ANTONIO VIGLINO
La Kundalini è argomento quanto mai misterioso ed affascinante, che induce un qualche timore e al contempo attrae e intriga. Dedicare qualche riga alla sacra Kundalini quindi si auspica possa catturare l’interesse del lettore, tanto più che si indovina siano davvero pochi coloro i quali ne abbiano una valida cognizione.
Proprio per il suo carattere esotico e misterico, sulla Kundalini si sono stratificate superficialità ed errate interpretazioni — a partire niente meno che da C.G. Jung, che vide nel sistema dei chakra, così come peraltro nei misteri dell’alchimia, delle ipostatizzazioni psicologiche.
Tutt’al contrario, se si legge un tantra indù — perché è ovvio che se si vuole conoscere la Kundalini occorre incontrarla nel luogo in cui abita, e non di certo nei testi di una cultura come quella occidentale che riduce aprioristicamente ogni istituto sacro e profano alla propria pregiudiziale struttura della comprensione meramente concettuale e nozionistica — se si legge un tantra indù, si diceva, la Kundalini è descritta più o meno metaforicamente come un serpente, come un’energia latente ed esplosiva, la quale si esplica fisicamente all’interno del corpo e della mente degli uomini.
Come punto di partenza si può prendere il Shat-Chakra-Nirupana (La descrizione dei sei centri), il tantra che Sir John Woodroffe, al secolo Arthur Avalon, Capo della Corte di Giustizia in Calcutta durante l’occupazione colonialista, tradusse in lingua inglese nel 1919, commentandolo analiticamente (e con ciò, per quanto sopra detto, in essenza fraintendendolo) e facendo così conoscere alla cultura europea il potere del serpente. Questo tantra descrive la Kundalini in modo paradigmatico, costituendo si può dire un prontuario ricco e accurato della sua natura e dei suoi effetti.
Esordisce il testo: “Parlerò ora del primo sbocciante germoglio della completa realizzazione del Brahman, che, secondo i Tantra, si ottiene per mezzo dei sei Chakra e del resto, nel loro proprio ordine”. E principia quindi descrivendo le tre nadi principali: Sushumna, che corrisponde alla colonna vertebrale, e ai suoi lati Ida e Pingala, le quali si intrecciano all’altezza dei diversi chakra (e questa figura è la matrice del caduceo di Ermete, peraltro); le nadi sono i canali, nel numero complessivo di 72.000, che innervano il corpo sottile, o corpo yogico, costituito di prana. Il prana a sua volta è l’energia sottile che tutto pervade, ovvero la shakti la quale è l’energia del Principio che è Shiva; il prana è quindi propriamente la Coscienza, quella dimensione di cui ogni forma vitale è in quanto vivente partecipe; l’uomo introduce il prana nel corpo con il respiro, e come si sa il pranayama è una delle modalità di base degli yoga fisici (controllando il respiro si controlla mente, dicono gli yogin); Kundalini è detta pranashakti in quanto è l’energia primordiale nella sua forma più pura. I chakra (letteralmente: ruote) sono i punti di intersezione delle tre nadi, sono precisamente gangli di energia sottile, che, analoghi ai fiori di loto, si aprono al passaggio della Kundalini e con ciò dischiudono ciascuno nuove forme di coscienza. Il termine Kundalini significa “arrotolata”, perché essa è detta essere, anche nel Shat-Chakra-Nirupana, un serpente attorcigliato in tre spire e mezza, addormentata nel chakra più basso, il Muladhara Chakra, o chakra della radice, posto sotto alla base della colonna vertebrale nella ragione perineale, all’imboccatura della Sushumna nadi. (Per la precisione, nella tradizione del Shat-Chakra-Nirupana il Muladhara non è computato come chakra a sé, poiché esso costituisce la base dei sei chakra superiori; in altre tradizioni, ed anche diffusamente al giorno d’oggi, i chakra sono detti essere sette, comprendendosi anche appunto il Muladhara, mentre nella fisiologia sottile delle scuole tibetane i chakra invece sono cinque; sette o cinque sono i chakra principali, poi ve ne sono altri).
Se destata, Kundalini si rizza d’istante come il cobra reale, perforando tutti i chakra fino ad ascendere alla sommità del cranio, dove divampa nella luce di milioni di soli. I chakra che Kundalini attraversa sono, nell’ordine: Svadhishtathana, posto “alla radice dei genitali”, chi medita su di esso sconfigge le tenebre dell’io (Ahamkara) e dell’ignoranza; Manipura all’ombelico, sede del fuoco interiore; Anahata al cuore e “chi medita sul Fiore di Loto del cuore divine simile al Signore del Linguaggio”; Vishuddha alla gola e chi medita su esso “vede i tre tempi”, Ajna al centro tra le sopracciglia, la cui dischiusura è la visione del terzo occhio (“egli vede scintille di fuoco che rifulgono distintamente, poi vede la Luce che ha la forma di una lampada fiammante”) che rende lo yogi onnisciente e onniveggente. L’ultimo chakra è il Sahasrara, il loto dai mille petali posto alla sommità dell’encefalo, dove termina la Sushumna nadi; esso è la sede di Param-guru Shiva, cioè l’esplicazione della piena divinità all’interno dell’uomo: come Shiva è il principio statico della Realtà, in quanto pura Coscienza, e la Dea Shakti ne è la manifestazione (e cioè ne è l’energia, e quindi anche il prana ed anche la Maya), così ciascun uomo ha in sé la pura energia vitale, la vera fonte della vita, ed anche il principio di trascendimento della materia. Quando Kundalini para-shakti (Kundalini è la shakti suprema in noi, la scintilla divina) si unisce al suo Shiva nel Sahasrara Chakra, l’uomo diventa dio; ma la pienezza degli effetti della conquista della dimensione oltre-umana si realizza poi solo controllando la ridiscesa della Kundalini stessa, dal Sahasrara Chakra attraverso tutti i fiori di loto fino al Muladhara Chakra, come illustra dettagliatamente Sri Adi Shankara nello Sri Saundarya Lahari.
Quella del Shat-Chakra-Nirupana è una descrizione tecnica della attivazione della Kundalini; ma il sacro potere serpentino per altro verso percorre, costituendone il nerbo, tutte le variazioni della conoscenza esoterica dell’India. A partire dai sacri Veda, dove Kundalini è anteriormente sussunta in Agni, il fuoco mistico, “l’immortale nei mortali”; attraverso la Bhagavad Gita, quando Krishna descrive puntualmente la pratica di hatha yoga deputata al risveglio del sacro potere serpente; attraverso il colto e raffinato yogi kashmiro Abhinavagupta, fino alla contemporanea scuola dei sannyasin Shivananda e Satyananda, autori di numerosi testi sul kundalini yoga (e sul Vedanta). E celebri, perlomeno tra i lettori curiosi, sono le vicende di Gopi Krishna, il pandit indiano al quale si destò la Kundalini a sua insaputa e nel modo peggiore possibile, dal che gli vennero problemi psico-fisici non indifferenti, sino a che uno yogi non gli insegnò la via degli antichi. Mentre meno noto è che lo stesso Sri Aurobindo, quando fu costretto in prigione per i moti insurrezionali per l’indipendenza dell’India da lui stesso fomentati, in quel periodo praticò il kundalini yoga. E se comunemente si associano alla Kundalini gli yogin asceti, barbuti e colorati, che vivono incuranti di ogni relazione con il mondo, in verità costoro dedicano la loro esistenza al tentare di destare la Kundalini, chi detenga il potere del serpente, invece, vive al di fuori del Karma, nella vita reale, come ad esempio il Buddha Shakyamuni.
Allo stesso modo, Kundalini è il centro delle pratiche del primo livello degli yoga esoterici del buddhismo tantrico tibetano, tanto negli yoga della scuola delle vecchie traduzioni, tanto in quelle delle nuove traduzioni: il noto gTum.mo, appunto uno degli esercizi segreti tibetani, altro non è che la traduzione di “chandali”, termine sanscrito che designa la fanciulla feroce, Kundalini appunto. Ma anche al di là dei confini dell’Oriente Kundalini è il cuore, seppur non inteso, di tante tradizioni esoteriche: riporta ad esempio L. Silburn, indologa autrice di Kundalini, o l’energia del profondo, che yogin le dissero che se l’India è la scuola della Kundalini, l’Egitto ne è l’università.
Orbene, se quello descritto dal Shat-Chakra-Nirupana e da tanti tantra induisti è il livello fisico, per dir così, della Kundalini, esso non è tuttavia sufficiente a rendere adeguatamente conto di questo fenomeno. Kundalini in India è infatti la dea della parola, ed anzi non pochi yogin usano proprio questo come primo appellativo del potere del serpente; e molti tramandano che tra i primi effetti del suo destarsi vi sia la chiarezza d’intelletto e la preziosità della favella, nonché il comprendere magicamente i diversi idiomi del mondo, come accadde ai discepoli su cui Gesù fece discendere lo Spirito Santo.
In termini accurati, come dicono il rishi Gheranda e Patanjali (creduto banalmente un filosofo dagli occidentali… se non altro le sue raffigurazioni statuarie lo presentano con la parte inferiore del corpo costituita da un serpente attorcigliato tre volte e mezza), i primi sentieri della scienza dello yoga sono lo Hatha Yoga, appunto lo yoga delle posture, della respirazione e via dicendo, cui segue il Raja Yoga, lo yoga della mente.
Il dispiegarsi di Kundalini non è cioè il livello massimo cui può giungere l’uomo; è invece il primo imprescindibile passo per l’assimilazione alla vita divina. Nel Rigveda dopo Agni è invocato il deva Soma, il quale non è, come credono scioccamente gli esegeti occidentali e parte di quelli orientali, un miscuglio di piante allucinogene, ma è tecnicamente la prosecuzione del meccanismo di psico-organica trasmutazione dell’intera e intima natura dell’uomo, appunto da Kundalini innestato.
Non è questione di credere o non credere a queste cose. I saggi dell’India da millenni ripetono che questa dimensione sacra o la si esperisce o non la si esperisce, il credervi o non credervi, il capirla o il non capirla, è insignificante. Se questa visione, della realtà e in primis dell’uomo, fosse quella corretta, significherebbe solo che il mondo occidentale ha gettato oltre venti secoli ad inseguire fantasmi concettuali; ma, in ogni caso, la profondità di pensiero e di linguaggio espressa dai saggi e sapienti dell’India di certo non è inferiore al coacervo di astrazioni che costituiscono il nostro mondo.