SILVIA PIO
L’espressione significa “terapia della casa” e viene usato per il metodo che consiste nel prendere in esame la casa come un corpo vivente, oppure per il percorso di conoscenza e cura di sé (si veda CURA DI SÉ) da intraprendere nell’intimità delle mura domestiche. In questa situazione la casa è considerata «un potente strumento terapeutico se viene capita e utilizzata con una consapevolezza nuova» (Donatella Caprioglio, psicologa, psicoterapeuta e scrittrice, “Nel Cuore delle Case”, Edizioni Il Punto d’Incontro).
Durante il confinamento domestico imposto dalla pandemia del 2020 «forse per la prima volta nella nostra vita, ci siamo abitati: cioè abbiamo capito che la casa siamo noi, il nostro corpo e i nostri bisogni primari. Abbiamo colto il valore simbolico delle stanze e usato questa conoscenza per entrare in contatto con il nostro mondo interno e per tenera a bada le paure sottostanti con i gesti del quotidiano. Alcuni di noi hanno capito che la casa può essere il centro del nostro stare bene.»
Visto che nel lockdown molti di noi si sono trovati in casa da soli, la solitudine ben si sposa con questa considerazione della casa come opportunità di autoconoscenza e terapia.
Capita che quando ci si ritrova soli in casa si provi un senso come di soffocamento e di conseguenza si cerchi di uscire per vedere qualcuno e fare qualcosa. Ma se consideriamo la casa come una parte di noi, che addirittura può darci sicurezza, ecco che riusciamo a fermarci e guardarci intorno (si veda ATTENZIONE). Da quanto tempo abbiamo abitato queste mura? Qual è la loro storia? Abbiamo conosciuto chi ci ha abitato prima di noi? Qual è la storia dei mobili e degli oggetti che ci circondano? Quali ricordi fanno affiorare?
La casa è spesso la catalogazione di tutti i cambiamenti che sono avvenuti nella nostra vita; ricordarceli è una consapevolezza significativa.
Passare in rassegna tutto quanto contiene la casa è un’attività che ci può intrattenere a lungo. Possiamo approfittarne per riprendere in mano vecchi libri e sfogliarli; considerare quante sono le cose che possediamo e di quali possiamo fare a meno, mettere etichette a futura memoria citando dove le abbiamo comprate o chi ce le ha regalate; sfogliare i vecchi album di foto e aggiungere didascalie e commenti, e anche scegliere le foto digitali più rappresentative, stamparle ed aggiungerle per un aggiornamento.
Ma anche liberarsi delle cose inutili e che neppure ricordavamo di avere; se non sappiamo più di avere qualcosa è come se ce ne fossimo già svincolati, così come se non abbiamo indossato un capo negli ultimi tre anni è facile che non lo porteremo più.
Durante questo processo dettagliato, impariamo a conoscerci meglio, ad individuare con precisione le nostre preferenze e le nostre idiosincrasie (e magari rivederle e cambiarle), ad appropriarci di piccoli gesti che ci tengono compagnia e tengono a bada ansia e preoccupazione. Potremmo veder spuntare, come una pianta per troppo tempo negletta che si riprende quando iniziamo a curarla, un benessere nuovo, fors’anche una nuova felicità (si veda FELICITÀ).
(Foto Galina Chirikova)
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