Apologia del presepio. Riflessioni fra autobiografia, storia, Vangeli

Il presepe di Emanuele Luzzati al Santuario di Vicoforte

Il presepe di Emanuele Luzzatti al Santuario di Vicoforte, Natale 2016

CLAUDIO SOTTOCORNOLA
C’è una Madonna del ‘700 nell’atrio della mia chiesa parrocchiale, un affresco che il tempo ha in parte cancellato lasciando dell’intonaco bianco al posto del Bambino. Ai piedi di questa Madonna ci si ritrova ogni anno – giovani, ragazzi, qualche adulto volenteroso – e si incominciano a montare assi di compensato. Dopo qualche tentativo il soppalco è pronto. Ma il presepio, il nostro presepio, è ancora tutto da costruire. E si va avanti così, da novembre alle sere dell’Avvento, dopo cena, tra legno, chiodi, polistirolo e faesite… La sensazione dell’antivigilia è che resta tutto da fare e allora si lavora tra panico e frenesia, con intuizioni geniali e disperate.
Solo a tarda notte il presepio sembra proprio un presepio e finalmente si può brindare con un bicchiere di vin bianco e mangiare una fetta di panettone.
Nel frattempo, lavorando insieme ci si è fatti amici e, se non lo si era già, quasi si è diventati uomini di fede. Qualcuno sentenzia che costruire insieme un presepio val più di trenta, forse, quaranta prediche. È comunque gratificante – il giorno di Natale – mescolarsi fra la gente che visita il presepio e ascoltarne i commenti, specie se del tipo… “ii è stàcc pròpe brai”.

Ma i miei ricordi presepistici non si fermano qui. Mio padre – ero bambino – la Vigilia di Natale estraeva una piccola capanna di gesso con la Natività dal baule delle cose vecchie: e io capivo che la Festa era arrivata. Fino a quando la capanna non mi è più bastata e… mi sono seduto un intero pomeriggio armato di forbici a ritagliare dal “Corrierino dei Piccoli” le meravigliose figure di carta del mio primo presepio che, però, era sempre “in fieri”, perché bastava una qualsiasi corrente d’aria ad abbatterle. L’anno seguente infatti erano inutilizzabili e allora, finalmente, le statuine “vere”, la carta roccia, il cielo stellato, la cometa. Ultimo, il lumicino grande quasi come i pastori, acceso di fronte a Gesù, in una piccola “liturgia” casalinga, che si rinnovava durante il pranzo di Natale…

Non è questo, come forse può sembrare, un “amarcord” felliniano, ma un modo di radicarsi nella realtà della nostra storia, quasi di ognuno, per tentare di recuperare il senso e l’attualità del presepio.
Non a caso l’uomo a cui la tradizione fa risalire la nascita del presepio è Francesco d’Assisi, un santo “attuale” che, a Greccio, nella notte di Natale del 1223, volle “rappresentare il bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello” (“Vita Prima” di Tommaso da Celano).

E difatti è proprio “greppia” o “mangiatoia’’ il significato del latino “praesepium” o “praesepae”. I primi presepi di cui abbiamo notizia certa sono del secolo XIV: figure in marmo, legno, terracotta, collocate in una cappella stabilmente. Un fatto, insomma, strettamente ecclesiastico.
È però nel secolo XV che si diffonde, specie nelle Fiandre, l’uso dei “répos de Jésus”: non solo le famiglie dell’alta nobiltà ma anche i “borghesi” potevano permettersi culle confortevoli per i propri bambini e così si voleva onorare “il Re del cielo e della terra” apprestandogli culle dal legno preziosamente scolpito, intarsiato d’avorio, pietre preziose, e oro. Evidentemente la mentalità umana ha sempre faticato a sopportare l’idea di un Dio “povero”.
Il ‘700 è invece il secolo d’oro del presepio napoletano, che ha poi invaso il mondo intero. Gli ingredienti? Un paesaggio realistico, spesso il profilo del Vesuvio sullo sfondo, le rovine di un tempio classico come ambiente della natività (moda legata all’impulso degli scavi di Pompei), statue dalle mille fogge secondo gli schemi del barocco e del rococò rivestite di abiti preziosi.
Ed è forse da Napoli che il presepio si diffonde tanto che qualcuno ha potuto giustamente affermare: “il presepio è nato sul mare Mediterraneo e si è diffuso in tutte le sue rive”.
Se l’età illuministica segna un periodo di crisi verso tutto ciò che la ragione non può radiografare, il Romanticismo, con il senso spiccato della storia e l’attenzione alla cultura locale, riporta in auge anche il presepio. Da fatto artistico ed elitario esso diventa così espressione di devozione popolare.

E oggi? Il Bayerisches Nationalmuseum di Monaco, il San Martino di Napoli, sono solo due fra le più ricche raccolte di presepi del mondo. Non è però il caso di farsi illusioni se la cultura specialistica qualche volta riconosce nel presepio una manifestazione artistica di rilievo. Nemmeno ci si deve illudere pensando al lavoro di sensibilizzare svolto dalle “Associazioni di amici del Presepio” ormai diffuse a livello internazionale (per l’Italia la sede centrale è in Via Tor de’ Conti, 31/A – 00184 Roma). La mentalità comune liquida talvolta con faciloneria il presepio, perché non è facile coglierne la teologia, ossia passare dallo stupore alla contemplazione.
Eppure sembra possibile un recupero del presepio che non sia nostalgico ma radicato nella sensibilità religiosa dell’uomo d’oggi. Essa è pervasa da una forte tensione a trasformare la realtà terrena e si commuove di fronte all’annuncio che Dio “si è fatto uomo”. Alla luce di queste due realtà occorre guardare al presepio.

Giovanni, nel cap. 13 del suo Vangelo, ci aiuterà a coglierne le implicazioni: “Gesù… si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto”.
Nella prospettiva di un Dio-Amore che “serve” l’uomo cogliamo il senso più profondo dell’Incarnazione, e una chiave di lettura del senso del presepio. In questa luce esso acquista un sapore di accoglienza del prossimo, di rispetto per la dignità e sacralità della vita, di salvaguardia dei valori che la promuovono, come la famiglia, la società e lo stato.

Quanti Avventi sono trascorsi e quanti Natali abbiamo festeggiato… Eppure il ritmo dell’anno liturgico ha una risonanza nuova in rapporto all’esperienza che viviamo. Per questo la saggezza della Chiesa lo presenta secondo una pedagogia che ci consente di coglierne un significato nuovo, di segnare un’altra tappa nel nostro cammino di maturazione. Così, un presepio sempre uguale per il distratto, è un presepio diverso per l’uomo di fede che lo costruisce, come diverso è il Natale che viene.

Nell’ultimo presepio che mi ha fatto pregare, oltre le travi che racchiudevano la natività, si intravedevano le casette di Gerusalemme con le sue luci, e le donne sulla porta di casa. Mi sembrava di essere lì per cogliere il mistero di quel Dio che “si è fatto uomo”… Il sogno che corre nella mente è quello dell’uomo che allora si riconcilia con l’uomo, ma forse è ancora troppo presto…

inedito 1984

da: Claudio Sottocornola, Il pane e i pesci, vol. 2, CLD-Velar, 2010