Lascia alle sue spalle le note e le urla urticanti della Piazza alla ricerca di immagini immobili per gli occhi e di quella voce sfocata della città antica definita silenzio. Senza meta, il suo incedere la conduce ad una porta, a cui il tempo ha rosicchiato i piedi, che si apre in un muro scrostato: sopra, un’inferriata rugginosa e simmetrica la schiaccia senza darle respiro.
Giunta su uno spiazzo con la pavimentazione che è disegno di lastrico e ciottoli, si appoggia ai mattoni polverosi e socchiude gli occhi per acuire il suo udito. Il silenzio in cui si perde è fruscio di fronde, voci di uccelli, canto di campane, suono di un bimbo che con un “maa” chiama il suo gatto…o forse la mamma.
Riprende il cammino attratta da un apparato decorativo: considera l’eredità scultorea nella tessitura e nelle modanature, pensa alla maestria di uomini lontani che hanno prodotto un simile lascito ai posteri e si chiede quanto fossero coscienti del perdurare nel tempo della loro opera mentre ricamavano la pietra con lo scalpello, la levigavano, la misuravano, mentre con posizione malferma fissavano il loro lavoro.
Avanza di pochi passi quando una folata di vento più forte le consegna l’emozione di essere avvolta dai fiocchi del polline dei pioppi che, senza una direzione, sono sospesi nella luce e nell’ombra che si contendono la facciata in mattoni del San Filippo e considera la bellezza dell’istante. Altre campane, più forti, vicine. Un’eco smorzata prolunga l’abbaiare di un cane. Il vento smuove le foglie di un glicine su una terrazza. Intanto un volo di rondine, con una traiettoria curva, divide il cielo.
Ora i suoi passi salgono per una viuzza che diventa sterrata e compresa fra due muri. Di questi osserva come i mattoni e le pietre del paramento sforzino per uscire alla luce, squarciando l’intonaco grossolano. Ogni pietra di tonalità diversa: innumerevoli bianchi, grigi, rosa, più o meno opachi e uniformi e verdati di muschio. Più in là radici di rampicanti bellissime, potenti, ispide di peduncoli, avvinte fra loro in un groviglio difficile da seguire, impossibile da dipanare, attraggono il suo sguardo e lo trattengono mentre per analogia viene ricondotta al nodo dei suoi pensieri avviticchiati. Il canto di un pettirosso ne interrompe il corso.
E’ tempo di rientrare: ora procede decisa senza più cercare voci e immagini, ma divenendo mobile calco per ognuna di esse. Un anello al muro, un nitrito, voce del ricordo. Pellicole di colore, incoerenti e sovrapposte, sfarinate in un mosaico in dissolvenza sul supporto di calce. Reticoli di foglie secche simili a filigrana rotolano fragili sull’acciottolato. Il fiume scorre borbottando in una lingua conosciuta e mai interpretata. Lei, immobile, segue un’unica infiorescenza di pioppo che si abbandona al vento e desidera arrendersi alle ruvidezze della vita con la stessa leggerezza. Altre rondini intrecciano voli e voci mentre i pappi piumosi del tarassaco, nel vento, si librano pur zavorrati dai loro acheni fra i pollini inconsistenti.
Si accorge che ha lasciato i pensieri, che le si affollavano dentro, aggrappati a quelle pietre secolari, incastrati fra una cortina muraria e un intonaco sbrecciato o in consegna ai ciottoli che le hanno fatto storcere la bocca e invocare zoccoli di legno: ora si guarda intorno, con la consistenza interiore dei pappi piumosi che l’hanno incantata, con la consapevolezza che perdersi nella bellezza dei luoghi ha in sé la forza di ritrovarsi più saldi.
Foto di Lorenzo Avico
Abbiamo presentato questo progetto di scrittura creativa e pubblicato il primo intervento qui https://www.margutte.com/?p=2269. Il secondo si trova qui https://www.margutte.com/?p=3035. Questo è il terzo.