vita migliore, gli si manifesti per dargli utili consigli di vita. Il dialogo che si svolge tra i due amici è espresso in versi robusti e ben torniti, che tradiscono, nel ventenne autore, il genio dell’artista.  Ad un certo punto il Manzoni accenna agli anni trascorsi in collegio: … Né ti dirò com’io, nudrito / in sozzo ovil di mercenario armento, / gli aridi bronchi fastidendo e il pasto / dell’insipida stoppia, il viso torsi / de la fetente mangiatoia; e franco / m’addussi al sorso de l’Ascrea fontana. / Come talor, discepolo di tale, / cui mi sarìa vergogna esser maestro, / mi  volsi ai prischi sommi. Vedremo in seguito a quale collegio in particolare il Manzoni intendesse riferirsi con questi versi; questione di secondaria importanza» (pp. 143-144).

P. Tentorio aveva già fatto sapere che Alessandro era entrato nel collegio somasco di Merate il 13 ottobre 1791, a sei anni; nel 1796 era stato trasferito con alcuni alunni nel collegio somasco di Sant’Antonio di Lugano, per l’imminente arrivo delle truppe napoleoniche; infine era stato richiamato da suo padre a Milano nel marzo 1798, in adempimento di una legge del 12 febbraio e collocato nel collegio Longone dei PP. Barnabiti, in territorio Cisalpino (pp. 14, 16, 17).

L’archivista si occupa quindi della «campagna diffamatoria contro i Somaschi», che aveva sparso «un’infamia immeritata sulla esistenza di uomini consacrati nei due più solenni ministeri del sacerdozio e della educazione pubblica, riflettendo sopra di loro la luce sinistra di antichi supposti misfatti».

La persecuzione, dichiara Padre Tentorio, si era acutizzata negli anni 1845-1847, quando «i malevoli pensarono proprio di aggiungere i versi del Carme manzoniano a sostegno della loro tesi denigratoria» (pp. 170-171). A questo proposito, però, egli è in grado di esibire  la  lettera, indirizzata da Alessandro Manzoni «a P. Antonio Buonfiglio, somasco», il 27 gennaio 1839:

«Reverendo Padre / I versi dei quali con troppa indulgenza Ella mi parla, furono da me scritti in un tempo in cui io aveva, per mia colpa, abbandonato quei principi ai quali il Signore per sua misericordia, s’è poi degnato richiamarmi. E, quando non foss’altro, le ingiurie che ci sono, e ingiurie più che a semplici persone, basterebbero a farmi desiderare di non averli mai scritti, o almeno che fossero dagli altri affatto dimenticati. Né in effetto furono mai riprodotti da me, né sarebbero stati da altri, se a ciò fosse stato mestieri del mio consenso. Ma nel caso presente, in cui, per buona sorte, non ho a competere col diritto, ma a dipendere dalla cortesia, spero che, per mezzo di Lei, otterrò facilmente dal M. R. P. Paltrinieri l’adempimento del mio vivo desiderio e della mia preghiera, che di quei versi non si faccia menzione. Voglia gradire in anticipazione i miei ringraziamenti, e credermi di nuovo quale con profondo e costante ossequio ho l’onore di rassegnarmele Devotiss. Umiliss. Servitore » (p. 169).

A questo punto, anch’io esclamo con P. Tentorio: «Sarebbe bello conoscere la lettera inviata da P. Bonfiglio al Manzoni, e alla quale accenna nella sua risposta». Mi pongo anche la sua stessa domanda: «Ma quale fu la ragione che determinò questo carteggio?». Quindi apprezzo le notizie che il Padre archivista mi fornisce: «Nel cap. prec., parlando dell’Imbonati, ho fatto parola dell’opera che P. Paltrinieri aveva ormai condotta a termine, e che avrebbe pubblicato, se non fosse stato sorpreso dalla morte nel 1840: Biografie di 600 uomini illustri alunni del coll. Clementino di Roma».

Mi sconcerta, invece, la sua interpretazione degli intenti del confratello biografo:

«Probabilmente P. Paltrinieri, che vi aveva parlato dell’ex alunno Imbonati, intendeva cogliere questa occasione per stabilire la verità per bocca del Manzoni stesso, circa il valore e il significato dei versi famosi del Carme; per fare questo, il Paltrinieri avrebbe dovuto riprodurli, al che il Manzoni non accondiscese. Come abbiamo già visto, il Paltrinieri non aggiunse nulla a quanto aveva scritto sull’Imbonati, e perciò non poté neppure riprodurre la confessione del Manzoni contenuta nella lettera al Buonfiglio. Per ottenere la quale, il Paltrinieri si era rivolto opportunamente alla mediazione di questo suo confratello, allora professore nel coll. Clementino di Roma, e che già da qualche anno era in relazione col Manzoni, come dirò in un capitolo successivo» (p.170).

In ogni modo, a prescindere dai convincimenti e dalle finalità dei due Padri Somaschi, ciò che io non riesco proprio ad accettare è la confessione di un misfatto che fa tutt’uno con la sconfessione dell’àmbito in cui era stato commesso, perché i Versi In morte di Carlo Imbonati sono 242 e quelli delittuosi – li abbiamo letti – sono 9 (vv. 147-155), facilmente eliminabili.

Pertanto, ritengo che debba essere più diligentemente indagato il vero motivo che indusse il Manzoni – «l’uomo Manzoni» e «il Manzoni letterato» – a ripudiare l’intero componimento, cui era tanto debitore. E mi sento incoraggiata dal Paltrinieri stesso, che – per cortesia – non trascrisse i Versi manzoniani, ma – per captatio veritatis (io credo) –  non solo non rinunciò a menzionarli, ma li lodò.

Inoltre, sarà bene riflettere sul fatto che l’anonimo Letterato Milanese sbaglia clamorosamente nell’attribuire a Carlo Imbonati «una certa timidezza di carattere», quando è risaputo che il presupposto necessario della virtù è la forza d’animo. E l’Imbonati – è altrettanto risaputo – era considerato dai contemporanei «la virtù stessa» (Vincenzo Monti).   

Ascoltiamo Stendhal: «C’est l’existence de ces hommes de la force de M. Imbonati qui, à mes yeux, fait de l’Italie l’un des premiers pays du monde. Ce sont les hommes de la force de M. Imbonati qui, à Milan, osèrent résister à Napoléon dans tout l’éclat de sa puissance, et rejeter une loi par lui proposée à son corps législatif du royaume d’Italie» (Courrier anglais, Lettres à Stritch, XXIII, Rome, le 16 Novèmbre 1825).

Quella force, quella singolare autorevolezza possiamo percepirla anche noi, oggi, – per esempio –   nel tono che l’Imbonati assume quando scrive alle «Autorità Costituite» (documenti conservati presso l’Archivio Storico Civico di Milano il 1°, presso l’Archivio di Stato di Milano gli altri due):

1° – «Cittadini Deputati / Voi ci avete partecipato l’Arresto dell’Amministrazione Gen.le col quale su’ varj giusti motivi richiama i Cittadini assenti; tale misura generale comprende il Cittad.o Carlo Imbonati, la Cittad.a Giulia Beccaria Manzoni e Gaetano Pistoni nostro domestico. Se non avessimo ad ascoltare che il nostro patriottismo, ed il nostro zelo all’osservanza di tutto quanto viene emanato dalle Autorità Costituite nella nostra Patria prenderessimo il più breve termine per giungere colà, ma avendo noi lasciato Milano per esperimentare un cangiamento d’aria, reso necessario alla nostra salute e particolarmente a me, (per tentare la guarigione di un’incomodo reso periodico quale mi avea ridotto in uno stato di non potere in alcun modo servire la mia Patria) non vorressimo perderne i vantaggi riportati esponendoci in questa stagione ad un viaggio sì lungo. [E’ scientificamente provato che, «non adeguatamente curata, la lue si cronicizza e, a scadenze pluriennali, può manifestarsi sotto forme diverse con esito anche letale»].

Consci a noi stessi della purità delle nostre intenzioni avvalorate dippiù dai Passaporti nostri segnati dal Comand.e della Lombardia, dalla Municipalità, e dal Comitato di Polizia abbiamo resi Voi mediatori presso il Direttorio dal quale ci avete riportato il permesso di rimanere a Parigi; è la stessa mediazione vostra che ora impegniamo affine che l’Amminnistr.e Gen.e ci accorda una dilazione al nostro ritorno al di là del termine prescritto.

Frattanto amiamo Cittadini Dep.ti farvi rimarcare, (e come il fatto lo comprova) che avendo noi dovuto lasciare la nostra Patria abbiamo però scielto per nostra dimora un luogo dove per tutti i punti possibili siamo immediatamente sotto l’inspezione delle Leggi, che governano la nostra Patria. / Salute, e Rispetto. Carlo Imbonati. /  Gulia Beccaria Manzoni / Parigi all’Hotel de la Paix li 14 Frimaire an: V della Rep. Francese» (4 dicembre 1796).

2° – «Libertà Eguaglianza / Dicastero Centrale / Milano li 28. Ventoso  An.7. Rep.o  (18 marzo 1799)

Al Comissario di Guerra Cittad.o Vergani fù destinato dall’Ufficio degli Alloggi l’Appartamento da me affittato al Cittad.o Molli come consta dall’intestazione del Biglietto.

Conviene dunque che il med.o si dirigga al Cittad.o Molli e non a me se gli si competono altri mobili oltre quelli esistenti in d.o Appart.o non potendo io nè accrescere, nè diminuire nè alterare in verun modo d.o Appart.o dallo stato, in cui si trovava il g.no, in cui furono consegnate le Chiavi all’Appigionante Molli, senza pregiudicarmi in qualunque de’ casi, stante la contestazione insorta tra il Molli, e me presso il Trib.e di P. S. riguardo appunto il d.o Appart.o.

Voglio ben credere, che il Dicastero Centrale si appaghi di quanto ho sovraesposto, assicurandolo dippiù che se piccola fosse stata la proporzione tra la domanda del Commiss.o Vergani, ed il pregiudizio che ne potrebbe avvenire alle mie ragioni verso del Molli, avrei immantinente sodisfatto il Comiss.o Vergani impedendo così che il Dicastero Centrale fosse distratto per simili cose. Gio. Carlo Imbonati».

3° – «Libertà Eguaglianza / Milano li 5. Germinale An.7. Rep.no (25 marzo 1799) / Dicastero Centrale /Imbonati ha eccitato il Citt.o Molli al Tribunale di P. S. per la manutenzione di alcuni articoli convenuti nella Scrittura d’affitto fatta col med.o al S. Michele passato per un’Appart.o nella sua Casa nel Marino N.o 1138.

Il Molli stretto da tutte le parti dai documenti prodotti dal Imbonati, ora però viene in scena protestando nulla la Scrittura di affitto stante un Decreto della Comiss.e Delegata del 7. Vendemiale An. 7 Rep.no […]. Imbonati per suo contegno nel proseguimento di quest’affare col Molli presso il Trib.e di P. S. domanda al Dicastero Centrale una dichiarazione se crede o nò di sostenere il sud.o Decreto della Comiss.e Deleg.a.  Gio. Carlo Imbonati»