Requiem per “L’Eclisse” (epitaffio)

acquerello di Maddalena Poleggi

SILVANO GREGOLI

Gaspare Lobino (pseudonimo di Silvano Gregoli) indietreggiò di un passo e osservò la scrivania con occhio stanco. L’antico mastodonte aveva otto cassetti, otto bocche colme di quaderni di diverso formato, di fogli sparsi, di vecchie lettere, di appunti estemporanei, di aborti di racconti, di scheletri di romanzi… I cassetti non erano tutto. Sotto la scrivania giacevano, acquattati e minacciosi, diversi scatoloni della stessa mercanzia. Ad altezza d’uomo, appoggiati sui ripiani della libreria pensile, occhieggiavano altrettanti classificatori, ciascuno con il suo fardello di pensieri.
Molti anni erano passati su quelle carte. C’erano stati sedimenti, emersioni, rimescolii, rovesciamenti. La massa cartacea aveva perso non solo il legante cronologico ma anche la coerenza. I vari temi si erano fusi e confusi in un caotico chiacchiericcio. Il tutto non significava più nulla. Eppure, nelle profondità di quella scrivania continuava a fermentare un inconfessabile segreto: da più di sessant’anni, tra alti e bassi, tra fedeltà e trasgressione, tra entusiasmi e scoramenti, Gaspare Lobino stava disperatamente cercando di pubblicare un libro intitolato L’Eclisse. Lui stesso non poteva spiegare il perché della E maiuscola: forse il titolo gli era apparso in sogno.
Certe volte era anche passato molto vicino al successo. Qualcosina l’aveva anche stampata, ma aveva sempre dovuto fare i conti con editori intrattabili. «No, quel titolo non va!» si era sentito dire. D’accordo: la sintassi era meno perentoria, il tono più bonario. Ma il risultato era sempre lo stesso: prima un suggerimento, poi, a passettini, l’imposizione di un altro titolo.

Il primo, serio tentativo era avvenuto nel 1990, alla vigilia della pubblicazione di una raccolta di racconti ambientati in una graziosa cittadina piemontese. Fin dalle prime righe della prefazione si poteva infatti leggere:

L’unica di queste storie che, ormai da anni, avevo veramente deciso di raccontare, era quella dell’eclisse totale di sole del 15 febbraio 1961. L’avevo promesso, l’avevo giurato quel giorno là scendendo dal Rifugio: quel minuto di eclisse sulla Trucca – mi ero detto – non finirà dimenticato.

Gaspare Lobino non nutriva dubbi al riguardo: il titolo L’Eclisse, campeggiava infatti in caratteri cubitali sulla copertina del dattiloscritto.

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L’editore era un amico d’infanzia e non disse subito di no. Ma non disse nemmeno di sì. Il lungo travaglio di Gaspare Lobino stava per cominciare.
L’amico editore cominciò ad avanzare le sue pedine in modo guardingo. La pubblicazione del libro doveva avvenire prima del Natale 1990, disse. Il libro sarebbe diventato una strenna, un regalo da offrire agli amici i quali avrebbero potuto offrirlo ad altri amici. Il titolo era molto bello, certo, ma anche un tantino negativo. Un’eclisse è pur sempre una mancanza, un’assenza; un sole negato, sotto certi aspetti. E poi, un libro non si vende solo per il contenuto, ma anche per l’autore. Nel caso specifico, disse, l’aspetto più “vendibile” dell’autore era il suo lungo esilio lontano da casa, dalla sua adorata cittadina, dalle sue colline, monti, cieli, soli… Da quel suo luogo remoto l’autore guardava Mondovì – e quindi tutti i potenziali acquirenti del libro – con struggente malinconia. L’avrebbero comprato tutti. Il libro sarebbe diventato un potente antidepressivo. C’è chi ci invidia, c’è chi sta peggio di noi, avrebbero detto. C’è chi vorrebbe essere al nostro posto. Ma allora siamo proprio fortunati! Gaspare Lobino ha ragione: è proprio bello il nostro paese!
Apparentemente l’editore sembrava disposto a negoziare, ma in realtà la scelta era già stata fatta. Il titolo della strenna natalizia fu infatti E laggiù, Mondovì e si concluse con un trionfo editoriale, seppure su scala locale. La prima battaglia di Gaspare Lobino in favore de L’Eclisse era stata persa. Per fortuna aveva solo cinquant’anni e davanti a lui c’era ancora una bella fetta di vita. Avrebbe avuto altre occasioni. Avrebbe presentato meglio il suo caso.

La seconda possibilità gli si presentò quattordici anni dopo. Una casa editrice torinese, specializzata in narrativa di montagna, gli aveva proposto di riunire in un volumetto i suoi racconti aventi per sfondo le Alpi. Gaspare Lobino si mise al lavoro: girò e rigirò diverse volte la massa di carte che soffocava la scrivania, estrasse una ventina di racconti inediti, vecchi e nuovi, li rimpastò, li limò, diede loro una forma coerente e, su richiesta dell’editore, scrisse lui stesso un pezzullo che sarebbe poi diventato la quarta di copertina. L’occasione era più unica che rara e Gaspare si strizzò le meningi per dare ai suoi racconti alpini la forma di un’eclisse. Si sedette alla scrivania e scrisse:

Prendete un uomo molto giovane. Inoculategli un virus di montagna maligno e tenace. Quando il giovane si ammalerà di un amore inguaribile per i monti di casa sua, esiliatelo per vent’anni in un paese grigio, piatto, senza vento, senza polvere, senza sole e senza luna. Lì verrà amputato della terza dimensione e costretto a vedere e a pensare orizzontale. Applicategli poi un supplemento di pena da scontare in paesi ancora più lontani, su continenti remoti. In tutto saranno trentacinque anni durante i quali il mondo sfilerà lentamente davanti alle sue montagne oscurandole tutte.
 
Gaspare Lobino rilesse il pezzullo. Il mondo che “sfilava lentamente davanti alle sue montagne, oscurandole tutte”, richiamava con prepotenza la meccanica di un’eclisse totale di monte della durata di circa trentacinque anni. La rosa dei titoli possibili era stretta e Gaspare decise di presentarli tutti in copertina, uno sopra l’altro, e nello stesso corpo di carattere.
Il primo titolo era esplicito: Eclisse totale di monte. Veniva poi, in alternativa, un titolo più ambiguo e più segreto: La lunga Eclisse. Combinando i due approcci si otteneva: La lunga Eclisse di monte. Se l’editore avesse invece voluto un titolo più stringato, l’autore proponeva infine il classico L’Eclisse che in definitiva era quello che presentava meglio.

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Gli editori devono possedere un patrimonio genetico molto simile tra di loro. Il nuovo editore si comportò infatti come il precedente. Disse che tutti i titoli proposti erano buoni e, in fin dei conti, abbastanza simili. Era perfettamente d’accordo con l’autore sulla leggera preferenza per L’Eclisse, ma mentre lo diceva il suo sguardo sfuggiva verso terra, obliquo. Disse anche che avrebbero dovuto pensarci su, entrambi. Chissà, magari sarebbe saltato fuori un titolo ancora più suggestivo.
Passarono due settimane, l’editing del testo andava avanti di gran lena. Mancava solo più il titolo. E così, quando Gaspare Lobino vide le labbra dell’Editore pronunciare le parole Alpi Liguri primo amore credette di aver capito male.
«Lei sta ovviamente parlando del titolo del primo racconto» disse, mentre un filo d’ansia cominciava a crescergli in petto.
«Certo. È una prassi molto comune. Il titolo del primo racconto diventa il titolo del libro.»
«Lei sta dunque suggerendo di intitolare il libro: Alpi Liguri primo amore, e altri racconti
«No, no. Alpi Liguri primo amore e basta. È un titolo molto bello, vedrà che le piacerà, vedrà che si abituerà.»
Quel giorno, per Gaspare Lobino spuntava un primo amore e tramontava un’Eclisse. Certo, a sessantaquattro anni, davanti a lui rimaneva ancora una buona fetta di vita, ci sarebbero state altre occasioni, avrebbe presentato il suo caso in maniera più convincente. Ma la fetta di vita aveva già perso per strada una bella fetta di anni.

Fu poi la volta di un romanzo. L’intreccio era lungo trecentocinquanta pagine e si sviluppava in un contesto che diventava sempre più cupo. L’immagine di un’eclisse totale di luce umana, era perfettamente adeguata. Il buio cosmico aveva “eclissato” definitivamente la luce degli uomini. Il brano centrale del libro, il cuore drammatico di tutto il romanzo era infatti, nientepopodimeno:

Da anni Mauro attendeva quel momento.
Ora c’è.
Ecco: è seduto sulla “poltrona”.
Ecco: i suoi occhi sono spalancati.
Ecco: lassù in alto il cielo è pieno di stelle.
Ma laggiù, adagiata ai suoi piedi, a perdita d’occhio, la pianura è nera.
Disperatamente nera.

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Gaspare rilesse il brano con soddisfazione: più Eclisse di così! Sembrava quasi di esserci. Si sentiva perfino il brivido di sgomento cosmico che sempre accompagna i grandi avvenimenti della natura. Ma un’eclisse è pur sempre un fenomeno transitorio. Per giustificare il titolo tanto sospirato occorreva dunque, a un certo punto, far ritornare la luce. E così, in mezzo alla pianura tenebrosa, Gaspare fece brillare un fuoco:

Ma! ma! quel punto luminoso! quella luce! quella luce che sfavilla! là, nella direzione dell’Orsiera! Sembra un fuoco… È così lontano che deve essere un grande fuoco. All’inizio della notte non c’era. Qualcuno deve avere acceso un fuoco. Chissà da quanto tempo sta bruciando! Lui si era addormentato.
In quei pochi minuti Mauro ha visto quello che non avrebbe mai sperato di vedere. Ma allora è stata solo un’eclisse! Un’eclisse che è durata qualche anno! Certo, ci vorrà un po’ di tempo, un’eclisse così lunga avrà fatto parecchi danni, ma le luci umane si stanno riaccendendo…

“Un’eclisse che è durata qualche anno!” Il leitmotiv, il tema portante che non l’aveva mai abbandonato! Gaspare Lobino era emozionatissimo. Aveva in mano un thriller appassionante, forse sarebbe diventato un best seller, forse ne avrebbero fatto un film. E il titolo sarebbe stato L’Eclisse. Stavolta si sarebbe battuto. Se l’editore non l’avesse accettato avrebbe ritirato il dattiloscritto. Ma nessun editore avrebbe osato: il titolo era un’emanazione del testo. Senza quel titolo il libro avrebbe perso la maggior parte del suo fascino.
Sei mesi dopo, il romanzo fu pubblicato con il titolo Xeno ed ebbe un moderato successo commerciale. Gaspare Lobino ne fu abbastanza soddisfatto e dovette ammettere che gli editori vedono delle cose che non vedono gli autori. Si era nuovamente sbagliato di Eclisse.
Sì, certo, davanti a lui rimaneva ancora una consistente fetta di vita, seppure con moltissimi anni in meno. Adesso, dall’alto delle sue tre pubblicazioni, avrebbe potuto imporre a un futuro editore il capriccio del suo titolo preferito.

***

eclisse-4Un’ulteriore possibilità gli si presentò con il lancio in sordina di una cosiddetta Non-rivista online dal titolo vagamente esoterico: Margutte. La non-rivista aveva visto la luce, nel 2013, nella stessa graziosa cittadina dove, ventitré anni prima, aveva visto la luce il primo libro cartaceo di Gaspare Lobino. Questa volta ci riesco, disse tra sé e sé. Le riviste on-line sono più alla buona delle case editrici affermate. Stavolta pubblicherò il racconto originale con il suo titolo originale.

I primi contatti con l’equipe editoriale furono freddini.
«E allora, che cos’ha di bello da proporci?»
«Un testo intitolato L’Eclisse
«E di che si tratta?»
«Si tratta di un racconto che narra dell’eclisse totale di sole del 15 febbraio 1961.»
«E che cosa ha avuto di così speciale, quell’eclisse, per venircene a parlare proprio adesso?»
«Beh… pensavo che fra qualche settimana ricorre il suo anniversario.»
«Il suo cinquantatreesimo anniversario, vero? Mi dica, piuttosto: si tratta di un racconto inedito?»
Da una non-rivista online si era aspettato più flessibilità. Per evitare ulteriori confusioni decise di giocare schietto: «No, non è inedito. È già stato pubblicato. Ma solo due volte. In due libri diversi e con diverse case editrici. È molto bello».
«Lo spero bene. La nostra rivista, pubblica soltanto dei testi molto belli. E non riciclati, di preferenza. Ce lo mandi comunque, lo sottoporremo alla redazione.» Il piglio era fiero. La non-rivista aveva visibilmente superato la fase di lancio.
Nei giorni e nelle settimane seguenti Gaspare Lobino era riuscito a infiltrare alcuni membri della redazione. Aveva così saputo che l’equipe era quasi tutta costituita da professori e professoresse di liceo – e qui già marcava male – scrittori e poeti loro stessi, e in più guardiani inflessibili della lingua di Devoto-Oli e di Sabatini-Coletti. Gli erano anche giunti rumori di dissensi riguardanti l’accettazione del suo racconto. I dissensi vertevano non tanto sulla qualità del testo, giudicato vecchiotto ma accettabile, quanto proprio sul titolo. Sembrava infatti che in italiano il lemma di Eclisse non fosse eclisse, bensì eclissi. Il titolo conteneva dunque un errore da matita blu.
Gaspare Lobino ebbe una breve vertigine. Ci mancava ancora il lemma, borbottò tra sé e sé.
Diciamolo subito: non aveva la più pallida idea di che cosa fosse un lemma. Cominciò dunque a cliccare su Google alla ricerca di una definizione. Ne trovò tante, una più incomprensibile dell’altra, a cominciare da Wikipedia:

In linguistica, e in particolare in morfologia, il lemma costituisce una forma canonica di una parola. Il rapporto fra lemmi e parole è particolarmente importante nelle lingue dotate di inflessione elevata, come la lingua ceca (ma anche l’italiano).

Inutile dire che il mistero del lemma rimaneva fitto. Comunque fosse, non c’era tanto da scherzare: se la storia del lemma fosse stata vera non avrebbe mai più potuto scrivere L’Eclisse.
Gaspare Lobino era uno scrittore cocciuto e non abbandonò subito la ricerca. Anzi: si affidò alla cosiddetta “ricerca avanzata”. Sulla Treccani trovò che esistono diversi tipi di lemma; che il lemma, detto anche esponente o entrata, non doveva in alcun modo essere confuso né con parola né con lessema, perché era «…una unità grafica che costituisce l’intestazione di un articolo o voce di dizionario o di enciclopedia».
Brancolava nel buio. Ma ciò che lo convinse a interrompere le sue ricerche fu una scoperta che lo lasciò di stucco. Le pagine di astruserie in cui si era incautamente addentrato – irte di lemmi, lessemi, fonemi e sememi – erano tutte costellate di riferimenti a opere sapientissime scritte dal Professor Gian Luigi Beccaria. Mamma mia! L’illustre studioso era, sì, concittadino di Gaspare, ma era diventato con gli anni un nome talmente noto nei cenacoli della linguistica mondiale da suscitare, al solo proferirlo, un grande timore reverenziale.

eclisse-5Di colpo Gaspare Lobino si sentì piccolo. Sbagliare un lemma nel titolo di un libro in vendita nella città dell’autore del Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, equivaleva a mettere la chiave di scrittore sotto la porta. Il Professor Gian Luigi Beccaria l’avrebbe inghiottito come una balena inghiotte una sardina. Di Gaspare Lobino non si sarebbe mai più sentito parlare. Era spossato. Prima di cadere nel sonno ebbe ancora il tempo di inviare una mail alla redazione della non-rivista ritirando il manoscritto per motivi di salute.

Gaspare Lobino si abbandonò pesantemente nella poltrona del suo ufficio. Socchiuse gli occhi e respirò forte. Lui sapeva che negli otto cassetti, negli scatoloni ai suoi piedi, nei classificatori sul suo capo, c’erano migliaia di frammenti di Eclisse. Bastava metterli in fila e aggiungere un legante. Abbracciò con lo sguardo tutto il volume della scrivania. Da quella ganga cartacea avrebbe fatto scaturire L’Eclisse: lemma o non lemma, professore o non professore. Era la sua ultima possibilità.
Chiuse gli occhi e immaginò l’immensità dell’opera. Diverse linee narrative sfrecciarono nella sua mente, intersecandosi. Sarebbe stata un’opera agile, scattante e nello stesso tempo poderosa. Davanti a lui stavano, acquattati, migliaia di piccoli suonatori armati di strumenti disparati: violini, oboe, clarinetti, grancasse, corni da caccia, arpe celtiche, strumenti barocchi di ogni genere, organi elettronici, trombe, fagotti, armoniche, organetti occitani, viole d’amore… Lui sarebbe stato il loro direttore d’orchestra, e l’orchestra avrebbe suonato una sinfonia gigantesca, mai udita, forse nemmeno terrena: L’Eclisse di Gaspare Lobino. Un’opera letteraria la cui bellezza, a tratti, la faceva confondere con un’opera musicale.
Lentamente sprofondò in una rêverie profonda. Si lasciò cullare dagli applausi. Si addormentò. Nel sogno giunse il Futuro Grande Editore in persona.

Futuro Grande Editore: «Ha già pensato a un titolo?»
Gaspare Lobino: «Beh, secondo me andrebbe bene quello indicato nel manoscritto».
Futuro Grande Editore: «L’Eclisse? Ma che cosa c’entra?»
Gaspare Lobino: «Ne parlo in diversi punti, ne ho parlato a lungo nelle prime pagine, poi ho cercato di tenere un filo…»
Futuro Grande Editore: «Un filo ben tenue! Ha parlato più di treni, di soldati, di squali e di serpenti che di eclissi».
Gaspare Lobino: «Che ne pensa di Diario di uno scrittore di eclissi
Nel sogno lo spettro del lemma non aveva perso di mordente. Al plurale, anche il Professor Gian Luigi Beccaria avrebbe scritto “eclissi”.
Futuro Grande Editore: «Di… di… di… Tre “di” in sei parole. Suona male. Il suo non è un diario, le sue sono divagazioni.».
Gaspare Lobino: «Benissimo. Perché non dire allora: Divagazioni di uno scrittore di eclissi
Futuro Grande Editore: «I “di” sono sempre tre; e poi lei non è uno scrittore di eclissi, lei è uno scrittore di divagazioni. Il vero titolo dovrebbe essere: Divagazioni di uno scrittore di divagazioni. Ma a questo punto, con quattro “di” in sei parole, basterebbe mettere: Divagazioni».
Gaspare Lobino: «Mi è venuta un’altra idea. Tra tutte le divagazioni che riguardano l’eclisse, la più suggestiva è sicuramente – ne converrà – quella del mio adorato cane, Sam, morto diversi anni fa e che da diversi anni gira intorno alla luna provocando così delle micro-eclissi lunari visibili con un buon telescopio. Che ne pensa di: Piccole eclissi di luna o anche Micro-eclissi di luna
Futuro Grande Editore: «Ho avuto paura. Per un momento ho pensato che lei volesse suggerirmi qualcosa come: Eclissi di cane, o Eclissi canina… Senta, facciamo così: pensiamoci. Qualcosa verrà fuori…».

Gaspare sapeva bene che cosa ne sarebbe venuto fuori: un titolo che non avrebbe estinto il suo bisogno ancestrale di L’Eclisse. Avrebbe dunque dovuto ricominciare da capo, tentare un’altra volta con un altro libro, perché lui sapeva bene che non avrebbe avuto pace fino a quando non fosse riuscito a piazzare quel titolo sulla copertina di un volumetto di 300 pagine circa, con il suo nome sopra e un prezzo intorno ai 18 euro. Riguardo all’illustrazione di copertina non aveva delle idee ben definite. Certo si sarebbe dovuto trattare di un’eclisse – o di un’eclissi, come alcuni pretendono che si scriva – ma i grafici moderni avevano molta fantasia e avrebbero potuto suggerirgli una soluzione alternativa.
In ogni caso occorreva fare in fretta; la fetta di vita rimasta si restringeva a vista d’occhio. Non poteva morire prima di aver pubblicato L’Eclisse.
In un lampo pensò alla sua morte. Ma non era poi quella, l’eclisse che aveva inseguito per tutta la vita? L’eclisse per antonomasia? Sarebbe riuscito a dare alla sua morte la forma di un’eclisse con la E maiuscola e a fissarla con un epitaffio, intitolato L’Eclisse, che l’avrebbe vendicato di tutte le umiliazioni passate? Certo, quella volta almeno, l’epitaffio sarebbe stato pubblicato con il suo vero titolo. Gli editori non avrebbero avuto l’audacia di violare le sue ultime volontà. La suprema battaglia, postuma, l’avrebbe vinta lui.
Si svegliò di soprassalto. L’immensa scrivania era sempre lì: ricca, invitante, occhieggiante. Moriva dalla voglia di raccontare. Aveva sempre avuto la smania del racconto, e pure del racconto del racconto. In quel momento si trovava alle sorgenti del racconto, ruscelli che avevano percorso pochi metri per seccarsi subito, per svanire tra le pietre del suolo. Avrebbe fatto il nido in quel luogo, avrebbe riallacciato i fili di tutte le eclissi morte e dei loro fantasmi. Davanti ai suoi occhi si offrivano, spezzettati come in un caleidoscopio schizofrenico, i germi di innumerevoli eclissi. Se la sua morte era L’Eclisse per antonomasia, allora la sua vita non era altro che la sua attesa.
Finalmente aveva in mano il titolo perfetto. Aspettando l’Eclisse, disse tra sé e sé, e un fiotto di soddisfazione lo sommerse. Le carte erano tutte vincenti. Avrebbe potuto scrivere qualunque cosa, tutto si sarebbe facilmente accomodato sotto quel titolo.

L’indomani Gaspare Lobino incontrò per strada il suo primo editore, un amico d’infanzia, uno dalla sua parte, insomma.
«Ciao, come va? Continui a scrivere?»
«Certo».
«Fai bene. E che cosa scrivi di bello?»
«Aspettando l’Eclisse
«Ancora? Ma non ti sei ancora stancato di aspettarla?»
L’aveva detto con una tale, fraterna costernazione che Gaspare Lobino ebbe un sussulto.
Certe volte basta poco per cambiare un’idea fissa, fosse pure fissa da sessant’anni. No, non ce la farà. Ormai ne è sicuro. Ha perso troppe battaglie, tutte. Il suo nome e cognome sulla copertina di un libro di trecento pagine circa, dal costo di 18€ e dal titolo L’Eclisse non lo vedrà mai. Mai più.

***

Nel gennaio 2021, al culmine della pandemia Covid-19, Gaspare Lobino, ormai ottantunenne, ha pubblicato un altro romanzone di 400 pagine. Un libro-mondo pieno di tutto, con innumerevoli eclissi e metafore di eclissi. Purtroppo, vinto da un’insolita timidezza, non ha nemmeno osato presentare al suo nuovo Editore il titolo staminale che gli era balenato nella mente sessant’anni prima e che non era mai riuscito a piazzare sulla copertina di nessun libro. Il libro è dunque nato con un titolo diverso, seppure più coerente con il testo: Montagne immaginarie. Titolo decoroso, certo, ma non idoneo a spegnere in Gaspare il desiderio senile di Eclisse che ancora lo strugge.

In questo momento, Mercoledi 15 febbraio 2023, alle ore 08:34 precise, allo scoccare del sessantaduesimo anniversario dell’eclisse più importante della sua vita, Gaspare Lobino non è ancora morto. Stanco, cupo e affranto è ancora vivo ma non domo.
Pensa ancora. A che cosa pensa? All’eclisse del 15 febbraio 1961? Al «…buio improvviso caduto sulle montagne e sui boschi sottostanti risplendenti di sole»? Alle «… grida di terrore che sgorgavano dalle radici di un piccolo mondo solare, fulminato alle otto di mattina da un orribile formicolio di stelle»? A quei due interminabili minuti tenebrosi durante i quali «…tutte le valli sottostanti erano risuonate di “Oooohhh!” e di “Uuuuhh!” che si sostenevano e si rinforzavano l’un l’altro»? Alle «…grida affannose che riempivano d’angoscia boschi e valli e si fondevano con i lunghi ululati dei cani»? E infatti: «Chi era andato a spiegarlo ai cani? Erano là, fuori dalla baita che poltrivano al sole, quando di colpo si era alzato il vento, il giorno si era fatto notte, e Toni aveva cominciato a urlare con una voce… Una voce che non avevano mai sentito, una voce come l’ululato di un cane».

Pensa e ricorda. Ricordi lontani, di scuola. Il professore che citava esempi di antichissimi proverbi oscuri, e ricorda l’impressione che gli aveva fatto, bambino, l’aforisma: «I cani abbaiano e la carovana passa…» La “carovana”. Quale carovana? Perché passava? Dove andava? Perché i cani abbaiavano? E il professore: «La “carovana” è una metafora, e anche i cani che abbaiano è una metafora. Il senso è di qualcosa di oscuro che avviene inesorabilmente, ineluttabilmente, altissimo, predestinato, insensibile a ogni protesta che appare subito priva di senso».
Pensa all’eclisse totale di sole del 15 febbraio 1961… La luna stava passando davanti al sole e i cani nei boschi avevano già cominciato ad abbaiare. E allora la Luna aveva chiesto al Sole: «Che faccio? Continuo?» E il Sole: «Non ti curar di lor, ma guarda e passa… Tu fai parte degli “eterni giri” …»

I cani abbaiano e la carovana passa…

Povero Gaspare Lobino. È una vita che vede eclissi. Ultimamente le vede anche di notte, il che, già di per sé, non è un buon segno.
eclisse-punto-interrogativo
Il canto del cigno? Gli ultimi segni di vita?
Lui lo ha finalmente capito, lo ha finalmente accettato, si è finalmente rassegnato. Non ci sarà più nessun romanzo intitolato L’Eclisse. Di raggiungibile gli rimane solo più l’epitaffio. Quella suprema battaglia, postuma, l’avrebbe vinta lui.
Ma bisognava ancora scriverlo, l’epitaffio. Ne avrebbe avuta la forza? E che titolo dare? Un titolo che copra la durata di una vita… un titolo che si adatti alla fine di una vita… Il settimo sigillo? Nascita, gioventù, vecchiaia e morte di un Eclisse? L’Eclisse?

Una notte, nel corso di un’insonnia particolarmente feroce, la copertina, il titolo e il sottotitolo, definitivi, gli apparvero come un lampo. Eccoli, belli, fulgidi, inequivocabili:

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Sì, lo sapeva: il titolo era doppiamente funereo. Una vera e propria pietra tombale. Ma anche le più belle storie hanno una fine, e pazienza se il lemma non era quello buono: il Professor Gian Luigi Beccaria avrebbe avuto pietà di lui.

In quanto al testo dell’epitaffio… Gaspare Lobino si volse indietro e guardò le quattro paginette tortuose e addolorate che aveva appena finito di scrivere.

Chiuse gli occhi e gli venne da ridere: più epitaffio di così… si muore…

(Immagine di copertina: acquerello di Maddalena Poleggi)

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