Vivere al confine con la poesia

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GABRIELLA MONGARDI

Il libro Confine donna. Poesie e storie di emigrazione (Vita Activa Nuova edizioni, Trieste 2022) vuole «comporre un articolato mosaico di storie d’espatrio al femminile, con la speranza che possa rilucere in questo tempo fosco, nel quale si assiste a una recrudescenza di vecchie e nuove forme di disuguaglianza e prevaricazione», e nella consapevolezza che «dare voce a chi è stata protagonista di un’esperienza migratoria, declinata in tempi e modalità differenti, con esiti altrettanto eterogenei, amplifica la possibilità di un ascolto che colga in queste singole vicende personali l’universale destino che accomuna ogni essere umano» – come afferma la curatrice Silvia Rosa nell’illuminante e appassionata “Introduzione”. In effetti, il libro nasce dalle interviste a poetesse straniere in Italia  apparse sulla rivista digitale Poesia del nostro tempo dal 2017 al 2019 e si articola in 21 capitoli, ciascuno riservato a una poetessa che narra le tappe essenziali della sua storia di emigrazione. Tutti i capitoli sono suddivisi in tre sezioni intitolate rispettivamente: “Prima di attraversare il confine”, “Scrittura e lingua oltre confine”, “Il confine dei confini” e terminano con una selezione di poesie dell’autrice. Basta leggere queste testimonianze per toccare con mano quanto siano assurdi, totalmente ingiustificati, i limiti che ostacolano gli spostamenti degli esseri umani sul pianeta Terra, nostra casa comune, arbitrariamente da noi ritagliata in “nazioni” che escludono quelli che non vi appartengono. Come dice la poetessa rumena Eliza Macadan: «Il ‘Paese d’origine’ è un concetto troppo moderno per i miei gusti, è una trovatina di data recente nell’esistenza umana e spesso mi chiedo come avranno fatto gli ingegneri della politica a incollare sui nostri cervelli una simile astrazione, come sono riusciti a farci credere a una tale enorm-(i)realt(à) – le popolazioni, dagli albori del tempo, si spostano di continuo, le regole secondo cui lo fanno sono racchiuse nel nostro DNA…».

A me sembra però che dal libro emerga anche altro di altrettanto importante, in una sorta di inevitabile eterogenesi dei fini, e cioè un discorso sulla lingua della poesia come lingua “altra” e sul rapporto che il poeta ha con essa. Dalle parole della poetessa polacca Barbara Serdakowski («cambiare lingua per me è stato come per un musicista dover cambiare strumento musicale») si deduce che per un poeta la lingua in cui compone è uno strumento musicale che va “suonato” per trarne melodie seducenti. Non importa di quale lingua “naturale” si tratti: che sia la prima o la seconda, la terza o… la quinta (Barbara poco prima confessava: «Vivevo quotidianamente in  5 lingue e le poesie fluivano con naturalezza»), unico è l’atteggiamento del poeta di fronte ad essa, analogo appunto a quello di un suonatore rispetto al suo strumento: una forma d’amore. Tutte le poetesse intervistate parlano esplicitamente di “amore” per la lingua in cui si stanno esprimendo, l’italiano: un amore talmente forte che in molti casi le ha indotte a utilizzare nelle loro poesie solamente la lingua “nuova”, mentre in altri casi accanto al nuovo “amore” è rimasta la fedeltà, la nostalgia per la prima lingua. Del resto, per dirla con le parole della poetessa brasiliana Vera Lùcia de Oliveira, «le due lingue non si fanno concorrenza perché ognuna ha il suo ambito, il suo spazio nell’anima», così come un vero musicista suona più di uno strumento e ciascuno gli serve per esprimere “qualcosa” che con l’altro non direbbe.
Da queste testimonianze emerge che quella della poesia è sempre una lingua “straniera”, un linguaggio “universale a priori”  che sta a monte di tutte le lingue usate dagli esseri umani per le loro esigenze comunicative e si “traduce” in esse, generando quelle epifanie di senso che sono le poesie: ma chi non ha in sé questo “linguaggio” non sarà mai un vero poeta, per quanti versi scriva…

Un altro aspetto della poesia emerge chiaramente da questo libro, e cioè la dimensione corale. La coralità è un elemento costitutivo del libro, in quanto si presenta come un coro di voci che raccontano le loro personali storie di migranza, ma ciascuna voce poetica, ciascuna delle liriche in esso contenute è arricchita e valorizzata proprio dal fatto di non essere espressione di un’esperienza individuale unica e irripetibile, ma di essere legata alle altre dalla condivisione di un destino comune. Solo nella condivisione, nella comunanza la parola poetica trova il suo compimento e adempimento, perché il vero poeta prende su di sé le pene di tutti e parla per tutti, a nome di tutti.

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Confine donna. Poesie e storie di emigrazione sarà presentato a Torino alla Libreria Trebisonda, via S.Anselmo 22, alle ore 18 del 21 maggio p.v., all’interno della manifestazione Salone Off.