Claudio Sottocornola è filosofo che usa i più disparati mezzi espressivi per indagare la realtà ed esprimere la propria visione delle cose, spaziando dalla performance musicale al collage, dalla fotografia al saggio mémoire, dalla poesia al disegno, convinto che un approccio interdisciplinare e olistico restituisca opportunità di conoscenza e di bellezza amplificate.
“Mythos”, plaquette uscita in contemporanea con “Occhio di bue” LINK (indagine sulla cultura pop, fra luce e oscurità del palco), è un percorso visivo che ha per tema la notte, fotografata da Sottocornola per la sua valenza onirica e simbolica: luogo dell’indeterminato e indistinto, luogo di ibridazione di identità e ambito dell’attesa, del margine, del confine… Condizioni dell’esistenza particolarmente gradite all’autore che appunto attraverso la notte le celebra.
Sottocornola agisce su tre piste d’indagine: il quartiere di “Colognola”, alla periferia di Bergamo, dove egli vive da sempre, testimone della sua desertificazione sociale e demografica, ma soprattutto interprete della sua anima marginale, borderline fra campagna e città che, proprio in virtù della spoliazione dei segni, diviene metafora dell’attesa e del desiderio che attraversa incessantemente l’umano. Il fatto di viverci da adulto, di non “essere andato via” – ora che il luogo si è umanamente desertificato – ricorda all’autore la categoria della “restanza” che Vito Teti, sociologo di Vibo Valentia, evoca a proposito dei paesini calabri ormai abbandonati e popolati da nuovi migranti, come condizione di una partenza più radicale, di un viaggio più ontologicamente irreversibile e in totale perdita, verso la propria appartenenza originaria, e che qui, a differenza che nel Sud, orgoglioso delle proprie radici, fa i conti con una indifferenza e un incarognimento diffusi.
E difatti la seconda pista indagata conduce a quello che per Sottocornola è il luogo di vacanza della vita, la Calabria jonica, in particolare il lungomare di “Locri”. Anche in questo caso il declino appare inesorabile, un dissesto fisico ma non solo, se si pensa all’abbandono, al venir meno della socializzazione, legata anche alle varie attività, molto più che entità commerciali o ricreative. Eppure egli coglie qui la fierezza di una popolazione magno-greca che resiste nei suoi epigoni, e dunque giovani e ragazze palesemente ai margini ma proprio perciò vogliosi di affermazione e riscatto. All’autore dunque Locri ricorda l’infanzia, gli anni ’60, il calore della gente di quel decennio, che lì, in una sorta di viaggio à rebours riesce a ritrovare.
L’ultima sezione, “Dalla finestra”, propone alcuni scatti notturni dalla finestra di casa dopo una vittoria della nazionale di calcio, quando sula strada statale scorrono le auto in festa, tra luci e clacson assordanti, situazione all’apparenza opposta alle precedenti, ma in realtà affine, a fronte del dato che tale giostra di clacson e carosello di auto lascerà del tutto inalterata la condizione di immobilità delle esistenze che torneranno il mattino seguente alla loro quotidianità, alla medesima routine di sempre, e dunque al medesimo senso di marginalità e ininfluenza.
Come Sottocornola racconta tutto ciò? Attraverso scatti realizzati con un vecchio cellulare Nokia e salvati caparbiamente dall’oblio, recuperando un programma per estrarne i file nel solco di quel mood – come sottolinea il critico Mario Bonanno – che spinse lo stesso regista Wim Wenders a scattare centinaia di foto con vecchie Polaroid, paesaggi urbani, interni/esterni, per compendiarli nel volume “Polaroid Stories”. “Una dimensione spaziotemporale frammentata e ricompattata di continuo (strade-onirismi-edifici-trascensioni-battigie-morgane), stazioni di un itinerario ontologico insonne e lucidissimo”, commenta ancora Bonanno.
“La prima cosa che mi viene in mente come storico dell’arte che ha interiorizzato le immagini della propria esperienza visiva in campo artistico sono le immagini del tardo Monet (le più famose sono le cattedrali) quando la figura rappresentata perde i suoi connotati ottici e fotografici per assumere la dimensione dell’immagine della ‘memoria’”. Così Dario Franchi, che individua nell’indeterminato e nel disfacimento delle immagini di Sottocornola, l’elemento di fascino e attrazione esercitato dalla notte e tradotto in scatti rapidi e fugaci, quasi smaterializzati e dislessici.
Mentre Athos Enrile chiosa: “La notte è bella. La notte è maledetta. Il silenzio e la solitudine amplificano il disagio… per alcuni, ed ogni minuto carico di pensieri sembra duri una vita. Il silenzio e la solitudine possono anche essere un conforto, un momento in cui la riflessione appare facile e le idee prendono corpo nitidamente… nonostante il buio. Claudio Sottocornola, dalla sua posizione privilegiata, osserva, immortala, rimembra, e ciò che crea, con apparente facilità, diventa ciò che avremmo voluto dire o fare… ma non ci abbiamo mai pensato… nonostante la nostra piccola videocamera sia perennemente in azione in ogni frangente della nostra esistenza”.
E Claudio Sottocornola conclude: “Non potete immaginare la mia gioia nel vedere queste immagini sgranate… io che mi rifiuto di indossare gli occhiali al cinema per poter godere così di un’immagine meno nitida, io che odio l’alta definizione e l’iperrealismo di tanta arte contemporanea, e che qui, in queste foto, ho ritrovato davvero il mio mythos, la notte sì, con tutta la sua incertezza, indeterminatezza, vaghezza e vacuità… Notte, abbandono, periferia, evasioni, margini… Il luogo del possibile come luogo della libertà…”.
Il mini-book “Mythos” (2021) affianca alle iniziali note dell’autore i testi critici di Mario Bonanno, Dario Franchi e Alberto Marengoni e rappresenta l’ultimo percorso visivo dell’autore dopo i celeberrimi collage “Eighties/laudes creaturarum ’81”, sul mitico decennio degli anni ’80 (2007), la mostra itinerante “Il giardino di mia madre e altri luoghi”, oltre duecento foto nel ricordo della madre mancata (2010), e infine le “regressioni all’infanzia” dei disegni di “Pop Ideas”, su icone e feticci della popular culture, fra sacro, profano e quotidiano, integrati nell’opera transmediale “Saggi Pop” (Marna, 2018).
Mythos: http://www.
(a cura di Gabriella Mongardi)