Fiori di Calendula Maritima

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ANTONINO STAMPA

I Gennaio
Un giorno di sole
nel pieno dell’inverno

e capisco
che questa mia vita
è cogliere il sole
prima che la tempesta
mi scuota.

II
Lago di luce
il mare
per il sole che sorge
nel cielo gravato da nubi.

III
Quelle nubi
che il cielo ingrigivano
ha disperso il vento
svelando caldo
sulle mie carni il sole
dopo il lungo
umido inverno.

IV
Nel silenzio
oltre bassi muri
solitari alberi
nel sole alzano chiome.

V Distico
Una nuvola d’oro
i tuoi capelli ondulati nel sole.

VI
Nel gelo
del nero asfalto,
ora che il sole
nel vasto mare imporpora.

VII
Il limone
che, esile,
verdi foglie
alzava,

contorti rami
ora protende

carico dei miei anni
nel grigio
di un incerto cielo.

Il titolo Fiori di Calendula maritima (pianticella salvata dall’estinzione che cresce solo in una piccola parte costiera della Sicilia trapanese) ci colloca subito nella terra di Antonino Stampa, alla quale lo scrittore ci trasporta attraverso i suoi occhi innamorati. Perché, riecheggiando quanto Goethe diceva della bellezza: «La poesia / non è nelle cose, / ma negli occhi / di chi / le guarda». Ed è così che l’autore ci accompagna lungo le cinque parti che compongono l’opera. Le prime quattro (Come un battito d’ali, Noi e gli altri, Quel che lasciamo, Universo) sono tanto connesse tra loro che le poesie che le compongono sono numerate in sequenza dalla I alla XXXI; la quinta (Belice 1968-2018) è una sorta di poemetto interamente dedicato, al drammatico terremoto che colpì Gibellina e dintorni.
L’espressione è affidata a versi brevi, che evocano più che descrivere. Versi tanto spontanei quanto meditati: l’immagine di una tenda da sole basta a richiamare la siepe dell’Infinito: «Scorrono ombre / sulla tenda / da sole. // Oltre, / nel limpido azzurro, / voli d’uccelli» (Oltre, poesia IX di Come un battito d’ali). Una citazione dell’Infinito di Leopardi apre la lirica XXIX della sezione Universo: «Nero, / infinito silenzio / solitudine di spazi / ove smarrirsi…».
Antonino Stampa ci offre un’osservazione disincantata della realtà, presentata in genere solo per accenni fugaci, come in una apparentemente placida contemplazione del reale: le parole del poeta, infatti, sono sempre lineari, non ‘aggrediscono’ il lettore con immagini disturbanti. Neppure quando accennano ad autentici drammi dell’esistenza: «…Quanti / in ordinati governi, / ignorati, / senza lasciare traccia / nella nera terra / chiusero / una vita di stenti?» (poesia XXVIII di Quel che lasciamo). E nemmeno quando, con pungente ironia, ricorda: «…Non tingerti la canizie, / non questo / ti renderà giovane» (poesia XXV, ivi).
Al di là della scorrevolezza quasi pacificante dei versi di Antonino Stampa, però, affiorano molti tratti di sofferenza. In Siciliano (lirica XIII di Noi e gli altri), l’incipit allude a sofferenze secolari: «Sono / di questa terra, / zattera a genti in fuga / nel vasto mare / o qui venute / per sete di dominio…». La leggerezza dei versi fluenti, liberi da metrica e rime, quasi copre anche sofferenze più intime, come nella lirica XVI di Noi e gli altri, che per intero recita: «“Ciao, / come stai?”. / “Bene…”. // Abbiamo l’obbligo / di stare bene. / Dovrei aprirti il mio privato, / forse quello dei miei familiari…? / E tu? / Ascolteresti attento, / qualche parola / di solidarietà. / Poi ti allontaneresti. / Per i tuoi urgenti impegni».
La sofferenza emerge più esplicita in Belice 1968-2018, con undici Quadri di un terremoto e del prima e del dopo: si veda la poesia VI (Ruderi di Poggioreale) che chiude con questi versi struggenti: «…Il vento / fra i muri / urla, / piange nel mio cuore». Un dolore intenso, che il poeta sa rievocare con poche asciutte parole: «…il muro di una casa / aperta, / memoria / d’intimità perduta…» (poesia III, Gibellina nuova – Le tre piazze).
Con Antonino Stampa siamo introdotti nell’aspetto forse meno amato, ma più presente in ogni vicenda umana nel mondo: la sofferenza; la speranza permette di collocare tutto il male del mondo all’interno di un disegno positivo, ma non toglie dalla vita la dura esperienza del dolore. Speranza sommessamente suggerita al lettore con l’immagine del contadino che «…Apre il solco / e vi depone il seme / e in giugno / campi fecondi / di giallo grano / falcia nel sole, / quel pane / che Dio / con l’uomo ha diviso…» (poesia V di Belice 1968-2018).
MARCO ZELIOLI

Antonino Stampa è nato nel 1946 a Trapani dove attualmente risiede; laureatosi in Filosofia presso l’Università di Palermo, ha insegnato Lettere nelle scuole medie. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Marine. Trasparenze in frammenti (1995), Specchio nascosto (2002), Distesi silenzi del mare (2003), Nei gorghi del tempo (2012), Chiedersi (2014), E non distinguo approdi (2017).
ANTONINO STAMPA, Fiori di Calendula maritima, prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2024