Otto anni fa, in un’intervista a Margutte, Taormina aveva dichiarato: «Non ho la formula esatta della poesia. Lei è nata con l’uomo. Esiste come possibilità e diviene realtà con la partecipazione fantastica e l’intelligenza del lettore. La sento nascere dentro di me come una musica e due o tre parole cominciano a girare nella mia mente. Quando le parole si identificano nella musica che mi attraversa la poesia è fatta. Non so altro. Misteriosa, dolorosa, è il perno su cui gira la mia vita. Scrivo per essere libero, realizzato ed essenziale».
La musica dell’ultima raccolta di poesie di Emilio Paolo Taormina, Ore piccole, Ladolfi editore 2021, nasce con grande naturalezza e spontaneità dalla sintassi stessa della lingua italiana, che con i suoi sintagmi e le sue pause determina la scansione dei versi, senza bisogno di ricorrere a segni di punteggiatura né a lettere maiuscole: «un verso / è un treno che parte / una parte di te / ti saluta / cerca l’avventura / per le strade del mondo».
Questa è la prima delle 65 liriche che si susseguono nella raccolta a formare un carmen perpetuum, un canto ininterrotto, fluido e morbido come un sogno, come la melodia di un fiume ora maestosa e pacata, ora nervosa e sbarazzina, ma sempre sostenuta da un ritmo possente.
La musica nei versi di Taormina nasce anche dall’orecchio del poeta, dalla sua attenzione ai rumori e ai suoni della vita: i vagiti dei bambini, i tamburelli della pioggia, il canto delle falci dei mietitori, la ninna nanna della nonna, il fischio del treno, il vento, le onde del mare, i rintocchi dei campanili, l’eco delle fucilate… È un paesaggio sonoro quello che affiora da questi versi, in cui alle sensazioni uditive si affiancano quelle visive, tradotte in immagini potentissime, a cascata: «una stella naufragata / si è addormentata / sulla spiaggia / sui comignoli / e le banderuole / vagiscono i sogni / la brezza pigola / in un nido di barche / la luna come / un vecchio pescatore / fuma la pipa in cima / all’eucalipto».
In questo flusso di immagini e suoni che si fanno parole ritmate (ma vale anche il contrario: sono le parole a evocare visioni e suoni, come in un quadro linee e colori creano profondità, oggetti e figure) scorre semplicemente la vita, la vita di tutti (come in Saba) perché un poeta, quando è veramente tale, partendo dai suoi ricordi dà voce alla vita dei tutti, ricorda i ricordi di tutti.
Ai temi “classici”, già presenti nella precedente raccolta di Taormina, Il sorriso del tulipano, quali natura, tempo, amore, musica, poesia, si aggiunge qui l’infanzia, e alle figure femminili delle donne amate si affiancano la nonna e la madre:«… nel rifugio / fischia una bomba / mi rannicchio insordito / tra le braccia di mia madre / che mi copre / come uno scudo».
Ma la memoria scrive in caratteri indecifrabili come quelli della pioggia sui vetri, «è come la moneta / fuori corso / metti pochi spicci / in un cassetto / quando li ritrovi / li scuoti nel pugno / senti il rumore / ma non puoi comprare nulla»: per questo il tempo prevalente nelle liriche è il presente, perché il miracolo della poesia è quello di fermare il tempo… «siamo il tempo / che non ha inizio / e non ha fine / l’eterna speranza / l’albero / che in primavera / si carica di gemme / che saranno frutti».