L’ultima raccolta poetica di Giancarlo Stoccoro, Litanie del silenzio, Ladolfi editore 2021 – in particolare la prima sezione, quella che vi dà il titolo – è come un mazzo di fiori di montagna, in cui la bellezza dei singoli fiori è esaltata all’armonia della composizione. Sono semplici i fiori di montagna – narcisi e genzianelle e orchidee, ranuncoli e rododendri, anemoni e bistorte e salvie – come semplici, comuni sono le parole-chiave che si rincorrono nelle poesie di Stoccoro (“finestra”, “occhi”, “sguardo”, “cielo”, “nuvole”, “sogni”, “infanzia”, “distanza”, “passi”, “silenzio”, “parole”, “foglie”, “fiori”, “albero”…) concatenandole l’una all’altra in una trama sottile di rifrazioni, di echi musicali, di impercettibili scarti semantici che aprono il codice della lingua a significazioni ulteriori. È tutto un fiorire di metafore attraverso cui si fa strada e trova espressione l’irrazionale, il non-detto, il sogno, il rimosso: quello a cui nella vita diurna non diamo spazio viene qui raccolto e ci viene offerto in dono. Giunge sulla pagina da distanze incalcolabili, dai recessi dell’infanzia, con il profumo dell’altrove – un lieve profumo di nostalgia che non spaventa ma attrae, proprio grazie all’armonia della composizione – come quella di un mazzo di fiori. E come un mazzo di fiori è tenuto insieme da un nastro, così qui i versi sono racchiusi tra due brani in prosa poetica, che ne costituiscono per così dire un “commento d’autore”: «Il sogno porta la lingua del digiuno, la litania di un silenzio»; «Lasciare in sospeso una frase non è mancanza di un’idea ma attesa che esca dal bozzolo, che si trasformi in farfalla prima di volare via».
Vale per Stoccoro quello che scrive Ungaretti in Commiato: «Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso». La poesia dà voce al silenzio, all’indicibile, ed insieme esige che il poeta faccia “silenzio” dentro di sé per accogliere le parole, collegarle in frasi, trasformarle in qualcosa che illumina l’ombra. Come una farfalla. O un mazzo di fiori.
Avviciniamo le parole ai giorni
i giorni alle cose senza voce
fino a posare lo sguardo su una frase
quasi la frase fosse un albero
che muove l’ombra
le dà nuova luce.
La seconda sezione della raccolta, La girandola dei mesi, consta di dodici componimenti sul tema dei mesi e delle stagioni – come era naturale aspettarsi – ma in realtà il poeta non segue il calendario né dedica a ogni mese un componimento: i mesi protagonisti della prima poesia, per esempio, sono luglio, settembre e novembre, e all’appello manca il mese di aprile. Anche in queste poesie ritornano le parole-chiave della precedente sezione (“sguardo”, “ombra”, “foglia”, “albero”, “occhi”, “luce”…), anche qui continua il gioco di specchi, di rimandi, di intrecci – nella speranza forse di perdere il conto dei mesi che passano inesorabili.
Nella terza sezione incontriamo Vite in prosa, come se la misura breve dei versi non potesse più contenere la piena del discorso, la volontà di comunicare. Le prose sono ugualmente brevi, a volte brevissime, ma almeno non si deve andare a capo prima della fine della riga, la frase può distendersi a suo agio sul foglio, e fermarsi solo con il punto fermo, quando è finita… In esse affiorano più espliciti i riferimenti autobiografici – alla professione (Il divano rosso), alla famiglia (Ritratto di famiglia), alla madre che vive in un mondo a parte (Curiosità cieca), all’amore per i libri, che vengono addirittura personificati: «I libri non si suggeriscono, vengono da soli a bussare alla porta. Io ne ho una fila lunghissima in impaziente attesa. All’inizio entravano uno alla volta, da tempo, però, hanno creato un varco grande e si sono piazzati a migliaia in ogni angolo della casa. Appena incrociano il mio sguardo […] mi supplicano di prenderli in mano, di sfogliarne almeno le prime pagine. I libri hanno bisogno di essere coccolati, non si accontentano di un posto al caldo nella seconda fila di una vecchia libreria dell’Ikea» (Bibliofilia).
Nella quarta sezione, Sguardi diversi, il poeta cambia ancora misura e questa volta sceglie quella dell’aforisma – del resto Stoccoro ha pubblicato, sul sito www.frasicelebri.it, oltre un centinaio di aforismi, che nelle sue mani diventano brevissime, folgoranti prose poetiche, una via di mezzo tra versi e prosa. Ne cito uno solo, emblematico: «La poesia non chiede ospitalità / la offre da sé». Leggere questo libro di Giancarlo Stoccoro significa essere ospiti della poesia.