GABRIELLA MONGARDI
Aveva una struttura hegeliana – tesi, antitesi e sintesi – il concerto tenuto dai Musici di Santa Pelagia sabato scorso a Mondovì Piazza: la tesi era rappresentata da tre concerti di Vivaldi, vertici dello “stile italiano”; l’antitesi da un concerto per clavicembalo e archi di Michel Corrette, una suite di danze emblematica dello “stile francese”; la sintesi dal Quinto Concerto Brandeburghese di Johann Sebastian Bach, che in tutta la sua produzione strumentale ha saputo fondere mirabilmente i due stili.
È il trionfo del Barocco musicale al suo massimo splendore – ma anche il suo estremo limite, come ha evidenziato il musicologo Giovanni Tasso nella sua interessante presentazione storico-musicale: a partire dalla seconda metà del Settecento il gusto cambia e si avrà, letteralmente, tutta un’altra musica, quella di Mozart, Beethoven e dei Romantici, mentre Bach e Vivaldi saranno dimenticati, il primo per quasi un secolo, il secondo addirittura per due…
Il primo concerto di Vivaldi, per archi e basso continuo in La Maggiore, è sfaccettato come un cristallo: vibrante di energia e fremiti il breve, intenso allegro iniziale, che contrasta fortemente con l’andante languido e trasognato, mentre la conclusione è affidata a un allegro brillante e luminoso.
Nel secondo concerto eseguito, La tempesta di mare, il compositore dipinge con le note, usando come pennello, in particolare, il flauto solista. Raffiche di vento, balenio di lampi, scrosci di pioggia pervadono i due tempi veloci, mentre il largo dà voce alla preoccupazione e all’ansia di chi si trova su una barca sballottata dalle onde…
Il concerto op. 3 n.9 (dall’Estro armonico) ricorda in apertura un concerto grosso per il dialogo tra violino solista e violoncello; struggente il tema del larghetto nella sua dolcezza; in punta di piedi l’attacco dell’ultimo allegro, che poi si slancia in una ridda di note.
Dopo la tipica musica di corte di Corette, un po’ leziosa, Bach si fa largo in tutta la sua maestosa imponenza, contrapponendo la sua gravitas alla levitas vivaldiana. Il Quinto Brandeburghese non è soltanto un concerto triplo, ossia per tre strumenti solisti (flauto, violino e clavicembalo), ma è il primo nella storia della musica (1719) in cui il clavicembalo ha un ruolo di primo piano e non di mero basso continuo. Quella che l’orchestra e i tre straordinari solisti (Glauco Bertagnin, violino; Giuseppe Nova, flauto; Maurizio Fornero, clavicembalo) innalzano davanti a noi è una grandiosa cattedrale sonora creata da un vorticoso intreccio di linee melodiche che si accavallano passando da uno strumento all’altro con perfetta simmetria. È davvero “il vertice del barocco”, il trionfo dell’arte della fuga in cui Bach era maestro.
Giustamente i Musici di Santa Pelagia hanno scelto di ripetere, come bis, il movimento conclusivo di questo concerto: perché è il non plus ultra.