ANTONIO VIGLINO
L’inconscio è senza ombra di dubbio una delle “scoperte” più importanti del pensiero occidentale.
Freud, nel freddo cuore dell’Europa hegelianizzante, mise in luce come la mente e la vita consce siano anche determinate da istanze, sempre puramente mentali sì, ma delle quali non si è consapevoli. Naturalmente non è che prima di Freud non si sospettasse che sia così; Freud ha analizzato sistematicamente come funziona l’inconscio.
L’opera capitale di Freud, alla quale lavorò per tutta la vita, è l’Interpretazione dei sogni, dove non solo offre schemi di spiegazione dei sogni, ma illustra come tanto i sogni quanto la vita di veglia siano in larga parte determinati dall’inconscio. Per chi non avesse tempo di leggere questo importante testo, lo si può sintetizzare dicendo che per Freud il sogno è sempre la realizzazione di un desiderio. Anche quando sia un incubo o un sogno triste, esso è sempre la realizzazione di un desiderio; se non ci si capacita di come sognare la morte di una persona cara o un’altra tragedia possa essere l’affermazione di una volontà, la spiegazione è che appunto nell’inconscio sono sepolti pensieri sorti chissà quando aventi ad oggetto proprio ciò che si sogna: magari da bambini ci si è arrabbiati per qualche stupido motivo con un proprio genitore, e questo pensiero, magari durato pochi minuti, si è cristallizzato ed è stato rimosso, cioè sepolto nell’inconscio, per poi affiorare inaspettatamente dopo lunghi anni. Un secondo motivo cruciale per la comprensione dei sogni è l’operare di quella che Freud dice la maschera: si può essere innamorati di una persona, ma si sogna di baciare un’altra persona; ed è appunto l’inconscio che, per diversi motivi, attua questa sostituzione. Ora, il punto però davvero decisivo per comprendere Freud è che queste sue scoperte circa i sogni in realtà operano anche durante la vita di veglia; ed operano generando difficoltà relazionali se non patologie mentali, la causa delle quali, essendo appunto rimossa nell’inconscio, può essere eliminata solo portandola alla luce. L’interpretazione dei sogni quindi non è fine a se stessa, bensì è uno strumento utile per cercare di individuare quale sia il pensiero rimosso che altera la vita ordinaria; individuatolo, lo si afferra e nominandolo lo si incenerisce (e questo è il transfert).
L’inconscio opera cioè in via indiretta, ed opera più o meno sempre durante le giornate di chiunque, senza che se ne abbia la minima cognizione e senza peraltro che ciò cagioni delle difficoltà; può però accadere che invece i pensieri rimossi determinino patologie, e la psicanalisi si ripromette di curare appunto le malattie generate dall’inconscio.
Freud dice anche quale sia la matrice dei desideri dell’inconscio: si tratta di impulsi di natura sessuale, che nella vita vengono certamente controllati e talora sublimati, ma tali sono e restano. Freud scioccò la Vienna ottocentesca affermando che la vita di ciascuno è dominata da pulsioni sessuali, e che ciò accade fin dalla più tenera età (il celebre complesso di Edipo vuole dire che il bimbo tende ad amare e desiderare la madre e ad odiare il padre per gelosia). La libido freudiana è proprio questo: energia psichica di natura essenzialmente sessuale. Freud ha con ciò creato la psicanalisi, che è quella scienza medica che aiuta il paziente a liberarsi da pulsioni inconsce che ammalorano la sua vita.
La psicologia, o meglio le diverse scuole della psicologia, operano invece a livello conscio, alcune a livello motivazionale e razionalistico, altre a livello subliminale (se così si può definire la Gestalt).
Ancora ai nostri giorni la psicanalisi, che nel corso di due secoli si è assai sviluppata rispetto agli schemi freudiani, con una pluralità di correnti e orientamenti, è da non pochi considerata quasi un semplice palliativo più che una scienza. Altri invece la venerano e la considerano la panacea dell’essere umano; così in particolare i nuovi filosofi del Novecento francese, che hanno tratto la psicanalisi dall’ambito medico a quello appunto esistenziale, nel senso di far loro ritenere, in ultima analisi, che anche la comprensione stessa della realtà sia determinata, negli strati profondi, da istanze che derivano direttamente dall’inconscio. Ed ancora oggi vi sono continuatori di questa linea, ma codesti filosofi pare non si rendano conto che le loro pretese entusiastiche non sono altro che un misero nascondere la polvere sotto il tappeto: se è vero, come è vero, che in molti casi clinici la psicanalisi è non solo utile ma semplicemente necessaria per rimuovere gli ostacoli della psiche, è altrettanto vero che retrocedere la spiegazione della mente umana a una sfera che viene assunta come non conosciuta e non conoscibile, è non solo un circolo vizioso, ma un circolo vizioso consapevolmente fondato sul non noto — per tacere della dimensione veramente fondamentale per cui la natura della mente è ben altro che la somma di conscio e inconscio.
Diversa dalle psicanalisi freudiane è la scuola di C.G. Jung.
Jung fu assistente di Freud, e si dissociò dal maestro per il fatto che Freud incentrava la sua concezione dell’inconscio sulla libido sessuale. Per Jung infatti l’energia psichica non è solo sessuale, ma ha uno spettro più ampio, comprendendo anche istanze e brame di altra natura, la dimensione affettiva, la sete di conoscenza o l’entusiasmo, ad esempio (ma in verità su questo punto la differenza tra Freud e Jung può essere intesa come solo nominale). Secondo Jung, invece, vi sono altre dimensioni dell’inconscio che determinano la vita conscia, e in particolare l’inconscio collettivo. Questa nozione tende a confondersi con la magia, perché presuppone che vi siano istanze psichiche, gli archetipi dell’inconscio collettivo, che sono sedimentati nella psiche di ciascun uomo e provengono dal retaggio della stessa evoluzione umana sulla Terra. Inoltre, sfiora la magia anche la nozione della sincronicità junghiana, la quale è un nesso tra due eventi concomitanti che però non è il nesso di causalità: si può dire, una coincidenza che non si verifica né per caso né, come detto, per effetto di volontà causali, ma bensì quale manifestazione di nessi che non si possono che definire magici. Naturalmente questi sono solo alcuni degli aspetti della psicanalisi junghiana, la quale consiste anche di momenti che sono più prettamente razionalistici e appunto analitici della psiche.
Jung dedicò inoltre studi e seminari al kundalini yoga e all’alchimia: ma volle ridurre questi fenomeni alle leggi razionalistiche psichiche che aveva enucleato, cioè li interpretò sulla mera base pregiudiziale di come egli riteneva funzionasse la mente, ostentando di ignorare cosa invece dichiarano yogin e alchimisti.
Oggi la psicanalisi junghiana ha un ambito di applicazione forse più profondo di quelle di derivazione freudiana, ma al contempo è rispetto a queste assai meno diffusa.
Freud e Jung hanno quindi avuto la potenza mentale di analizzare gli stati profondi della propria mente, e di enucleare cosa avevano scoperto in leggi che hanno poi sperimentato come valide nella cura di pazienti, se non altro.
Saltando nel subcontinente indiano, si può essere sorpresi di constatare come i grandi yogin e maestri realizzati contemporanei talora menzionino Freud e Jung: Sri Aurobindo, che peraltro dedica parecchie delle sue lettere al tema dell’inconscio, Swami Satyananda, non pochi lama e ghesce tibetani. E si scoprirebbe che tutti costoro dicono la stessa cosa, e cioè che Freud e Jung non hanno fatto altro che grattare la superficie di uno, il più prossimo, dei tanti corpi che, in aggiunta alla mente conscia, costituiscono l’essere l’umano.
In effetti nei tantra, i quali costituiscono la conoscenza esoterica dell’Oriente, sono sempre menzionati più “corpi”, i kaya (“corpi di energie” che sono ignote alle scienze occidentali o da queste erroneamente intese): lo yogi è chi trascendendo la coscienza ordinaria si rapporta ad essi. Il kaya più facile da attingere è quello che comprende appunto le istanze inconsce: vale a dire, i primi passi effettivi di uno yogi sono proprio il manipolare l’inconscio — e si badi: non “analizzare” logicamente come se esso fosse un ente altro dall’io, ma proprio plasmare in quanto parte del proprio vero sé (e questa, si può dire, è la matrice anche dei transfert delle psicanalisi freudiana e junghiana — le quali peraltro rispetto ai poteri yoghici sono davvero poca cosa). Per gli yogin, cioè, le psicanalisi occidentali hanno semplicemente visto il kaya del vitale (così lo dice Aurobindo) e lo hanno studiato in modo astratto e concettuale, puramente razionalistico. Questo è massimamente vero per Freud ma lo è anche per Jung, perché la sua “magia” è sempre considerata come un qualcosa di altro dalla psiche. Jung in effetti è più vicino agli yoga di quanto lo sia Freud: sincronicità, archetipi e magia sono molti simili ad aspetti degli yoga; la differenza, abissale, tra Jung e gli yoga è che Jung considera queste dimensioni come fenomeni da poter comprendere con la mente conscia di veglia, egli non “vive” ma “conosce”, mentre le realizzazioni degli yoga sono sat-chit-ananda (essere-coscienza-beatitudine). Per Jung la magia è una sfera effettiva, ma essa è comunque al di fuori della mente, ovvero la mente si rapporta ad essa; per gli yogin invece la mente è una illusione magica, perché la vera realtà di ciascuno, l’Atman, è la fonte stessa della magia. Jung ebbe accesso a stadi superiori della coscienza, come testimonia il Libro Rosso, ma non li capì, non li visse bensì li subì, e commise l’errore di volerli comprendere con la mente razionale, non sapendo che la mente razionale, o ordinaria, è proprio ciò che preclude di vivere effettivamente nella magia.
Per tornare al tema dell’inconscio come declinato nell’Oriente, si può fare un passo indietro. I Tantra incarnano la Via Regale, accanto alla Via dei Sutra. La Via dei Sutra è la via della rinuncia e della mortificazione, che porta a risultati solo nel corso di eoni, ed è precisamente la rinuncia al soddisfacimento delle libido. La Via del Tantra all’opposto è la via della realizzazione delle libido, realizzazione che non è un becero soddisfacimento e nemmeno una asettica sublimazione, peraltro; questa è la via che porta, o può portare, alla liberazione nel corso di una sola vita, però è rischiosa e pericolosa. La Via del Tantra è la distruzione e poi il superamento dell’io per effetto dell’azione delle energie superiori: una di queste energie è appunto l’energia dell’inconscio, detta in Occidente libido. (Poi ci sono gli yoga supremi, dove non c’è nulla che possa essere avvicinato a ciò che gli Occidentali chiamano libido; ad esempio nel buddhismo tibetano all’anuyoga, tantrico, segue l’atiyoga, lo yoga primordiale.)
Per questo gli yogin dicono che le psicanalisi, e a maggior ragione le varie psicologie, sono solo conoscenze nozionistiche e per di più parziali e superficiali: la psicanalisi conosce solo il kaya cui pertiene l’inconscio, mentre ci sono altri “corpi”, e di questo conosce solo la superficie, perché postula l’energia dell’inconscio quale ente separato dalla natura della mente, cioè un qualcosa che agisce dall’esterno sulla mente. E questo perché, è implicito in quanto si è detto ma è bene precisarlo, per il pensiero occidentale da sempre la mente è solo la mente conscia di veglia, cioè l’io, al più con l’inconscio che la pungola: per l’Occidente c’è l’io (che è creduto coincidere con la mente conscia) e c’è l’inconscio, concepiti come due enti. Per gli yoga invece l’io è un inganno, e nemmeno l’inconscio è un ente, bensì è una modalità della mente (al pari della mente conscia), importante sì ma una tra le tante. Detto altrimenti, gli yogin sono consci di non essere l’io e sono consci di quello che gli occidentali dicono l’inconscio, nonché di altro: ma questo stato non è “il conscio” ordinario, ma è uno stato “oltre-conscio”, indissolubile dalla luce interiore, che viene detto dalle diverse tradizioni non-sé, Atman, rigpa, natura della mente, ed è la base incontaminata e pura della realtà effettiva di ciascun esser umano. La stessa fantasmagorica kundalini è un mezzo per giungere a questo stato; essa non è la libido, e men che meno la libido sessuale, bensì è energia che appartiene a un kaya superiore a quello inconscio.
I tantra, poi, non si limitano a “spiegare” come funzioni la mente, anzi la semplice conoscenza nozionistica è per il Tantra insignificante; essi sono invece diretti a farti “essere” stati di coscienza ulteriori, stati che non sono semplicemente psicologici né esistenziali ma modalità di vita diverse e insospettabili (ciò in India viene detto e ripetuto da millenni, il pensiero occidentale deride tutto ciò, naturalmente per sapere come stanno le cose bisognerebbe essere yogin…). Nella psicanalisi il paziente espone ricordi e pensieri in modo quasi inconsapevole, parla; l’analista ascolta (Lacan non profferiva giammai verbo); e, se va bene, opera il transfert, la liberazione da un certo ostacolo. Né il paziente né l’analista hanno a che fare con l’inconscio, uno lo espone senza saperlo, l’altro lo ascolta. Lo yogi invece manipola il proprio inconscio; e lo può fare perché egli “è effettivamente” anche l’inconscio.
Freud e Jung, quindi, sono si può dire due geni incompresi, a causa del fatto che loro stessi non si sono davvero compresi: ebbero visioni profonde, ma ancora molto limitate.
E, se si vuole, il termine stesso “psicanalisi” rispecchia la sua contraddizione intrinseca: la psicanalisi vuole analizzare ciò che pone al di fuori della fonte dell’analisi (la quale è appunto la mente conscia razionalizzante — peraltro analysis, letteralmente scioglimento, è il termine aristotelico per quello che è la logica razionale). Analizzando si creano enti con la mente razionale: e se non ci si rende conto che gli enti sono come tali sempre e solo astrazioni create dalla ragione, si resta nel circolo vizioso della rappresentazione. Gli yoga, e in particolare i tantra, invece mirano a farti essere stadi di coscienza superiori.