Giancarlo e Giovanni Cerri, padre e figlio ancora una volta a confronto, affiancati l’uno all’altro con due mostre personali ben distinte nel tema e nel linguaggio espressivo. Due modi differenti di pensare e interpretare il dipingere ma con radici profonde e comuni, per un intenso omaggio all’essenzialità della pittura e alla irrinunciabilità della vita.
Il progetto espositivo “The art of two generations” a cura di Bianca Friundi, che si svolgerà al Museo Italo Americano di San Francisco dal 21 ottobre 2021 al 20 febbraio 2022, realizzato con il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco e il Museo della Permanente di Milano, si pone come un confronto aperto tra le ricerche pittoriche dei due artisti milanesi, che in passato hanno già avuto occasione di esporre insieme in Italia e all’estero.
Al Museo Italo Americano di San Francisco Giancarlo Cerri presenta “Sequenze astratte. 1995-2005”, una selezione di 20 opere che riflettono pienamente la ricca personalità pittorica dell’artista e che ne evidenziano la perfetta sintesi raggiunta attraverso l’uso di soli due o tre colori (soprattutto i “primari”) contrapposti a neri elaborati: immagini che hanno caratterizzato più di un ventennio di lavoro di Giancarlo Cerri, che non ha mai smesso di pensare la pittura, anche quando nel 2005 una grave forma di maculopatia lo ha costretto a smettere di dipingere per oltre dieci anni.
Giovanni Cerri con “2020: a Milano nell’ora del lupo” fornisce un nuovo percorso di immagini ispirate al capoluogo lombardo durante la pandemia Covid-19 attraverso 39 opere fra disegni e dipinti. Preceduto da un ampio lavoro di preparazione con il corpus di disegni Diario della pandemia, questo nuovo ciclo richiama nel titolo il film L’ora del lupo di Ingmar Bergman (1968). Immagini rarefatte che descrivono le atmosfere del vissuto lockdown tra assenze, silenzio e desolazione: i non-luoghi di una Milano dipinta in presa diretta durante un periodo unicamente drammatico, di sospensione dal tempo e dalla vita quotidiana.
GIANCARLO CERRI, Sequenze astratte. 1995-2005
Una selezione di 20 opere per raccontare un decennio di attività del pittore Giancarlo Cerri, nato a Milano negli anni Trenta. In mostra il periodo delle “Sequenze”, il più intenso e che rappresenta il raggiungimento dell’astrazione dopo diversi anni di ricerca, prima figurativa (dagli anni Sessanta agli Settanta) e poi informale (anni Ottanta e primi anni del successivo decennio).
Alla metà degli anni ’90 l’artista compone i primi quadri sintonizzati su neri elaborati che si contrappongono ad un solo colore, preferibilmente primario, talvolta interrotti da una sottile striatura bianca a dividere quasi in due parti esatte la tela, una sorta di “graffio” realizzato con la punta della spatola nel colore ancora fresco, a creare quella vibrazione finemente materica che interrompe le due larghe campiture.
Orizzontali o verticali, le “Sequenze” rappresentano il punto di arrivo di estrema sintesi del percorso di Giancarlo Cerri, laddove la pittura si esprime e si mostra per ciò che è realmente, e diventa lei sola la protagonista.
Tuttavia, se nella linea di demarcazione che separa le due campiture orizzontali si scorge un remoto nesso con l’idea del paesaggio, nella concezione verticale il pensiero astratto diviene assoluto, perentorio, definitivo. Ciò si presenta con ancor più forza nei quadri di ampia dimensione, come nelle due “Grandi Sequenze” del 2001 presenti in mostra, laddove la pittura, saggiamente calibrata sul gioco delle campiture, rivela tutta la sua forza emotiva, senza esigenza alcuna di narrare.
Tra le opere esposte anche alcune “Sequenze nere”, realizzate tutte nel 1999 con poche righe di colore messe in contrasto con il nero lavorato sottostante, dove la monocromaticità diviene quasi assoluta e la pittura si fa ancor più misteriosa e segreta.
Da sempre punto cardine della sua pittura, riferendosi alla tavolozza di Giancarlo Cerri non bisogna mai parlare di Nero ma di Neri, al plurale, perché sempre elaborati, spesso con il colore che gli va incontro dall’altra parte della tela, come rossi, verdi, gialli e blu, che si nascondono e fanno palpitare il quadro.
Infine, in due delle opere selezionate (“Croce su fondo giallo” e “È sempre l’ora della croce”, rispettivamente del 2003 e 2005) l’accenno alla tematica sacra è tutta nell’immagine della croce, che per l’iconografia cristiana rappresenta il simbolo del sacrificio estremo.
Una memoria medievale o pre-rinascimentale, che qui, nella consueta sintesi che contraddistingue la ricerca del pittore, riaffiora aggiornata nel taglio d’immagine adatto all’uomo contemporaneo e alla sua tensione spirituale, spogliata del racconto e intonata sulla forza del simbolo.
GIOVANNI CERRI, 2020: a Milano nell’ora del lupo
La pittura di Giovanni Cerri, classe 1969, fin dai suoi esordi avvenuti alla fine degli anni Ottanta ha spesso raccontato la città e l’ambiente urbano, in particolare il territorio delle periferie, partendo proprio da Milano, città dove da sempre vive e lavora, ricca di spunti artistici, architettonici e di immagini legate al mondo industriale.
Giovanni la sua città l’ha vissuta, indagata e rappresentata in tanti aspetti, cercando sempre di rendere partecipe il pubblico di quanto sia stato importante per lui, come uomo e artista, crescere in un determinato tipo di ambiente.
Così, a cinque anni di distanza dalla mostra Milano ieri e oggi, realizzata in occasione di Expo 2015, l’artista presenta un nuovo percorso di immagini ispirate a Milano, questa volta partendo da un fatto reale altamente drammatico, l’epidemia Covid-19.
Preceduto dal corpus di disegni Diario della pandemia, già esposti a ottobre 2020 alla Casa di Lucio Fontana a Comabbio (VA), il ciclo di lavori realizzato ad-hoc per la mostra “2020: a Milano nell’ora del lupo” richiama nel titolo il film L’ora del lupo di Ingmar Bergman del 1968, dove diventa emblematica la citazione: “L’ora del lupo è quella tra la notte e l’alba, quando molta gente muore e molta gente nasce, quando il sonno è più profondo, gli incubi ci assalgono, e se restiamo svegli abbiamo paura.”
Non solo scorci di una Milano vuota, osservata “in presa diretta” negli accadimenti di quei mesi, quando il rumore prevaricante era il suono sempre più incessante delle ambulanze, ma anche alcuni volti in cui si percepisce l’angoscia della rinuncia alla vita di tutti i giorni, la costrizione degli spazi privati, la rinuncia alla libertà di muoversi dovuta all’emergenza sanitaria e ai suoi divieti inderogabili.
Volti e sguardi immersi nell’ora più buia, introspezioni del “coprifuoco”, come quello di Papa Francesco nella solitudine immensa e sconfinata della giornata del 27 marzo 2020 durante la preghiera e la benedizione Urbi et Orbi in una Piazza San Pietro desolatamente vuota.
Giornate oscure e piovose, che si susseguono una dietro l’altra, drammaticamente uguali, tenebrose e struggenti come tutte quelle settimane in cui il mondo pareva essersi fermato, costretto a una tragica sosta: Piazza del Duomo, il Castello Sforzesco, la Basilica di Sant’Ambrogio, lo skyline della città con i nuovi grattacieli dell’area di Porta Nuova dove in primo piano un carrello della spesa è stato abbandonato, il tram che percorre una periferia vuota e silente. Anche i parchi giochi sono pervasi dalla muta assenza, così come i posti di lavoro, come nel quadro “Stop”, che ci mostra una scavatrice spenta in un cantiere vuoto, perché il virus ha posto fine anche all’articolo 4 della Costituzione.
Soffre la Milano di Giovanni Cerri, così come la città italiana più colpita dal Covid, Bergamo, volutamente rappresentata dall’artista con colori lividi e tetri nell’opera “Bergamo tace”.
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