A proposito di bellezza, cura, responsabilità…
Quando, nel marzo del 2003, mia madre è improvvisamente mancata, anche a seguito di alcuni errori ed omissioni umane, mi è apparso subito evidente il contrasto tra il suo modo d’essere, generoso, oblativo, altruista, e l’indifferenza, il cinismo, il disinteresse che una parte della nostra società ormai esprime verso la vita umana e la sua dignità, anche fra coloro che dovrebbero tutelarla e promuoverla.
Ho pensato a quale testimonianza potevo esprimere di questa mia esperienza, quale ricordo, che non fosse una scontata celebrazione, potevo realizzare di mia madre, ed ho pensato al giardino come luogo simbolo, metafora della sua vita.
Viviamo ormai nella civiltà di quelli che la sociologia chiama i “non luoghi”, dagli aeroporti agli snodi autostradali, dagli ipermercati agli autogrill, dalle stazioni ferroviarie alle metropolitane… qualche volta persino una scuola, una corsia d’ospedale o l’aula di un tribunale può diventare un non-luogo… Il non-luogo si caratterizza per la sua anomia, per la riduzione degli uomini a mera funzionalità, per la solitudine che assembla in un algido e mostruoso ingranaggio…
Tutto il contrario del giardino, luogo della cura e della dedizione per eccellenza. Dice il grande cantautore Franco Battiato, nel testo della sua celebre composizione, “La cura”, esemplificando bene questo atteggiamento di dono e amore:
“Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce
per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale,
ed io, avrò cura di te…
Sì, io avrò cura di te…”.
Quando penso a mia madre, che questa mostra vuole ricordare, la penso come capace di grande cura, la ricordo così, per esempio, quando mio padre si ammalò venendo a mancare nel lontano 1979, ma la ricordo così in ogni aspetto del quotidiano, che per lei, come per la donna saggia che rammenta la Bibbia, è sempre stato molto laborioso, e pure impegnato a generare armonia e bellezza anche nella fretta, nelle incombenze di ogni giorno, con una capacità assoluta di affermare il valore di aspetti anche minimi, ma essenziali: hai telefonato…, fatto gli auguri…, ceduto il posto…, sei andato a trovare… Ho imparato così la grammatica della cura… E devo dire che tutto questo mi ha reso un po’ meno distratto nei rapporti umani.
Ecco perché il giardino mi è sembrato il luogo-simbolo, la metafora della sua cura, della sua dedizione. Ed ho così creduto di vedere materializzati la luce e l’amore che mia madre ci ha trasmesso con la sua vita in quel piccolo giardino, quel fazzoletto di terra strappato al cemento, che lei si è sforzata con ogni mezzo di curare e fortificare… tanto che quei pochi metri quadri di erba, piante, fiori, mi si presentano oggi simbolicamente come il suo testamento più tangibile, la testimonianza che amore e impegno possono trasformare in armonia e luce ogni condizione, ogni confine, e configurano un ambito in cui tutto splende e risuona di vita e di amore – un giardino, appunto: il giardino.
Il giardino è umanizzazione della natura, come scrive Lidia Zitara, nella introduzione al percorso multimediale della mostra. È quindi luogo abitato, interpretato, reso familiare dall’affetto e dalla bellezza che lo abita, mette in relazione i diversi elementi secondo trame armoniche… Già nella relazione c’è bellezza… E il giardino ha un suo linguaggio di profumi, di colori, di chiaroscuri, è misteriosamente attraversato da mille forme di vita, come evocato splendidamente dalla celebre poesia “Il gelsomino notturno” di Giovanni Pascoli:
“E s’aprono i fiori notturni
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari…”.
E quindi il giardino rivela un’essenza, una vita e, come tutti i luoghi che recano segno della presenza umana, può essere deposito di memorie, luogo degli affetti, ma anche indicatore delle stagioni… Emily Dickinson, la grande poetessa americana del Secondo Ottocento, ha colto questo essere cifra e simbolo del giardino, si è chiusa nella amata casa paterna e nel giardino che la cingeva, ed ha respirato per tutta la vita l’ossigeno che le veniva dalla presenza amata che quella casa e quel giardino rivelavano.
Ho cercato, dopo la morte di mamma, e con tutta l’energia possibile, di fissare la luce e i colori di quel giardino, il mutare delle stagioni in esso, ma da quel giardino il mio sguardo, il mio passo, il mio mondo, si è esteso ad esplorare altri luoghi che dalla luce di quel giardino hanno a loro volta ricevuto armonia e vita e anche quelli, grazie all’esempio di mia madre, ho potuto esplorare e attraversare con coraggio e fiducia. Sì, perché, acquisita la certezza, la sicurezza, direi quasi la calda evidenza di essere amati, diventa per certi aspetti più facile avvertire il calore di una strada conosciuta, di una chiesa… una piazza… una radura… e anche di un nuovo paesaggio. E questa dimensione – affettiva, sacra, interiore dei luoghi – mia madre è riuscita a comunicarmela… Sì, perché lei è stata la donna che mi ha voluto nell’essere – che ci ha voluti, me e mia sorella Augusta – con una intensità totale, con una volontà creativa, con una misura e uno sforzo costante negli anni, nel tempo, nella vita e, nelle sue peculiarità, diviene perciò emblema di una condizione oblativa e gratuita dell’esistenza.
Ecco perché questo percorso per immagini non si ferma al luogo sia pure splendido e privilegiato del giardino, ma si estende ad esplorare i luoghi che dalla luce di quel giardino hanno a loro volta ricevuto armonia e vita: ci sono così i luoghi archetipici dell’esperienza umana e mia personale, il mare, l’America, la neve, il Sud, i luoghi dell’infanzia, la città natale e le città del mondo… Nel viaggio lo spazio si dilata e i luoghi del mondo sembrano inseguirsi evocando un Altrove, un orizzonte che continuamente si sposta, come scrivo in una mia poesia, e ci sprona a continuare nel viaggio.
Ma senza quel “giardino” mi sarei mai avventurato nel mondo?
L’esperienza della “cura”, che il giardino esprime e simboleggia (che è poi quella del “nido”, degli affetti più cari…), si estende anche a tutto l’impegno che riguarda le relazioni umane, e che io ho visto esemplificato, per esempio nell’impegno, attraverso il volontariato, che mia madre ha a lungo praticato nella Società di San Vincenzo de Paoli, presso la Conferenza di Colognola-Bergamo, ove è stata Segretaria dal 1975 al 1990 e Presidente dal 1990 al 1994.
Ricordo la cura e la dedizione che, anche quando la salute incominciava a venire un po’ meno, metteva nelle sue visite agli anziani nelle case di ricovero o agli ammalati negli ospedali, magari a qualche famiglia in difficoltà; per esempio, il senso di gioia che le dava aiutare gli altri e anche le preoccupazioni, il fare propri i problemi e le sofferenze degli altri. Non dimentico, per esempio, il suo appassionato coinvolgimento, come intervistatrice, nel censimento degli anziani organizzato dal Comune di Bergamo nel 1984, nel quale andava ben oltre la semplice raccolta di dati, per stabilire invece rapporti di cordialità, fiducia, e forieri, quando necessario, di aiuto…
E mi ricordo ancora, per analogia, di quando, bambino, lei aveva proprio la medesima cura di me, e prima ancora di mia sorella, di qualche anno maggiore, una cura che andava tutta al centro delle cose e, insieme, era attenta al minimo dettaglio.
Uno dei ricordi più belli è quando – bambino – la mamma, d’accordo con papà e con la collaborazione di mia sorella, imbandiva la tavola del soggiorno, la notte – mentre dormivo – con libretti, dolci e giocattoli, per la festa di S. Lucia, che io scoprivo estasiato la mattina del 13 dicembre, in una atmosfera già natalizia, di fiaba e di sogno.
Anche lì, adesso, scorgo i segni di una gioiosa attenzione educativa che, con discrezione e sobrietà, predisponeva le condizioni migliori perché io potessi crescere, proponendomi non i divertimenti più facili, ma qualche bel libro per l’infanzia con gustose illustrazioni, uno strumento musicale, un gioco di apprendimento o che sollecitava la mia sensibilità e fantasia…
È grazie anche a questo che mi sono appassionato all’arte, alla poesia, alla musica… E so che mia sorella e papà erano anch’essi degli efficaci suggeritori…
Negli anni “la cura” si è espressa nelle forme più diverse e, in età adulta, è stato bello, come accade per ogni figlio che cresce, constatare che “la cura” esige reciprocità, e che le attenzioni di una madre, di un padre, per il figlio, sono quelle che anche un figlio, in rapporto alla sua realtà e al suo ruolo, deve avere per il suo genitore. Nasce così, e si estende al mondo intorno a noi, l’esperienza della responsabilità.
Questo lascito, questo deposito, questa testimonianza è qualcosa che non mi lascerà mai, e che io credo mi accompagnerà sempre, anche nei momenti più impegnativi della vita.
Luca Catò, critico e amico, ha scritto un testo molto bello a proposito del percorso per immagini che è inserito nel Dvd “Il giardino di mia madre e altri luoghi” che accompagna la mostra: “Non in tutte le vite, non sempre, si ha la fortuna di avere un giardino. Qui c’è, c’è una buona narrazione dell’antico mito: ci sono “gli alberi graditi alla vista” e l’amore custode. Così, qui, una vita può accendersi bene, addestrarsi dall’inizio per non fraintendere dopo… In questo senso, ancora, il giardino diviene il primo luogo e l’ultimo, è il posto del ricordo, della speranza, dell’attesa e di una possibile bellezza”.
Ma siamo sempre sicuri – mi chiedo – di coltivare con i nostri sforzi, il nostro impegno, i nostri giorni, il giardino della nostra vita?
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(Conversazione inaugurale alla mostra “Il giardino di mia madre e altri luoghi”, ex-chiesa di San Sisto in Colognola, Bergamo, 28 maggio 2010, in ricordo di Angela Belloni Sottocornola; tratto da C. Sottocornola, The Gift, CLD, 2010)
QUI la versione inglese