Elogio della cravatta

cravatte, una scelta

Cravatte, una scelta

PAOLO LAMBERTI

La cravatta è un capo totalmente inutile, ed oggi non è più considerata d’obbligo in gran parte delle situazioni: è quindi il momento di utilizzarla solo per la sua funzione estetica. Anche perché la camicia aperta sotto la giacca, accettabile con il lino, d’inverno fa sempre un po’ “appena uscito da San Vittore”; invece abbottonata sino all’ultimo bottone è perfetta per chi vuole lavorare per gli ayatollah, o per Comunione e Liberazione (ammesso ci sia differenza). Quanto all’obiezione che stringe il collo, è falsa e pretestuosa: la cravatta si annoda, non si stringe, e se vi sentite soffocare è perché insistete a comprare camicie con colletti di due misure troppo stretti, per fingere di non essere ingrassati.
Nel Rinascimento e nel Settecento la moda favoriva i maschi, con ricami, colori e l’irresistibile braghetta tanto lodata da Rabelais, che oggi neppure Dolce & Gabbana hanno avuto il coraggio di riproporre: peccato, una braghetta imbottita sarebbe la giusta risposta ai push up femminili. Invece i colori cupi imposti da Spagna e Controriforma, e ripresi dalla borghesia (e imposti con il blue jeans anche ai ribelli), lasciano agli uomini solo la cravatta come punto di colore, purché sia portata cum grano salis.
Ovvero va portata sulla camicia e sotto la giacca: i maglioncini di lana e peggio i gilet di lana fanno tanto democristiano, anzi doroteo: se avete freddo, compratevi un giaccone imbottito. Eccezione è ovviamente il gilet dei tre pezzi: un tempo si usavano anche gilet in pelle di daino, monocolori ed elegantissimi, oggi scomparsi.
Quanto al materiale, va bene qualunque, purché sia seta: si può discutere se seta pesante (migliore per annodare) o crêpe de Chine, ma la cravatta è come l’elettronica: dipende dal Celeste Impero. Si può ammettere il lino, meglio misto seta, per l’estate, o magari il cashmere per l’inverno, meglio misto seta onde evitare l’effetto gatto persiano; le cravatte di lana sono ammesse solo se con disegni tartan dei clan scozzesi (per altro un falso storico dell’Ottocento), e comprate in Scozia. Quelle in maglina con il fondo mozzato testimoniano che avete vecchie zie, quelle di cuoio sottili vanno riservate per i club sado-maso, quelle alla texana, con due sottili fili in cuoio e turchesi, vanno bene appunto per texani e leghisti. Quelle in sintetico invece si associano a borsello e pedalini bianchi corti: se Dante avesse conosciuto il trio, ne avrebbe largamente approfittato per le pene infernali.
La cravatta si può annodare in 4 o in 5 movimenti: quest’ultimo è il nodo simmetrico, che offre un aspetto di trapezio rovesciato, ma tende ad essere a mio parere troppo grosso, e richiede colletti alla francese. Invece il nodo asimmetrico, o four in hand, o scappino, ha il vantaggio di essere più veloce e snello, rovina meno la cravatta e permette di lasciare in evidenza il lieve solco sotto il nodo, che con la consueta eleganza i romani definiscono “sorchetta”. In ogni caso, il nodo nasconde il bottone chiuso: nodo allentato e bottone aperto vanno bene per agenti della CIA che stanno braccando terroristi.
Comunque è imperativo che la parte esterna, più larga, nasconda completamente quella interna, che sarebbe bene fermare infilandola nell’etichetta o nell’apposito fermaglio di stoffa che le migliori cravatte hanno; oppure usando il fermacravatte, di qualunque materiale purché sia oro. La punta della cravatta cade più o meno a metà tra l’ombelico e la fibbia della cintura.
Nulla di più triste del vedere la punta della cravatta scendere sino alla patta, o peggio essere infilata nei pantaloni, a mo’ di pannolone; squallide le cravatte con la parte stretta che spunta lunga sotto la parte esterna, oppure i modelli, di solito sintetici, molto corti e larghi, che annodati finiscono al termine dello sterno: di solito al di sotto spunta un’epa modello settimo mese, oppure sono testimoni di Geova.
Quanto alle misure, la lunghezza è dettata dalla necessità di arrivare poco sopra la fibbia: per le diverse altezze del torso, si può giocare sulla parte interna; la larghezza massima non deve essere eccessiva, dipende dalla moda, vi sono stati periodi di cattivo gusto con cravatte molto larghe, altri con modelli stretti stile Blues Brothers, ma l’eleganza gradisce una misura sugli 8/9 centimetri: quelle di origine francese possono essere lievemente più strette.
Quanto a colori e motivi, se la cravatta ha fini estetici la tinta unita appare contraddittoria, e quella in tono con la camicia è la negazione stessa della sua funzione, anche se pare di moda negli ambienti televisivi.
Una prima funzione della cravatta è identitaria, di qui la tradizione delle “regimental”, derivazione dell’uso anglosassone di utilizzare tale indumento come segnale di appartenenza: non solo i reggimenti, ma le scuole, le associazioni ed altro ancora ricorrono a motivi propri che per lo più fanno perno sull’alternanza di righe di colori e spessori diversi; con il tempo tali disegni sono diventati una tradizione, ed una regimental è una buona scelta per chi si avventura per le prime volte nel mondo della cravatta.
Altrettanto affidabili ed adatti a momenti istituzionali o portatori timidi sono i motivi geometrici discreti, siano essi quadratini, triangolini, cerchietti o pied de poule: ovviamente la loro discrezione si basa anche su una scelta di colori non a contrasto.
Ma la piena funzione estetica si ha con motivi più complessi o figure, di cui l’esempio più noto è il disegno paisley o cashmere, che in realtà riprende il motivo persiano del boteh (alberi di cipresso). Eccellenti cravatte disegnate si trovano spesso nei negozi di musei e monumenti, e si ispirano a forme e particolari di opere d’arte: tra le mie vi sono motivi tratti da Klimt, Gauguin, Pollock, Monet, ma anche particolari provenienti da manoscritti come il Book of Kells, le decorazioni del tesoro di Sutton Hoo, la Sagrada Familia o il tappeto di Ardebil.
Ovviamente la scelta di motivi figurati richiede senso della misura, onde evitare Topolini, Superman o donnine nude; ma si può humanis concedere rebus e ogni tanto comprare cravatte audaci legate a luoghi o viaggi, da indossare raramente e per sfizio: così è per la cravatta a dragoni oro su nero acquistata nella Chinatown di San Francisco, per quella con tanti piccoli T. Rex che riproducono Sue, il T. Rex ricostruito nel Field Museum di Chicago, o per quella con piccole balene proveniente da Nantucket.
In conclusione, scegliere una cravatta è sempre un esame di gusto, ma rinunciarvi è un impoverirsi.