«La Bastiglia / Colorno 14 Maggio 1779 / Letta. Rezzonico» (A Colorno, località a nord di Parma, distante diciotto chilometri dalla città, sorge il Palazzo Ducale, in cui il duca Ferdinando era nato e preferiva risiedere).
«La Bastiglia / Commedia priva di senso comune / 29. Maggio / GM Pagnini».
Sono le uniche valutazioni allegate alla Commedia in questione.
Manca altresì la lettera di accompagnamento con il nome dell’autore, ma è come se a ogni pagina io vedessi apposta la firma con cui Gio. Carlo Imbonati autenticò tutte quelle del suo Testamento.
Mi basta, infatti, un colpo d’occhio, per cogliere nell’insieme la struttura inconfondibile della sua grafia: l’omogeneità nella pressione, nella pendenza verso destra, nella forma delle lettere, nella loro dimensione.
Il loro calibro è medio-piccolo, ma esse sono ben distinte e con legature minime o assenti, pertanto, anche in questo caso, si può constatare che lo scrivente vuole che la sua sia una “scrittura chiara”, vale a dire “una scrittura in cui ogni lettera, presa isolatamente, esprima distintamente se stessa e non dia adito a una errata interpretazione”.
Devo, però, segnalare un’anomalia che si nota già nel frontespizio: la spontaneità della scrittura viene meno allorché compare la vu maiuscola, che – acuminata e con l’asta diagonale sinistra ispessita – balza alla vista e contrasta con i tratti più dolci e sottili delle altre lettere.
Una nota stonata, mai presente negli autografi imbonatiani, in cui la vu maiuscola è sempre tondeggiante e senza becchi.
È obbligatorio «saper essere critici nei confronti delle nostre stesse ipotesi» (Karl Popper, Congetture e confutazione); pertanto, nei momenti della più rigorosa autocritica, mi sono persino detta che, in base al criterio di falsificabilità di Popper, la grafia non può essere dell’Imbonati, poiché una lettera smentisce quella congettura.
Ma la vu maiuscola è talmente innaturale ed enfatizzata che ho voluto riesaminarla con circospezione, tenendo conto dell’insolita situazione dello scrivente.
Infatti, ogni volta in cui affronta questa lettera, il suo tratto perde fluidità e naturalezza, per uniformarsi a un modello convenzionale.
Perché?
Carlo Imbonati, consapevole di avere una maniera personale di tracciare la vu maiuscola, opposta agli stereotipi proposti dai maestri calligrafi del tempo, si era forse imposto di adeguarsi alle loro regole, poiché il Programma del Concorso prescriveva di inviare un componimento “bene scritto”?
Purtroppo, questa giustificazione poteva appagare soltanto me.
In ogni modo, dover rallentare la velocità, perché sono necessari stacchi della penna o rotazioni, e quindi interrompere il flusso spontaneo della scrittura è una forzatura stancante.
Ecco, infatti, che nell’ Atto Terzo, Scena VII, la vu maiuscola – nel verso “Viver appien contento […]” – ha due beccucci residui, ma è tracciata con un tratto naturale, tondeggiante, e nella successiva Scena VIII, il verso “Verrà il momento, in cui tutto saprai” mostra una vu maiuscola del tutto simile a quella della data “28 Ventoso An.7. Rep.°” e del nome “Vergani”, ripetuto quattro volte nella lettera, scritta da Gio. Carlo Imbonati al “Dicastero Centrale” (V. puntata n. 11).
Di più: la vu di “Verrà” pare addirittura sovrapponibile a quella del “Voi”, con cui inizia la richiesta dell’Imbonati di una dilazione al ritorno in Milano, indirizzata ai “Cittadini Deputati” presso il Direttorio: il documento la cui fotocopia fu utilizzata a Parigi, per la perizia calligrafica che stabilì la riconducibilità a Carlo Imbonati del poemetto La Résignation (V. puntata n. 11, foto).
Nella nona e ultima scena del terzo atto incontriamo una sola volta la vu maiuscola, nel verso: “Valli a dire”, ed è tracciata in maniera spontanea. Infine, nel quarto e quinto atto, le due maniere di scrivere quella lettera si alternano, ed è evidente che lo scrivente non è più assillato dall’obbligo di attenersi a un modello.
Svanita ogni mia perplessità, provo una grande gioia, perché ho davvero tra le mani ciò di cui avevo avuto “aspettativa”.
È una Commedia che rispecchia i “tratti” di personalità di Carlo Imbonati e la vastità del suo sapere. In ognuno dei cinque Atti si sentono echeggiare voci e temi connotativi del “secolo educatore” in cui l’Imbonati visse, quindi soppeserò a lungo e valuterò ogni segnale, ogni traccia, ogni somiglianza, ogni allusione, ogni risonanza.
Già il titolo differenzia questo componimento dagli altri, rilegati nel medesimo codice miscellaneo, “Drammatica 805”: L’ospite infedele; Lo intrigo delle conversazioni; Il discolo ravveduto; La Scuola de’ Padri; […].
Si sa che, in Europa, il nome Bastiglia assurse a simbolo del dispotismo, dopo l’anno 1783, in cui furono pubblicate le “Memorie” di Simon-Nicolas-Henri Linguet (Mémoires sur la Bastille, et la détention de l’auteur dans ce château royal depuis le 27 septembre 1780 jusqu’au 19 mai 1782, par M. Linguet, disponibile in rete).
Nel 1779, al contrario, un alone di mistero circondava quella fortezza di Parigi (detta Bastille Saint-Antoine, perché situata presso la porta del quartiere Saint-Antoine), adibita a prigione di Stato al tempo di Luigi XIII.
In Italia, essa poteva esser nota, per ciò che rappresentava, soltanto a pochissimi studiosi, forse indotti a scandagliare i problemi della legislazione penale, a livello europeo, sull’onda di commozione suscitata dall’opuscolo di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene.
Considerando con quanto zelo Carlo Imbonati aveva voluto documentarsi, nel 1778, sul processo contro i presunti “untori”, e conoscendone l’impegno etico verso se stesso e verso gli altri, si arguisce che si doveva essere occupato a fondo anche della lotta per la riforma della legislazione criminale che si combatteva già da molti anni, in Francia.
Iniziata dagli Enciclopedisti, essa aveva avuto notevole divulgazione per merito del discorso con cui l’avvocato generale del Parlamento di Grenoble Michel Servan aveva inaugurato l’anno giudiziario 1766-1767 (Discours sur l’administration de la Justice Criminelle, prononcé par M. S. avocat-general (1767) disponibile in rete) ed era culminata nell’attacco di Voltaire contro le “tigri” del Parlamento francese – di cui rimane un rendiconto nella drammatica lettera, indirizzata da Voltaire a Beccaria nel 1768 (Relation de la mort du chevalier de la Barre, par M. Cass***, avocat au Conseil du Roi. A Monsieur le Marquis Beccaria, disponibile in rete).
Strettamente connesso al titolo La Bastiglia è il motto scelto come contrassegno della commedia: “Libertas, quae sera tamen respexit…”, verso mutilo della I Egloga di Virgilio: “Libertas, quae sera tamen respexit inertes”.
Titolo e motto concorrono, infatti, a individuare l’area d’interesse dell’autore: la libertà, ma anche la giustizia, poiché l’omissione del virgiliano inertes sottende un ben preciso giudizio circa una libertà che, se aveva tardato tanto a essere raggiunta, non era davvero per colpa degli oppressi.
Tradizionalmente soggetto della tragedia, il binomio libertà e giustizia può quindi sostanziare una Commedia, in quanto costituisce la quotidiana situazione di angoscioso anelito dei due protagonisti, segregati dal mondo: il marinaio inglese Roberto, da trenta mesi detenuto, benché innocente, e il Tenente di Marina inglese Riccardo, un tempo al servizio della Francia, poi “ribelle della Corona”, quindi colpevole, ma da dieci anni deprivato di un regolare processo.
Sul palcoscenico scorre la loro ultima, inimmaginabile notte di prigionia, poi l’ancor più eccezionale giornata seguente, in cui otterranno la libertà dal ministro Rosbak, indotto a detestare i propri atti di prevaricazione dal comportamento “virtuoso” di Eugenia, la giovane innamorata di Roberto.
A questo proposito, è importante segnalare il fatto che, nel Fermo e Lucia (per merito del professor Vigorelli considerato oggi “il primo romanzo del Manzoni”, “dall’altro diverso per impianto e per lingua”), commentando l’«edificazione» della folla, per «il risarcimento del male» fatto a Lucia dal Conte del Sagrato, l’autore scrive: «Tanta è la bellezza della giustizia: per tarda ch’ella sia (il corsivo è mio) innamora sempre quando è volontaria» (Fermo e Lucia, Tomo III, Cap. IV, p. 400).
Si può dunque credere che anche La Bastiglia abbia lo scopo di indurre a riflettere sulla capacità che ha l’uomo di ravvedersi e di provare amore del bene.
Di più: ho la sensazione che essa possa considerarsi quasi un’anticipazione del Fermo, e seguirò anche questa traccia.
Indubbiamente, se all’autore della Commedia fosse consentito di far sentire la propria voce, al calare del sipario, con gioia sentenzierebbe: «La forza che spontanea, non vinta, non strascinata, non minacciata si abbassa dinanzi alla giustizia, che riconosce nella innocenza debole un potere, e domanda grazia da essa, è un fenomeno tanto bello e tanto raro, che beato chi può ammirarlo una volta in sua vita» (Fermo e Lucia, Tomo III, Cap. IV, p. 400).