“Dall’uno all’altro mar”, una musica nuova

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GABRIELLA MONGARDI

Il “Festival dei Saraceni”, il festival di musica barocca più antico d’Italia, ogni anno sa “rivoluzionare” la formula tradizionale proponendo sempre qualcosa di nuovo: sarà perché il suo anno di nascita è il “rivoluzionario” 1968? Quest’anno ad esempio il cartellone si apre alla musica jazz, klezmer, armena, latino-americana, ma il concerto di apertura, sabato scorso, è rimasto sotto il segno del barocco – e sotto la volta affrescata della cupola ellittica più grande del mondo, quella del Santuario di Vicoforte.

Hanno suonato i Giovani dell’Academia Montis Regalis, al termine dell’ottavo stage settimanale in cui si articolava quest’anno il Corso di Alto Perfezionamento musicale barocco, sotto la direzione del maestro Alessandro Palmeri: con un suono caldo e denso, perfettamente amalgamato, e un’interpretazione matura e sicura hanno brillantemente eseguito un programma davvero interessante e accattivante, muovendosi tra Napoli e Venezia, “Dal golfo alla laguna” (questo il titolo del concerto).
All’inizio del Settecento – come illustrato da Giovanni Tasso nel programma di sala – Venezia e Napoli, insieme con Roma, erano le “capitali musicali” non solo d’Italia, ma dell’intera Europa, e il concerto rende perfettamente conto di questo fermento creativo, per cui i compositori italiani suggerivano sempre nuove tendenze musicali che, grazie allo sviluppo dell’editoria musicale e alla sempre maggiore propensione a viaggiare, si diffusero ben presto in tutte le capitali europee, da Lisbona a San Pietroburgo. A riprova di ciò, nel programma si alternano brani di compositori veneziani (Galluppi, Vivaldi) e napoletani (Scarlatti, Durante), ma viene eseguito anche un brano di Wassenaer, un diplomatico olandese appassionato di musica, che abitò sia a Venezia che a Napoli. Il suo Concerto Armonico n.1 in sol maggiore si apre con un grave sospeso, in ricerca, che formula una domanda a cui il successivo allegro risponde in modo nitido e perentorio. L’andante ripropone la perplessità iniziale con ipnotica monotonia. I violini attaccano spigliati l’ultimo allegro, senza però dissipare un’impressione di rigidità un po’ scolastica.

Tutt’altra atmosfera si respira negli altri compositori, di cui l’orchestra sottolinea di volta in volta un diverso aspetto, una peculiarità specifica.
Il concerto n.1 in sol minore di Baldassarre Galluppi comincia timidamente, con un’introduzione sommessa, per poi crescere di intensità e slancio, con il tema che scivola da una sezione all’altra dell’orchestra su un ritmo danzante, a morbide onde.
Di Vivaldi viene eseguito il concerto in sol minore per due violoncelli RV 531, evidenziandone i grandi contrasti chiaroscurali e lo sperimentalismo: Vivaldi è stato il primo infatti a conferire piena dignità solistica al violoncello, che aveva perlopiù una mera funzione di basso continuo. Dopo un allegro tempestoso e agitato, con un dialogo serrato tra orchestra e solisti (Pablo Tejedor Guierrez e Federico Immesi), di grande virtuosismo, il culmine si ha nel largo, che ha un che di jazzistico sia nella strumentazione che nell’improvvisazione: suonano soltanto violoncelli e cembalo, ed è aperto da un assolo del maestro Palmeri, che improvvisa una “cadenza” sua.

La struttura del concerto grosso in fa maggiore di Alessandro Scarlatti è altrettanto ricca di contrasti: fra architetture contrappuntistiche e cantabilità melodica da una parte, fra la vivacità scherzosa e ammiccante degli allegri e la pensosità meditativa dei larghi dall’altra.
Il concerto n.5 in la maggiore di Francesco Durante è un vero “inno alla gioia”: il presto iniziale,vivace e scanzonato, sembra fare lo sberleffo alla vita e alla morte; il largo, di ampio respiro, getta uno sguardo dall’alto sulle cose; il breve allegro finale è un invito ad abbandonarsi alla gioia, segnatamente quella della musica – perché fare musica è gioia pura.
Per questo ai musicisti non è dispiaciuto affatto concedere il bis richiesto calorosamente dal pubblico che affollava la basilica: l’allegro finale di un concerto per archi di Vivaldi, da cui emerge di nuovo la sua capacità di piegare le risorse tradizionali a una espressività nuova.

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