ANTONIO VIGLINO
La Rivelazione della Sfinge
Gli egizi antichi ritenevano che la Sfinge fosse depositaria di una sapienza vasta e profonda — così come nei trattati del Corpus Hermeticum è scritto che Thot, il dio della saggezza, abbia nascosto in un qualche luogo in Egitto le sue conoscenze segrete. Questi due fatti sono considerati dagli egittologi come racconti mitici, favole.
Invece in base a quanto ho scoperto ed espongo nel mio La rivelazione della Sfinge, entrambe queste notizie paiono essere puramente veridiche. Vale a dire che la Sfinge è effettivamente custode di una conoscenza arcana e segreta, la quale è inscritta in stele di natura assai particolare, riconducibili proprio ad esseri che si possono dire divini.
Pertinenziali alla Sfinge vi sono tre templi: il Tempio della Sfinge posto di fronte alle zampe della Sfinge, il Tempio della Valle adiacente al Tempio della Sfinge, e poi in aderenza alla seconda piramide, quella detta di Khafra, c’è il terzo Tempio, detto Mortuario, che è collegato al Tempio della Valle per mezzo di una strada rialzata lunga 500 metri. Ebbene secondo gli egittologi questi tre templi costituiscono, unitamente alla Sfinge ed alla seconda piramide, niente di più che il complesso funerario del faraone Khafra (Chefren in greco) della IV dinastia.
Invece questi tre giganteschi ed enigmatici templi raffigurano una precisa e deliberata comunicazione in forma di disegno, inscritto nella piana di Giza come un geroglifico megalitico, sfuggito alle analisi di generazioni di egittologi. La pianta di questi tre templi costituisce un disegno, dal significato inequivocabile ed autoevidente.
Questo documento, tanto concreto quanto pianamente razionale, si vedrà si accordi armonicamente con le diverse diramazioni della Scienza Sacra che da sempre innervano le civiltà della Terra, al punto anzi da costituire, il messaggio della Sfinge, il fondamento archetipico e la chiave di comprensione di quel vasto alveo di conoscenze che la mentalità occidentale, idolatra della più bieca ragione calcolante, non sa più intendere.
Scoprii vent’anni fa il geroglifico megalitico rappresentato dai tre templi pertinenziali alla Sfinge di Giza.
Ed il suo significato mi fu subito evidente: un essere superiore che colpisce con una sorta di raggio il cervello di un pitecantropo. Un disegno affine alla creazione di Adamo affrescata da Michelangelo nella Cappella Sistina, con la differenza dell’essere il geroglifico della Sfinge molto più determinato ed accurato, animato da una precisione che a ben vedere non si può che dire scientifica. Il documento del quale la Sfinge è da millenni custode mostra la creazione dell’uomo, non naturalmente la creazione ex nihilo, bensì la sua formazione e modellazione a partire dai primati meno evoluti, da parte di esseri all’uomo superiori. Detto altrimenti, il geroglifico della Sfinge dichiara che l’uomo discenda dalle scimmie, così come riconosce il pensiero scientifico attuale, con la cruciale differenza, rispetto al pensiero scientifico, intorno alla causa della specificazione dell’homo sapiens, che non fu l’evoluzione fortuita di mutazioni genetiche casuali, bensì un intervento esterno, il quale, quantomeno rispetto all’ambito del pensiero occidentale, deve dirsi esoterrestre.
Mi avvidi appunto di questo messaggio in forma di disegno, dal valore particolarmente preciso e pregnante — che, se da un lato si accorda alle narrazioni religiose più diffuse, a partire del libro di Genesi, dall’altro pare con evidenza avvalorare le tesi di quegli autori che sostengono esservi nei testi sacri la descrizione di operazioni di ingegneria genetica operate da esseri superiori al fine di produrre l’uomo attuale.
Ed anche mi resi naturalmente conto della fragorosa novità che l’opera megalitica in sé costituiva rispetto al panorama delle conoscenze consolidate intorno alla civiltà egizia, anche perché nella trimillenaria conoscenza egizia vi è sì menzione dell’episodio secondo cui il dio Khnum avrebbe forgiato l’uomo sul tornio da vasaio e vi avrebbe insufflato la vita, ma appunto questa narrazione è si può dire secondaria rispetto al patrimonio acquisito dei cosiddetti miti religiosi egizi. Ed anche va considerato che i tre templi della Sfinge che rappresentano il disegno sono detti dagli archeologi essere niente altro che i templi del complesso funerario di un faraone, invece hanno la valenza autonoma loro propria, madornale ed eclatante, di istituire un messaggio, il che dissolve le credenze dell’egittologia secondo cui ogni monumento d’Egitto sarebbe stato voluto dai regnanti quale loro capricciosa tomba.
Cioè mi resi conto che la presenza di questo gigantesco disegno spezzava il senso sia delle scienze accademiche, sia del patrimonio condiviso del mondo occidentale, fino appunto a mettere in discussione il ruolo e la valenza del fondamento stesso del mondo occidentale, cioè la ragione, come più o meno agevolmente si potrà constatare da cosa espongo.
Perché, naturalmente, se è vero cosa asserisce questo disegno geroglifico allora tutto il complesso di credenze che costituiscono l’essenza del pensiero occidentale, dall’evoluzionismo al materialismo scientifico, vengono dissolte, e con loro viene dissolta anche la pretesa storia come concepita dal pensiero occidentale.
Ed ancora va ben considerato che la inconciliabilità dei tre templi della Sfinge con la narrazione storico-antropologica accademica, si afferma non solo quanto al contenuto del documento che i templi racchiudono, ma già anche per la conformazione materiale dei templi stessi. Infatti, proprio questi tre templi sono le opere in terra d’Egitto ad essere in sé le più insolite e misteriose, in quanto costituite da monoliti ciclopici, giganteschi, si può dire assurdi (e ciascuno di questi tre templi è ben più ampio della Sfinge stessa, anche se forse meno appariscente). Monoliti lunghi 9 metri, profondi 3,5 e alti 3, dal peso di oltre duecento tonnellate, gli altri di poco più piccoli ed alcuni ancor più immani, incastrati l’uno nell’altro in modo assolutamente perfetto. Come potè un popolo appena uscito dallo stadio dei cacciatori raccoglitori movimentare e mettere in opera blocchi di calcare di tale stazza? E infatti gli egittologi non hanno la minima idea di come questi templi furono costruiti, si limitano a prendere atto del fatto che questi sussistano e li incasellano nelle griglie della storiografia costruita a tavolino sulla base del darwinismo e del positivismo. Ed ancora questi templi presentano profondi segni di una erosione millenaria, proprio come la Sfinge e il suo recinto — ma ciò non deve stupire, giacché gli egittologi hanno accertato che i monoliti che costituiscono i tre templi furono ricavati dalla asportazione del materiale per il costruire la Sfinge, che come si sa è stata modellata in uno sperone roccioso sulla piana di Giza appunto asportando blocchi di calcare. E si aggiunga che secondo recenti e controversi studi, l’erosione della Sfinge e del recinto in cui è ubicata sarebbero compatibili solo con l’esposizione a abbondanti piogge, che occorsero in sito una decina di migliaia di anni fa. Anche le piramidi di Giza sono misteriose ed irriducibili ai paradigmi della storia quali ritenuti dagli egittologi, ma i tre templi del complesso della Sfinge incarnano tecniche e capacità costruttive che riflettono stadi di conoscenza davvero irriducibili ai paradigmi della scienza occidentale.
Quindi, proprio questi tre templi, indecifrabili e indatabili, costituiscono il gigantesco geroglifico di un essere superiore che colpisce con una sorta di raggio il cervello un ominide dall’aspetto sciocco, evidentemente al fine di provocarne l’evoluzione — gli egittologi non hanno mai notato il disegno racchiuso nelle piante dei templi, pur avendole riprodotte in decine di testi a partire dalla fine dell’800, per il semplice motivo che chi cerca tombe solo complessi funerari può trovare.
Che fare, dunque, del documento che la Sfinge da millenni custodisce? Ovvero, ribaltando la domanda, perché ne ho taciuto per vent’anni?
Quanto più una scoperta è dirompente, tanto maggiore è la responsabilità che essa impone a chi ne sia il testimone.
Se da un lato è autoevidente il significato del messaggio ivi disegnato, dall’altro lato il livello di conoscenza e di coscienza della umanità attuale non è certo più quello di chi il messaggio vergò; anche solo semplicemente per il fatto che il complesso di conoscenze di chi interpreta orienta l’interpretazione, nell’ambito del circolo ermeneutico; nel senso che questo documento nel Medioevo sarebbe stato inteso come la raffigurazione del dio veterotestamentario che crea l’Adamo, mentre oggi che Dio è morto lo si può ricondurre tout court all’ipotesi che gli alieni abbiano modellato l’uomo, mentre in altri ambiti sapienziali si può dire raffiguri un essere non umano, ovvero un Buddha (e mi riferisco alla immagine tibetana secondo cui il genere umano fu creato dal Buddha Avalokhiteshvara, il Buddha della compassione, intervenendo su una scimmia), ovvero altrimenti.
Quindi c’è un primo problema che riguarda la “adeguatezza” dell’interprete, nel senso appunto del grado di duttilità ed abitudine mentale da parte di chi legge il messaggio, perché è chiaro che se si resta ancorati al pensiero materialistico contemporaneo si deve concludere che questo messaggio raffiguri comunque un mito, restando esclusa a priori l’ipotesi che possa dare conto di un evento effettivamente accaduto.
Nonché su questa problematica ermeneutica si innesta il fatto che le verità più importanti, come dice Platone nella Lettera VII, non debbano essere esposte alla derisione, e parimenti nemmeno alla supponenza di chi da un elemento tragga conclusioni in base a cosa pateticamente crede di sapere.
Ma questi aspetti problematici insiti nella responsabilità connaturata alla scoperta non debbono far venir meno la contestuale responsabilità che impone di doversi rendere noto il messaggio custodito dalla Sfinge, e ciò proprio per il fatto che questo messaggio non è da considerarsi un segreto, perché invece esso sta sotto gli occhi di chiunque lo voglia vedere ed è appunto come tale destinato ad essere comunicato. Nella Kore kosmou del Corpus Hermeticum è narrato che Ermete, cioè Thot, abbia deposto le sue stele recanti la conoscenza suprema da qualche parte in Egitto (in un luogo che come suggerisco nel testo è sicuramente identificabile con la piana di Giza), in attesa di qualcuno che imbattutosi in esse fosse in grado di leggerle — e peraltro questo meccanismo, di nascondere un documento affinché sia riscoperto nelle generazioni future, è assai ricorrente nell’ambito del Buddhismo tibetano, con il nome di terma i tesori, e il nome di terton per lo scopritore di testi nascosti e di gonter per lo scopritore di tesori della mente).
Tutti questi aspetti convergono insomma nel doversi essere analizzata la portata del documento della Sfinge nel contesto di una pluralità di scenari, coerenti con la logica va da sé, ma svincolati da quel complesso di credenze che è il pensiero scientifico occidentale.