PAOLO LAMBERTI
L’imperialismo russo si identifica con la favola fedriana del lupo e dell’agnello, nasce dalla tendenza al vittimismo. La Russia è lo stato più esteso del mondo, ma si sente accerchiato (chissà gli svizzeri): eppure fa parte della retorica russa l’infinità degli spazi che inghiottono qualunque invasore.
Poi c’è la narrazione della povera Russia sempre invasa, che dimentica quanto più spesso sia stata lei ad invadere. Giustamente indignati per la slavofobia che ha toccato i suoi vertici con il razzismo nazista, ci si dimentica il nazionalismo xenofobo grande-russo: non a caso il pur georgiano Stalin ha mobilitato nel 1941 l’URSS facendo appello alla Madre Russia, più che al comunismo. In quest’ottica tutti i popoli slavi sono figli obbedienti della Madre-Padrona Russia, tenuti in stato di minorità e costretti al bilinguismo con il russo. Quanto all’Europa, sono nemici a priori, materialisti, da guardare con diffidenza; ed eretici, non si dimentichi che la Chiesa Russa è erede di quella di Costantino, un organo dello stato che obbedisce all’imperatore, chiunque esso sia: è bastato l’appello di Stalin per cancellare decenni di persecuzioni. Non a caso negli ultimi decenni i Papi sono stati praticamente ovunque, Antartide e Mosca escluse.
La xenofobia è ancora più aspra verso i popoli asiatici, i “culi neri” (gentile definizione popolare) dell’Asia musulmana: ma noi trascuriamo la Russia asiatica, l’ultimo impero coloniale europeo ignorato accuratamente dagli anticolonialisti occidentali: le tribù siberiane non ballano con i lupi. E se oggi gli “Stan”, gli stati ex URSS, provano a cercare un minimo di autonomia, il fantoccio al comando reprime con l’aiuto di Putin (si veda il Kazakistan).
Sarebbe però da ricordare a Putin che se la Russia non è mai stata conquistata da Ovest, da Est lo è stata. E un miliardo e mezzo di Cinesi ricchi, tecnologici, armati, confina con una Siberia tanto ricca quanto spopolata. Materie prime e cambiamento climatico fanno dell’Asia sovietica l’ultima frontiera del mondo, e le poche decine di milioni di russi etnici e di popolazioni locali si confrontano con la demografia islamica e il potere cinese. Credo che alla fine del XXI secolo, qualunque bandiera sventoli in Siberia, il controllo di fatto sarà del celeste impero.
Ma limitiamo l’esame dell’imperialismo russo alla sola Europa, recuperando gli ultimi due secoli, per vedere se davvero la minaccia viene solo da Ovest.
Partiamo da Mondovì, che nel 1799 si trova a leggere i proclami del maresciallo Suvorov, che occupa il Nord Italia insieme agli austriaci; poi viene la Zacinto mia foscoliana, occupata nel 1804. Quanto a Napoleone, incontra eserciti russi ad Austerlitz, Eylau, Friedland (tutte battaglie in Europa), poi dopo la fallita (contro)invasione del 1812, a Lipsia, per poi combatterli sino all’occupazione di Parigi nel 1814. Dopo la plumbea Restaurazione, reazionaria e immobilista, quindi gradita allo zar, torna a soffiare il vento della libertà con le rivoluzioni del 1848: e subito i russi reprimono i moti liberali in Austria, Ungheria, Valacchia. Successivamente riprende la spinta verso i mari caldi, già iniziata da secoli, e si invade l’impero Ottomano nel 1854 (di qui la contro invasione anglo-franco-piemontese della Crimea); poi l’ennesima repressione della Polonia nel 1863.
Tralasciando le innumerevoli invasioni del Caucaso, da Tolstoj a Putin, e i disastri contro il Giappone, la Prima Guerra Mondiale non va bene, pur iniziando con l’invasione di Prussia e Galizia. Ma già nel 1920 truppe russe (e da ora rosse) assediano Varsavia. Poi Hitler e Stalin si appattano e la Russia occupa mezza Polonia, Bessarabia, Bucovina, Estonia, Lituania, Lettonia e invade la Finlandia. Liquidato il socio tedesco con l’aiuto fondamentale angloamericano, e la neutralità giapponese, giustamente ricompensata con un’invasione, la Russia si allarga ad Ovest di 200 chilometri: così si tiene il bottino preso AI nazisti e quello preso CON i nazisti, compresa la città ideale di Kant, Koenisberg, oggi squallidamente ribattezzata Kaliningrad dal nome di uno degli scherani di Stalin ed irta di missili e casermoni sovietici.
Prima della fine dell’Urss c’è ancora tempo di sparare agli operai berlinesi nel 1953, massacrare gli insorti ungheresi nel 1956, invadere la Cecoslovacchia nel 1968 e quasi occupare la Polonia nel 1980, invasione evitata grazie al colpo di stato di Jaruzelski, il Quisling di turno: esattamente la soluzione prospettata da Putin oggi.
Nel XXI secolo si ricomincia: Transnistria, Abcasia, Ossezia, Crimea, Donbass, e ora Ucraina. Sempre lamentandosi di essere vittime, di difendere il popolo russo, la sua spiritualità: cingolata. Per fortuna non mancano voci di dissenso in Russia, credo che un Gogol o un Bulgakov sarebbero all’opposizione. Ma non credo che lo sarebbero un Dostoevskij o un Solzhenitsin, e anche su Tolstoj avrei dubbi: la xenofobia, il senso di superiorità spirituale non sono prodotti della politica, sono profondamente innati nella cultura russa.
Intanto in Occidente i professionisti dell’anticomunismo si inchinano al colonnello del KGB e alla sua cerchia di cekisti, dando ragione alla teorizzazione leninista degli utili idioti. O è l’oro di Mosca.