Orienti di Elio Grasso

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Dalla postfazione di Alberto Fraccacreta

La lirica di Elio Grasso sin dall’esotico titolo Orienti possiede [...] una forza «dissestante», capace di «dirigere il sogno invece di subirlo» (così diceva Albert Béguin di Aurélia). Cos’altro pensare, infatti, di simili apparizioni? «Tu, sola, e non più straniera / dei superstiti sfavillerai su luoghi / di sangue più che sogno e più che sale / sulla fortuna bella dell’onda». Dove conduce il canto? Il libro – diviso austeramente in tre parti – si apre con un sintagma la cui ascendenza non può in alcun modo tradire il lettore di poesia: «La bufera che trabocca sulle spalle / fin giù sfarinando i libri / raccolti alle pendici marine, / la forza della vastità sabbiosa / a fronte del tempo che sa». La bufera che…, poi di ritorno (scottantissimo) alla fine della silloge, in una umbratile Ringkomposition. Orienti, nella sua sorprendente densità, è forse un lungo agone tra la bufera del Novecento (quella di ogni epoca), il «vestibolo del buio» e la luce recata dall’alterità. Persino nelle remote regioni «dov’è presto polvere» e i termini in questione rimangono «indistinti». Luce fioca, decisiva. Sotto questi presagi, l’oriente – sempre «prodigioso», fonte di barlumi e aspre prese di coscienza – coincide con l’«immagine comprensibile» vista sul Bosforo, Istanbul «nel fodero del secolo», il Karlův most di Praga e i suoi «sussulti, ristagni», Venezia-Tiepolo, lo «slargo» delle isole egee; ma anche, più in prossimità, con l’oriente «ligure» che «principia gratitudine marina, di rame». Luoghi noti all’autore. In ogni caso è l’oriente abitato dallo stanziarsi del femminile, dal sorgere florido dell’umana vicenda (biologica e storica) con un personaggio unico che troneggia le estati, i passaggi cilestrini, i «posti di vedetta», le «litoranee ristrette vie» [...].
In Orienti, per tramite della figura di Silvia e nel contatto con l’Agnello, in una dizione meditativa che ricorda le Notti di pace occidentale di Antonella Anedda, la poesia stessa trova una sua cangiante forma di ‘santificazione’: «Gentile ora quel che invade, / un altro giorno è questo / al seguito delle stagioni, / dov’è nido, e il lavoro tuo santo». Non resta che perdersi nella convergenza dell’infinito, in quel «ritorno al mare» al di fuori di ogni confine. Là dove l’Agnello sarà in noi stessi – pare suggerire Grasso –, dentro allo «sconosciuto giorno».

Da Orienti I-II-III (puntoacapo Editrice 2024)

Rispuntano scricchiolii, troppo noti
perché l’immortalità assecondi
posti sicuri per l’ombra nuda
fiera di passo che oggi pretende
fedeltà e crocevia d’intenti.
Sono mosse di spiriti avvinti
nella ripida sostanza del corpo
mondiale, corpo sommerso
rivedendo onorevole rimescolio
e memoria alla schiera dei morti.

*

Dov’era il secolo, nel grande
bosco che eterno non è,
davanti agli occhi la sporadica
costituzione del mondo.
Per l’ultima volta nominato,
peccato di presenza,
non avremmo capito di più
decisi contro l’arma che trafigge.
Ma poi tu, riapparsa, andasti
a distesa d’occhio, gran discendente
in visita nello sparso paese svolgendo
i confini sulla grande pianura.

*

Il tempo sul ciglio corre al colmo
di salite boschive d’anteguerra,
ma in basso erano sabbie capolavori
d’infanzia e visibilità indistinte
fra le sterpaglie, dove tu rispondevi
nel prediletto giorno cortese.
Le macerie piatte vietano
sostegni, infuocano gli orti –
lì saremmo festosi se non fosse
infranto il frutto d’estate
sulla punta del picco costiero.

*

La terra risponde, mal colta
dal loro male, ma è lenta
e non sconfitta.
Agli angoli di orti svincolati
da noi s’intendono voci
dell’ambiguo
fino a trasognarsi nell’interrotte
strade sotto le case sbrecciate
povere di cibo, e passate
al mondo che vorremmo
muoversi per noi – non sigillo,
ma salvo dalla bufera.

*

Può mai bastare l’avvertenza
di stanchezze nel basso fogliame
che mai separa i sollievi?
Vorremmo come apprendisti
il ritorno al mare,
la ribadita volontà dell’onde
a fermarsi al riparo dei giardini
fin dove l’arsura del deserto
disobbedisce alle cattive prode.

*

Elio Grasso è nato a Genova, dove vive. Tra i suoi libri di poesia: Teoria del volo (Campanotto 1981), Avvicinamenti (Ripostes 1983), L’alleanza della neve (Laghi di Plitvice 1996), La soglia a te nota (Book Editore 1997), L’acqua del tempo (Caramanica 2001), Tre capitoli di fedeltà (Campanotto 2004), E giorno si ostina (puntoacapo 2012), Varco di respiro (Campanotto 2014), Lo sperpero degli astri
(Macabor 2018), Novecento ai confini (Campanotto 2021), L’angelo delle distanze (nuova edizione, puntoacapo 2021), A placarsi occorrono anni (con Marco Ferri, Cervo Volante 2021), Orienti (puntoacapo 2022). Del 2015 è il romanzo Il cibo dei venti (Effigie). Traduzioni: E. Carnevali, Ai poeti e altre poesie (Via del Vento 2012). T.S. Eliot, Four Quartets (Raffaelli 2017), W. Shakespeare, 60 Sonetti (Raffaelli).

(A cura di Silvia Rosa)