Dalla prefazione di Chiara Zamboni
Le donne per strada camminano veloci in una direzione o in un’altra, affaccendate, sorridenti o serie, con lo sguardo preso da qualcosa. Infinite vite in movimento. Ma verso dove? Quali sono i loro impegni? Com’è la loro esistenza?
Gabriella Musetti le segue con questi suoi brevi testi poetici. La vita offrirebbe molto a queste donne, se colta nel suo lato inaddomesticato, ma l’autrice ci mostra donne che vivono per lo più a caso, irrisolte. Con una vita incerta. Sono affaccendate e prese da tanti impegni – questo sì –, ma la trama della loro vita è sfilacciata e si sfalda perché non c’è un orientamento che le guidi e con il quale esse mostrino un disegno riconoscibile. Come tutti, le donne, nascendo, trovano a caso la loro collocazione nell’esistenza, ma per di più molte hanno continuato anche dopo a muoversi a caso nella vita. Senza economia. Con una grande dispersione.
Di una donna orientata si dice in genere che ha saputo obbedire al proprio talento, alla sua qualità essenziale, che di frequente si mostra alla fine della vita come la trama di un destino a cui lei ha obbedito. Diremmo, affidandoci alla figura dell’Angelo, che un Angelo invisibile l’ha guidata, perché è il suo doppio che l’accompagna prendendola per mano fino alla morte, dove vedrà il proprio autentico volto.
Gabriella Musetti, nel guardare queste donne, non si affida ad immagini così eroiche e destinali, ma vorrebbe che le donne seguissero il coraggio più modesto e terra terra che Emily Dickinson in una lettera, qui citata, descrive. Quello con cui la poetessa è entrata nella foresta della vita, nonostante gli avessero detto del pericolo, e ha incontrato Angeli ritratti e timidi come lei, con i quali provare a fare un percorso assieme.
Una cerniera fondamentale del testo è quella di mettere in controluce le vite di queste donne anonime, segnate da una esistenza a caso, con le vite di donne che hanno invece rifiutato i binari di un’esistenza prescritta, si sono sottratte, in uno dei modi che abbiamo a disposizione e cioè il suicidio. Sono grandi poete quelle a cui il testo qui allude: Virginia Woolf, Marina Cvetaeva, Amelia Rosselli, Ingeborg Bachmann, Antonia Pozzi e alcune altre. Tutte hanno lasciato volontariamente la vita per un rifiuto e troppo dolore. E ciò mette in evidenza quelle che invece, a differenza di queste poete, hanno continuato comunque a vivere in un modo qualsiasi. Non hanno rigettato l’esistenza.
Da Un buon uso della vita (Samuele editore 2021)
le donne che non volano dal balcone
giù nella chiostrina
trovano dentro la forza
di aspettare
la cantilena delle voci matte
mezzo sentite
mezzo immaginate
nel vortice del vivere distratte
*
era morta con la luna storta
era morta sopra un cuscino estraneo
di un vicino fuori della sua casa
come faceva a spiegare
a chi gliel’avesse chiesto
che era uscita in giardino
solo a fumare una sigaretta
scavalcata la finestra s’era trovata
nella casa buia decisa
a seguire il suo destino?
*
lei vide cadere un suo occhio
nel piatto e lo raccolse
si disgregava pezzo
a pezzo ma non moriva
semplicemente non sapeva
come uscire dall’impasse
e fu mentre pensò che tutto finì
*
le donne che non si bruciano di notte
negli androni scuri della casa
restano senza voce
quasi pietrificate
mentre dall’esterno la vita
le seduce
*
un buon uso della vita
e la nostra autobiografia / di tutti
– dice Maria Pia –
diventi un viaggio
meno accidentale
non raro non avaro
e strisci dentro
luoghi contenenti sale
Gabriella Musetti vive a Trieste. Da vent’anni organizza “Residenze Estive a Duino”, Incontri residenziali di poesia e scrittura. Fa parte della Società Italiana delle Letterate. Ha fondato la casa editrice Vita Activa Nuova APS. Collabora a riviste letterarie. È presente in antologie critiche. Ha scritto libri per la scuola e saggistici tra cui: Guida sentimentale di Trieste (2014), Dice Alice (2015), Oltre le parole. Scrittrici triestine del primo Novecento (2016). Ultimi libri di poesia: A chi di dovere (2007); Beli Andjeo (2009); Le sorelle (2013); La manutenzione dei sentimenti (2015). Ha vinto il Premio Senigallia (2007); il terzo Premio Malattia della Vallata (2009); il secondo Premio Subiaco. Città del libro (2014); il Premio speciale San Vito al Tagliamento (2017).
(A cura di Silvia Rosa)