Le stanze di Emily di Lella De Marchi

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Dalla presentazione di Ranieri Teti

Grazie a Lella De Marchi rientriamo nella grande storia letteraria e poetica che attraversa l’800 e si spinge fino alla prima metà del novecento, una storia densa di vertigini e drammi, e lo facciamo con il suo sguardo contemporaneo e attualissimo, per merito di una scrittura che naturalmente include e contiene istanze recenti. Cercare la prosa, quasi un’idea narrativa, dentro una forma poetica rende questa raccolta ricca di uno scorrere impreziosito da raffinate iterazioni. La divisione dell’opera è in sezioni con i nomi delle stanze di una casa, “Le stanze di Emily”: spaesante è l’avere intitolato “Una stanza tutta per sé” quella dedicata alla soffitta. Come se Virginia Woolf entrasse di diritto nella casa di Dickinson. Un proseguimento temporale che può essere un ideale passaggio di testimone, nella tensione del gesto, nel sottile proseguire di una storia a lungo pensata, che finalmente plana in un libro che in più accoglie precise citazioni dickinsoniane. Da un cassetto parte il racconto della casa, che viene descritta in un’alternanza di oggetti e pensiero, di esterni e interiorità: “ci vuole tempo per passare dal dettaglio a una visione d’insieme”. Infatti il testo nel suo insieme ha un efficace andamento scandito da punti fermi, come se ci si dovesse soffermare su ogni particolare; allo stesso tempo si produce in una vasta opera di ricomposizione, stanza per stanza. La messa in scena di questa opera, “scenografia più che sceneggiatura”, sembra davvero una scenografia sceneggiata. Il processo creativo di De Marchi nasce sì da un pretesto acuto e dichiarato ma è in toto autonomo, rendendo evidente la forza poetica della nostra autrice.

Da Le stanze di Emily (Anterem Edizioni 2024)

la voce è rimasta attaccata alla spalliera del letto
(la mia voce, forse, o forse la voce dell’altro).
il suono che la perpetua è cosa lontana.
il gesto che la completa è vicino ma assente.

la voce al mattino si sente una moglie tradita.
si è accorta della distanza tra la spalliera
e il materasso, tra il capo e il fondo del letto.
(della sua distanza, forse, o forse della distanza tra sè e le cose)

la voce al mattino si guarda e si tocca le orecchie
le trova o troppo piccole o troppo grandi.
allarga la bocca, prova ad emettere un verso,
a collegarsi al senso dell’universo.
si distende, si allunga, si riappropria dell’aria.
come gli alberi protende i suoi rami nel vento.

sa che nulla è per sempre.
sa di essere corpo che genera continuamente.

*

quotidiani oggetti di culto

attaccato alla parete della mia camera da letto
c’è un crocifisso, un quotidiano oggetto di culto.
non sta in piedi. e non si regge da solo.
se ne sta lì. attaccato alla parete. a braccia aperte.
e mi guarda.

chi non trova il Paradiso – quaggiù
non lo troverà neanche in Cielo.
gli Angeli stanno nella casa accanto alla nostra
ovunque noi siamo.

*

nel vuoto della sala da pranzo guardo la credenza e metto
a fuoco un bicchiere di vetro campeggiare illibato.
prima o poi tutti si alzano da tavola e se ne vanno.
prima o poi tutti si resta soli.
abbracciati a una sedia vuota.
prima o poi si resta soli. soli con in mano
un bicchiere di vetro.

narcotics cannot still the tooth
that nibbles at the soul

i narcotici non possono colmare
il dente che morde l’anima

*

la mia voce registrata poi messa in rete
non è più la mia voce.
mi basta poco per modificarla.
un programma o un’applicazione.
la mia voce registrata poi messa in rete
non è più uno strumento.
mi esime dal dire soltanto le cose che sento.
ingloba dell’altro.
mi arriva da fuori.
la mia voce registrata poi messa in rete
esprime suoni e rumori.
la mia voce registrata poi messa in rete
consente a se stessa di non pronunciarsi.

*

essere vivi adesso vuol dire
cercare la voce che dica di noi
come i rami del tronco,
le foglie del vento.

essere vivi adesso è armarsi
di fiato per dire di un fremito.
uscire in terrazza
e annaffiare una pianta.

la mente ha corridoi molto più vasti
di uno spazio materiale,
ed è assai più sicuro un incontro
a mezzanotte con un fantasma esterno
piuttosto che incontrare disarmati
il proprio io in un posto desolato

Emily can’t and shouldn’t die
it would be like turning off a star

*

Lella De Marchi (Pesaro, 1970) è poeta, artista e performer. Tra le sue pubblicazioni: La spugna (Raffaelli editore, 2010); Stati di amnesia (Lietocolle, 2013); Paesaggio con ossa (Arcipelago Itaca, 2017); Ipotesi per una bambina cyborg (Transeuropa, 2020). Come autrice e performer partecipa a reading e performance poetico-musicali. Attiva tra l’Italia e la Spagna, collabora con musicisti, artisti, autori di teatro. È la voce e i testi del Collettivo Onoranze De Marchi Madau (creato insieme alla musicista, compositrice e performer Adele Madau), che realizza performance, inclusive e interattive, che uniscono poesia, musica, installazioni artistiche e teatro del gesto. È diplomata al Cet di Mogol come autrice di testi per canzone. Suoi testi per canzone hanno ottenuto riconoscimenti al Premio Lunezia.

(A cura di Silvia Rosa)