L’antica lingua di Creta non è più un mistero

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GABRIELLA MONGARDI

La pagina di Wikipedia che tratta della scrittura Lineare A, o minoica, ragguaglia sì dettagliatamente sugli sforzi fatti finora per decifrare le iscrizioni trovate sull’isola di Creta agli inizi del Novecento dall’archeologo britannico Arthur Evans, ma brancola nel buio, limitandosi a esporre le più svariate ipotesi sulla natura misteriosa della lingua “minoica”.

La pagina riporta come data di ultima modifica il 20 giugno 2024: eppure in essa non c’è traccia del libricino, pubblicato nel 2018 presso l’editrice Aracne da due studiosi cuneesi, Duccio Chiapello e Laura Bellani, che fin dal titolo dirompente annuncia “La decifrazione della Lineare A”, ossia la definitiva soluzione dell’enigma.

Con understatement tipicamente sabaudo, i due ricercatori confessano di essersi deliberatamente posti di fronte ai testi antichi con uno sguardo vergine e “ingenuo”, rinunciando alle tentazioni di una lettura comparata per concentrarsi sul nesso tra le iscrizioni presenti sugli oggetti e la natura o la funzione degli oggetti stessi, in qualità di “oggetti parlanti”. In realtà, 15 pagine di bibliografia (su 145 di libro) dimostrano che la loro “cassetta degli attrezzi” è ben fornita di strumenti di ogni tipo – storici, archeologici, linguistici, antropologici – e che la loro conferma del presentimento che fu già di Evans, ossia che “la lingua delle due scritture lineari cretesi fosse sostanzialmente la medesima”, poggia su solide basi scientifiche.

La tesi di fondo del lavoro è che il minoico sia una lingua greca, affine al dialetto dorico, e che i sillabogrammi utilizzati per la scrittura siano sostanzialmente analoghi a quelli della Lineare B (decifrata da Ventris nel 1952 e riconosciuta come greco miceneo): ad esempio non notano le consonanti finali di sillaba l, r, m, n, s, e trascrivono solo il suono vocalico prevalente nei dittonghi. Si tratta inoltre di una scrittura per sintagmi (come quella geroglifica), che a volte viene integrata con logogrammi.

Dopo la prima parte di carattere teorico e metodologico, la seconda parte del libro riporta un campionario di iscrizioni in lineare A, dando la trascrizione fonetica dei sillabogrammi, la corrispondenza in greco antico, la traduzione in lingua moderna e il commento: le parole sono del tutto coerenti con la natura dell’oggetto su cui si trova l’iscrizione, ad esempio sul bordo di una brocca risulta la scritta “vaso per vino, 17” con l’indicazione della capacità del recipiente; su una spilla per capelli, evidentemente un dono nuziale, si legge: “vieni a me come moglie”, e così via.

I due ricercatori ovviamente hanno lavorato sulla quasi totalità del corpus in lineare A, non soltanto sul materiale qui pubblicato, applicando sempre lo stesso metodo qui illustrato e ottenendo sempre nuove conferme alla loro ipotesi; i loro risultati sono inoppugnabili dal punto di vista scientifico, e stupisce che non abbiano avuto la risonanza che meritano, tanto più che gli autori hanno scritto il libro non solo in italiano – lingua marginale in ambito accademico, ma anche nella lingua ufficiale della scienza, l’inglese.

Grazie a questa scoperta si può ricostruire un mondo che si riteneva perduto, e tante caratteristiche che oggi si attribuiscono alla Grecia classica possono essere retrodatate addirittura di mille anni. I due docenti cuneesi auspicano che altri studi si affianchino al loro, e promettono di approfondire l’indagine in una successiva pubblicazione più dettagliata. Speriamo che la loro ricerca continui!

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