Ritorno al Cinquecento. Una mostra a Cuneo

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FULVIA GIACOSA

Da un po’ di tempo sembra che un vento nuovo stia portando in auge l’arte del passato dopo anni di crescente attenzione per quella contemporanea. Tra celebrazioni di date storiche (nascite e morti illustri) e un pubblico via via più attento alla grande tradizione artistica si moltiplicano le mostre sui secoli d’oro dell’arte italiana ed europea. Anche la nostra provincia segue questo refolo, lo testimoniano due mostre recenti a Cuneo: l’anno scorso quella sulla triade veneziana Tiziano-Veronese-Tintoretto e quella in corso dal titolo “Lorenzo Lotto e Pellegrino Tibaldi. Capolavori della Santa Casa di Loreto”, entrambe ospitate nel Complesso monumentale di San Francesco e promosse dalla Fondazione CRC e Intesa San Paolo. Sono nove grandi tele: due sono affreschi staccati e riportati su tela di Tibaldi (“La predica del Battista” e “La decollazione del Battista”), sette di Lotto di cui cinque realizzate prima del suo trasferimento a Loreto nel 1552 che l’artista ha portato con sé da Ancona perché rimaste invendute (“San Michele scaccia Lucifero”, “Il sacrificio di Melchisedech”, “Cristo e l’adultera”, “L’adorazione del Bambino”, “Il battesimo di Cristo”) e le ultime due (“L’adorazione dei Magi” e “La presentazione al Tempio”) dipinte in loco, il tutto donato alla Sacra Casa quando si fa oblato poco prima di morire. I due autori si ritrovano a lavorare per la Basilica a metà Cinquecento anche se appartengono a generazioni diverse: il primo è un venticinquenne con una carriera ben avviata, il secondo è ultrasettantenne e ormai malato. Il complesso lauretano, sotto la giurisdizione vaticana dal 1469, conserva la reliquia della casa della Vergine che, secondo la leggenda, era stata portata qui dagli angeli sul finire del Duecento; si tratta in realtà di ciò che ne restava in Palestina (caduta sotto i musulmani) utilizzato per ricostruire a Loreto la “casa santa”. Il santuario diventa un luogo frequentatissimo e, nel corso del XV secolo, vi lavorano artisti operanti presso la curia romana intenta ad una “Renovatio Urbis” (tra gli altri Melozzo da Forlì, L. Signorelli, D. Bramante, J. Sansovino e G. da Sangallo). Col XVI secolo Loreto diventa un baluardo contro le eresie riformistiche e tra i pellegrini spicca il nome di Carlo Borromeo che vi giunge -si dice a piedi- nel 1579. Questa ulteriore funzione del complesso lauretano è testimoniata dalla costruzione di una cinta fortificata. Agli artisti il Vaticano chiede di concentrarsi sulla figura di Cristo e dei sacramenti, in particolare il battesimo e la comunione, e il rispetto dei dettami controriformistici che insistono sulla funzione mediatrice della Chiesa anche attraverso le immagini: rispetto dell’ortodossia nei temi e nelle figure e, pur non condannando sperimentazioni stilistiche manieristiche (la regola non esclude le licenze formali), vuole un linguaggio comprensibile e atto a stimolare sentimenti di devozione. L’arte sacra torna ad essere ancella della religione e gli artisti vi si adeguano, indipendentemente dalla loro sincera condivisione o da un accettato compromesso per ottenere commissioni. 

Venendo ai pittori della mostra, Tibaldi e Lotto,  probabilmente c’è stato uno scambio di vedute tra i due a Loreto ma risultano evidenti le divergenze stilistiche, le diversità di personalità, formazione e percorsi. Pellegrino Tibaldi (1527-’96), pittore, scultore, stuccatore e architetto, all’epoca aspira ad essere un novello Michelangelo e appartiene alla seconda generazione di manieristi. Dopo le prime opere ispirate da modelli raffaelleschi circolanti a Bologna dove s’era trasferito dal natio comasco, è scenografico negli impianti spaziali e monumentale nella resa delle figure, soprattutto nei cinque anni che passa a Roma (1548-’52). Tornato a Bologna esegue una serie di affreschi illusionistici e proto-barocchi  per il Card. Poggi ; poco dopo è nelle Marche e nel 1554 si reca a Loreto ove resta due anni per affrescare la cappella dell’Assunta dedicata a San Giovanni con figure in forte scorcio inserite in uno spazio dinamico. Sono opere di osservanza controriformistica che si preciserà ulteriormente nel 1560 circa quando, tornato in Lombardia, si dedicherà prevalentemente all’architettura post-tridentina sotto la protezione di Carlo Borromeo. “La predica del Battista”di Loreto è una scena affollata di figure sulle quali troneggia un grande Battista con il braccio teso a chiedere attenzione memore delle statue oratorie antiche; tra le rocce del fondale spicca una figura con le braccia aperte che pare sorgere dal buio colpito dalle parole di Giovanni che lo aprono alla verità e alla fede. Ne “La decollazione del Battista” la scena è meno gravida di personaggi raccolti a piccoli gruppi: donne dagli ampi panneggi su corpi voluminosi e chine sull’orrendo martirio da un lato, uomini-carnefici armati di grandi spadoni dall’altro, che creano una verticale capace di condurre l’osservatore sul Battista ormai senza testa posto in basso. Entrambi gli affreschi sono teatrali e un po’ troppo retorici, pieni di comparse caratterizzate nelle espressioni. Lorenzo Lotto (1480-1556), veneziano di nascita, fatica a d imporsi in anni dominati da un Tiziano ben inserito nelle committenze dogali fin dagli inizi della carriera; nonostante sia molto apprezzato (e aiutato economicamente come risulta dal “Libro di spese diverse” di Lotto) dal fiorentino Jacopo Sansovino che giunge in laguna nel 1527 e diventa architetto della Repubblica con tutta la fama che ne consegue, Lotto rimane a margine della stagione rinascimentale veneziana, costretto a cercar lavoro altrove. Certamente c’è nella sua arte una vena innovativa e originale, tuttavia egli appartiene al Rinascimento sia pure con qualche anticipazione manieristica occasionale. Nelle sue opere più che il tonalismo tizianesco si notano un segno sottile ma nitido e una luce chiara avvicinabili ad Antonello da Messina (che era stato prima nelle Marche e poi a Venezia), una pulizia formale di derivazione belliniana, un colore brillante e un realismo nordico (Dürer è a Venezia a inizio Cinquecento), vale a dire quanto di meglio ha espresso il Rinascimento. Le ragioni dei suoi turbamenti tuttavia sono ben più profonde della semplice delusione d’essere poco apprezzato; Lotto vive l’inquietudine religiosa del suo tempo, sente un’affinità con evangelici e spirituali come gli amici Sansovino e Serlio, legge “De imitatione Christi” come Erasmo e Lutero, si interroga sulla rigidità crescente della Chiesa romana. La sua è una devotio moderna che lo conduce a una quotidiana solitudine. A parte il periodo bergamasco, il più sereno della sua vita in cui realizza i suoi capolavori (1513-1525), si chiude sempre più in meditazioni religiose in cerca di sicurezze che non ha e dipinge soggetti devozionali. Del periodo a Bergamo vorrei segnalare la “Pala Martinengo” ove la raffinatezza stilistica si sposa a motivi insoliti e curiosi. È una “sacra conversazione” rinascimentale (una Madonna in trono col Bambino e Santi) ma i personaggi si stagliano sul colonnato di una navata, anziché su un’abside com’era consuetudine, creando una inversione prospettica; inoltre in alto si trova un rebus (Divina Iustitia – Suave Iogum) formato dall’immagine di una bilancia (simbolo di giustizia) e di un giogo accompagnati dalle scritte “divina” e “suave”. Anche la più tarda “Annunciazione” di Recanati (1534) non segue i canoni abituali: la Vergine in primo piano a sinistra sembra una umile fanciulla del luogo spaventata dall’arrivo dell’angelo che le sta dietro e, ancor più, da un Dio che, sul fondo della tela, irrompe nella stanza con le braccia tese affilate come una spada; l’ambiente è nordico negli arredi  ed è attraversato al centro da un gatto che fugge terrorizzato (punto d’attrazione visiva). Lotto è anche un grande ritrattista e, per quanto riguarda i ritratti di giovani vorrei suggerire un parallelo con un artista contemporaneo, Giulio Paolini, ma siccome so di uscire dal seminato, lo farò in coda a queste righe cosicché il lettore non perda il filo del discorso. Col passare degli anni l’artista è sempre più inquieto e la Controriforma condiziona le sue ultime opere a Loreto nella speranza del perdono e della salvezza. È il periodo più mistico dell’artista, con Cristo protagonista: l’ordine, la calma e l’equilibrio dello stile classico-rinascimentale si dissolvono a favore dell’emotività. “La presentazione al Tempio” dai toni smorzati sembra non finita, quasi un presentimento della fine; eppure è presente ancora un ultimo guizzo di fantasia nell’altare poggiante su gambe e piedi umani. Sul fondale in ombra si affaccia un vecchio in tonaca che potrebbe essere un autoritratto. L’opera è stata letta come il testamento spirituale di Lotto e, secondo il curatore della mostra, richiama il vangelo di Luca quando Simeone di fronte a Gesù Bambino dice: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo/ vada in pace secondo la tua parola/ perché i miei occhi han visto la tua salvezza …”

NOTULA: Lotto e Paolini

Il lottesco “Ritratto di giovane” del Lotto (1508) ha ispirato un lavoro concettuale di Giulio Paolini che partendo da una foto del dipinto, peraltro dozzinale, inverte il rapporto tra il giovane raffigurato e l’interlocutore sottinteso, dandole il titolo di “Giovane che guarda Lorenzo Lotto” Paolini crea con mezzi poveri un doppio fotografico del quadro originale e sposta l’attenzione sullo spettatore; si ottiene così una tautologia sui generis che Paolini rende disarmante costringendoci a andare avanti e indietro in un labirinto concettuale sull’idea di “sguardo”. “L’autore è sempre, non dimentichiamolo, primo testimone e dunque spettatore della stessa opera che crede di definire come sua … Non si tratta di una rivisitazione in quanto scelta nel magazzino del passato; è più un’accoglienza indifferenziata, una memoria che vuole attingere al farsi stesso dell’opera”, afferma. Inoltre il medium fotografico (non rifacimento pittorico come in tanti citazionisti d’oggi ma linguaggio del tempo presente) ribadisce la “riproducibilità tecnica” (W. Benjamin) dell’opera d’arte contemporanea e la questione del rapporto col pubblico. I ruoli si invertono: il fruitore e l’artista-spettatore si sostituiscono a Lotto che entra a far parte del presente.

INFO: la mostra è visibile gratuitamente fino al 17 marzo. Orari: dal martedì al venerdì (15,30-19,30); sabato e domenica continuato (10-19,30). Indirizzo. Cuneo, via Santa Maria 10, tel. 0171-634175; sito: www.fondazionecrc.it