Il nazionalismo ucraino e l’ombra di Bandera

Stepan Bandera

Stepan Bandera

Simbolo OUN-B

Simbolo OUN-B

PAOLO LAMBERTI

Leggendo Guerra e pace, o la storia della campagna napoleonica, ci si rende conto di come l’impero zarista fosse il classico impero multietnico e multiculturale formato da una massa di servi della gleba comandata da un’aristocrazia in cui la nobiltà contava più dell’origine etnica: nobili russi, ucraini, bielorussi, polacchi, finlandesi, armeni, georgiani, cosacchi, con continui matrimoni con la nobiltà europea, germanica soprattutto.

Ma proprio l’impresa napoleonica ed il susseguente Romanticismo creano lo spirito nazionalista che agita le varie etnie, che a loro volta si sentiranno oppresse in quell’impero che diventerà noto come la “prigione dei popoli”. Tale nazionalismo toccherà anche i grande russi, che da allora si sentiranno divisi tra il senso di superiorità e il bisogno di sentirsi fratelli maggiori di una famiglia di popoli, non solo slavi; infatti è proprio nel corso dell’Ottocento che l’espansione zarista nel Caucaso e in Asia pone Mosca in una ambigua situazione a metà tra il colonialismo razziale (“Il fardello dell’uomo bianco”) degli imperi europei e la spinta “civilizzatrice” degli USA (Go west).

Tale dicotomia rimane irrisolta sino ad oggi: Lenin si sente europeo ed asiatico (anche nei tratti del volto), e Stalin traccerà nel suo libro sulle nazionalità (Il marxismo e la questione nazionale) un quadro di armonia tra lo stato marxista e le identità nazionali; del resto rimane un georgiano che parla russo con un pesante accento e si circonda di personaggi non grande russi: Beria mingreliano, Mikoyan armeno, Ordžonikidze georgiano. Questo non gli impedirà di appellarsi al patriottismo russo in occasione dell’invasione tedesca. Lo stesso Putin oscilla tra la sua identità leningradese (o sanpietroburghese, dipende se guarda a Pietro il grande o al padre, ufficiale del NKVD) e la sua visione di una Russia multietnica ed euroasiatica.

Nell’Ottocento sono i polacchi a rappresentare con più forza la volontà di liberarsi dalla “prigione dei popoli”, con una serie di rivolte che suscitano ampie simpatie in occidente ma scontri tra gli intellettuali slavi (cfr. il mio Puškin o Putin? Il lato oscuro della slavofilia). Del resto la giovinezza di Tolstoj è trascorsa come ufficiale, tra 1851 e 1855 prima combatte in Caucaso poi a Sebastopoli: un destino esemplare, una guerra coloniale (proprio in Cecenia, la storia si ripete) e una contro l’Occidente europeo.

La svolta avviene con la fine della I guerra mondiale: le due rivoluzioni, l’avanzata tedesca, i trattati postbellici, la guerra civile russa spezzano le sbarre della prigione: ma la storia del secolo successivo indica come non si trovino soluzioni stabili. Anche le nazioni che persino Orsini non attribuirebbe a Mosca, ovvero Polonia e Finlandia, vedono la loro esistenza minacciata con la guerra (Finlandia 1939/40) o la cancellazione (Polonia 1939-1945, rinata spostata di quasi 200 km verso Ovest); gli stati baltici hanno passato metà tempo indipendenti e metà come parte dell’URSS, e la loro indipendenza è tutt’altro che sicura: motivo decisivo per la loro adesione a UE e NATO, tanto invisa ai putiniani. Decisamente più cupa la sorte dei popoli che abitano quelle che Snyder chiama “terre di sangue”: ucraini, bielorussi, moldavi, e le molte minoranze che sotto gli imperi (russo, austro-ungarico, persino ottomano) coesistevano con relativa facilità.

Guardando solo all’Ucraina, in gran parte occupata dai tedeschi nel 1918, con il trattato di Brest-Litovsk, la ricerca dell’indipendenza rivelò le sue divisioni interne dando origine a quattro diversi governi. La Repubblica Ucraina del Popolo, tra 1917 e 1920, riconosciuta dal governo provvisorio russo nato dalla rivoluzione di febbraio, indipendente dal 1918, dapprima socialista sotto Petljura, poi rovesciato da un leader imposto dai tedeschi, cancellata dall’Armata Rossa e dal trattato di Riga del 1920. La Repubblica del Popolo dell’Ovest Ucraina visse tra 1918 e 1919, unendosi a quella precedente e comprendendo le aree ucraine già austroungariche, cosa che portò a duri scontri con i polacchi. Nel 1919 durò alcuni mesi la Repubblica di Hutsul, che comprendeva territori confinanti con Ungheria e Cecoslovacchia (l’antica Rutenia), che assorbirono quest’area. Né mancò nel 1917 una Repubblica Sovietica Ucraina nella zona di Kharkiv, che in seguito alla guerra civile si trasformò nella Repubblica Socialista Sovietica cofondatrice dell’URSS nel 1922.

Ma prima del 1922 le terre ucraine videro una propria guerra civile, interna a quella sovietica ma con caratteristiche proprie; Bulgakov nella Guardia Bianca e nel dramma I giorni dei Turbin ce ne dà testimonianza: infatti oltre a Bianchi e Rossi, e ai nazionalisti dei vari governi, un ruolo centrale svolsero i “Verdi” di Machno, un esercito anarchico e contadino che dominava le campagne.

La vittoria dell’Armata Rossa ebbe terribili conseguenze: diffidando sia della borghesia ucraina che dei contadini, meno poveri che altrove, l’URSS, sotto la guida di uno Stalin che stava consolidando il suo potere ma ancora dipendeva dalla vecchia guardia bolscevica, scatenò la collettivizzazione delle campagne per ottenere le risorse per il piano quinquennale di industrializzazione. Il risultato è oggi noto come Holodomor (da “uccidere per fame”) o “Grande carestia”, tra 1932 e 1933; le vittime furono milioni, le stime, spesso influenzate dalla politica, variano molto, ma escludendo i 7/10 milioni di politici ucraini è probabile che si possa calcolare una cifra tra i 2,5 e i 5 milioni di morti per fame, malattia, deportazione, con frequenti casi di cannibalismo.

Pochi anni dopo arriva il Terrore: la leadership dell’Ucraina viene cancellata, e a presiedere la Repubblica è inviato Kruschev: nel solo 1938 106.119 persone vennero arrestate in Ucraina, per essere fucilate o deportate; il simpatico contadino apprezzato da papa Giovanni XXIII aveva zelantemente superato le quote fissate da Stalin (allora prima si fissava il numero dei nemici, poi si cercavano).

Se gran parte dell’Ucraina odierna si trovava nell’URSS, la parte occidentale, la Galizia, già dell’Impero Austro-Ungarico, era in Polonia, e tra polacchi ed ucraini i rapporti erano pessimi. Furono esuli ucraini a fondare a Vienna nel 1929 l’OUN (Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini), che si strutturò secondo il modello fascista, allora dominante in Europa; il loro primo bersaglio fu appunto la Polonia, ma i loro metodi, mutuati dal fascismo italiano, miravano ad usare il terrorismo anche verso URSS, Cecoslovacchia e Romania, i paesi in cui esistevano comunità ucraine.

Qui emerge la figura di Bandera: galiziano, figlio di un sacerdote greco-cattolico, si radicalizzò come nazionalista a Lviv (allora Lvov), divenne antisemita ed antipolacco, ancor più che antirusso; fu coinvolto nell’assassinio del ministro polacco degli Interni; condannato a morte e poi all’ergastolo nel 1934, fu scarcerato con la caduta della Polonia. Nel 1940 l’OUN si scisse in due fazioni, una più moderata (OUN-M) ed una più radicale (OUN-B) guidata da Bandera, che mirava ad una collaborazione con i nazisti, e formò una “legione ucraina”.

Vale la vecchia regola che il nemico del mio nemico è mio amico; così al momento dell’invasione nazista dell’URSS i popoli oppressi da Stalin gravitarono verso i tedeschi. Ma Hitler pianificava di sterminare almeno 30 milioni di slavi, e la sua ideologia razziale poteva tollerare baltici, finnici o persino romeni, ma non ucraini, bielorussi o moldavi. Chi immagina che Hitler abbia perso l’occasione di avere preziosi alleati, non capisce che il Führer non era un politico alla Bismarck, ma un ideologo razziale. Purtroppo l’unica base di contatto tra questi popoli e i tedeschi era l’antisemitismo, di qui l’ondata di pogrom che dal Baltico scesero verso Odessa, con una ferocia che a volte sconcertò anche le SS. Baltici, bielorussi, ucraini si distinsero accompagnando e anticipando gli Einsatzgruppen, intorno ad Odessa fu l’esercito romeno a occuparsi della liquidazione degli ebrei.

Ma la vicenda di Bandera fu esemplare delle intenzioni naziste: l’OUN-B proclamò il 30 giugno 1941 la nascita di un’Ucraina indipendente a Lviv, alleata con i nazisti: ma il 5 luglio almeno 1500 nazionalisti ucraini vennero arrestati dalla Gestapo, Bandera finì agli arresti e poi in un lager, a Sachsenhausen, nella sezione riservata ai prigionieri politicamente da risparmiare. Invece i tedeschi utilizzarono i membri dell’OUN-M come collaborazionisti; ma nell’estate del 1942 anch’essi furono cancellati dalla Gestapo.

Invece l’OUN-B mantenne un certo controllo della Galizia, con la tolleranza tedesca, combattendo sia i polacchi che i partigiani sovietici, e scontrandosi con l’OUN-M. Guidato dall’OUN-B era anche l’UPA, organizzazione militare ucraina sorta nell’estate 1942 da vari gruppi armati, che combattè sia a fianco che contro i tedeschi, ma soprattutto contro i russi e i polacchi, con una serie di pogrom antipolacchi; nel settembre 1944 Bandera venne liberato per guidare l’UPA, che doveva operare nelle retrovie sovietiche e a fianco dei tedeschi, ma ormai l’Ucraina era già occupata dall’Armata Rossa. Bandera si rifugiò al termine della guerra in Germania Ovest, dove rimase in bilico tra processi per crimini di guerra e legami con i servizi segreti, soprattutto inglesi (MI6) e tedeschi (BND). Invece l’UPA continuò per alcuni anni una guerriglia debolmente appoggiata dall’Occidente, con l’OUN-M aiutato dalla CIA e i banderisti dall’MI6 inglese, peraltro infiltrato da  Philby, l’agente russo nei servizi inglesi. Non stupisce che i sovietici eliminassero ogni opposizione, gli ultimi arresti furono nel 1958; continuarono anche a dare la caccia agli oppositori, così Bandera venne assassinato dai servizi russi nel 1959 in Germania Ovest, con l’uso di proiettili a gas di cianuro: non si può dire che i russi non siano fedeli alle proprie tradizioni anche oggi.

Quanto sia complicata la storia delle “terre di sangue” è evidente dall’intera vicenda di Bandera, che nel 2010 fu proclamato Eroe del Popolo Ucraino, per la lotta per l’identità ucraina e contro la repressione stalinista; questo non può però assolverlo dall’appoggio ad Hitler e dai massacri di ebrei e polacchi, condotti in suo nome e dai suoi simpatizzanti; i suoi legami con i nazisti e il suo spirito razzista e fascista non possono e non devono certo farne un eroe europeo. Felice il paese che non ha bisogno di eroi. Ma in chiave di antifascismo, è vero anche quello che scrive Snyder sul NYT il 20 maggio: dovesse vincere la Russia, i fascisti nel mondo ne sarebbero confortati.