Fabrizio Sani, Il contrario di abitare

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FABRIZIO SANI

Disordine e primavera
Non piangere ancora,
nonostante sia inesplicabile la tristezza
di attendere un’alba priva di desideri,
una mattina di primavera
senza un amore di cui prendersi cura.
Malgrado il rimpianto nella solitudine,
e la confusione che hai generato,
nonostante tu sia il solo colpevole,
come ti sei prontamente dichiarato,
intanto che il sole colava sangue
sulla tua ombra distesa a terra.
Niente è più al suo posto,
non c’è nemmeno rimasto il posto
e la mancanza è la tua emorragia interna.
Malgrado ciò, prendi il godere dal disordine.
Il disordine è il solo modo razionale di vivere.

Saluto
Mi aspettavi a Porta Maggiore.
Io ero in tram
e sollevavo una mano per salutarti.
Eri talmente lontana
che il piccolo naso della bambina,
in piedi di fronte a me,
bastava a eclissare l’intera piazza
straripante di persone.
Io però ti vedevo
e sollevavo una mano per salutarti.

Parietaria
Marica è un temporale.
Di quelli primaverili
che lasciano in giro l’odore di parietaria.
È abbastanza per tagliarmi i respiri.
Educata e graziosa,
dovunque in questa stagione:
veste il mondo intero, camuffata,
banalmente, gialla di sole e rossa di passione.
Ma è verde di incoscienza
e serenità selvaggia.

L’attraverserò senza toccare niente,
ne uscirò a mani vuote.
Potrò solo correre,
fradicio, trascinando via con me
il mio sconfinato amore,
senza raggiungere mai
un tetto o un riparo,
da quest’aria gravida di parietaria innocente.

Mettiamo un mattino come un altro
Mettiamo un mattino come un altro,
fischiettando tra i marciapiedi della tua città
– fosse fine primavera –
tra gli smilzi fili d’aria
che la mia bocca lascerebbe cadere
abbandonassi anche qualche lacrima,
tu cosa raccoglieresti?

Mettiamo in un mattino come un altro
volessimo incontrarci in un bar per il caffè
– fosse fine primavera –
e io mi fossi un po’ attardato.
Una volta terminato il caffè,
mi chiederesti, con aria immatura,
di restituire quel tempo insieme che ti ho sottratto?

Mettiamo, dicevo, un mattino come un altro,
chiudessi i tuoi occhi e con le mani le tue orecchie su di me
– fosse fine primavera –
evaporassi assieme a tutto il mondo.
Supporresti che la vita procede ancora,
che oltre la tua morte nient’altro morirebbe?
Sapresti, con certezza celeste, di avermi davanti?

Vorrei sapere: un mattino come un altro,
ravvisando la luce sensuale del sole
– fosse fine primavera –
cominceresti a pensare al caldo che si attenua
in un mattino di fine estate
e alla vigna dove potremmo spogliarci e baciarci,
tra l’uva matura?

In conclusione, mi piacerebbe capire
semplicemente se posso chiamarti amore.

Esce la raccolta di versi Il contrario di abitare di Fabrizio Sani. Guccini diceva che “il peccato fu creder speciale una storia normale”. Ma l’amore è per forza idealizzazione, trasformazione dell’idea di una persona in un’idea di assoluto, eterno, immutabile. Poco importa se, agli occhi degli altri, il nostro sentimento sia indifferente. Tutte le storie sono “normali”, per chi non ne è coinvolto. Quello che fanno gli artisti è descrivere i propri sentimenti non in virtù della persona amata, ma come elevazione di se stessi; è meravigliarsi di essere capaci di provare qualcosa che si era letto nei libri; è riconoscere quello specifico paio di occhi che, in questo inferno, non è inferno (dalla prefazione di Marco Nardone)

Fabrizio Sani è nato in provincia di Arezzo nel 1994 e vive a Roma. È laureato in Editoria e Scrittura presso La Sapienza. La sua prima raccolta di poesie, Si innamoravano tutti di me e io del loro amore, è uscita per SuiGeneris Edizioni nel 2018. Ha collaborato con case editrici e agenzie letterarie. Si occupa di letteratura e cinema su riviste cartacee e digitali. Partendo da alcune poesie contenute in questo libro, ha scritto e portato in scena (assieme al musicista Marco Nardone e alla pittrice Anita Zanetti) uno spettacolo dal titolo Lessico della mancanza.