Tempo fa, mi è arrivato un libro, Le roman d’Elisa, scritto da due cugine in omaggio alla nonna, moglie e compagna di anarchici italiani in esilio, anche lei emigrata in Francia. Colgo l’occasione dell’8 marzo per mantenere la promessa di rendere, a mia volta, omaggio a Elisa, conosciuta attraverso il racconto che fanno della sua vita le nipoti, Laurence e Nathalie, che hanno pazientemente ricostruito, grazie a fotografie, documenti familiari e personali, interviste a parenti di qua e di là delle Alpi, archivi di polizia, libri di storia, ecc. il percorso esistenziale della nonna. Attraverso Elisa, rendiamo anche omaggio alle donne che mai entreranno in nessun dizionario biografico perché per la Storia non sono state protagoniste ma soltanto compagne di…, madri dei figli di…, cuoche, consolatrici, infermiere, amanti di…, a volte anche vittime di violenze o, al minimo, di maschilismo. In altre parole: nessuna azione degna di essere conservata in archivio.
Elisa, che non era (forse) anarchica, è stata nello stesso tempo “indipendente ma prigioniera” della sua storia d’amore con Luigi Ballarin, conosciuto a Lione nel 1925. Alla morte di questo, diventa la compagna di Angiolo Bruschi, amico del primo dal tempo della guerra di Spagna, dove hanno combattuto insieme prima ritrovarsi a Parigi nel dopoguerra. Di Elisa, nata Elisabetta Maniago ad Arzene, vicino a San Vito del Tagliamento, nel 1906, non c’è traccia nel Dizionario biografico degli anarchici italiani (DBAI) che invece giustamente ricorda Ballarin e Bruschi. Il romanzo di Elisa, nonostante l’ostinata ricerca di Laurence e Nathalie, presenta dei vuoti temporali, dei ricordi abbelliti e delle esperienze dolorose evocate con adeguata riservatezza, ma viene anche a colmare alcuni dei vuoti rimasti nella Storia degli anarchici, quello della morte di Ballarin, di cui i redattori del DBAI ignoravano data e luogo, e quello della vita di Bruschi, che non muore nel 1942 a Bir Hakeim dove, del resto, non è mai andato.
La vicenda di Elisa e della sua famiglia è un succedersi di storie di emigrazione e di tormenti legati alle guerre. Del nonno paterno, si racconta in famiglia che avesse deciso di recarsi in America ma che fosse tornato indietro appena arrivato a Genova. In paese, questa sua avventura troncata gli vale il soprannome di Nulla, forse da “Nulla osta”, il documento che non gli era riuscito ottenere, oppure, più poeticamente, dalla parola friulana per nuvola: il nonno, allora forse ventenne, avrebbe avuto un brutto presentimento vedendo le nuvole sopra il mare e avrebbe deciso di non partire più. Anche i genitori di Elisa conoscono l’esperienza migratoria: dalla data e dal luogo di nascita dei figli (la bambina nata in Germania nel 1905 si chiama Italia) si deduce che passano circa un anno in Renania (a Hennef) prima di tornare in paese. Tocca poi a Elisa che s’imbatte in un intermediario della fabbrica tessile di Saint Priest (vicino a Lione ) venuto a reclutare manodopera in Italia. Elisa parte insieme alla madre nel 1923 e sarà poi raggiunta dal resto della famiglia. Così com’è stato riportato dalle nipoti, il racconto migratorio di Elisa non lascia spazio alla nostalgia. La nuova esistenza si annuncia per lei sotto il segno della “modernità” e della “indipendenza”. Non ha motivo di rimpiangere la sua prima giovinezza in Italia: nel corso di un movimento degli eserciti in guerra, per un concorso di circostanze, Elisa è separata dalla famiglia e passa lunghi mesi in un orfanotrofio; torna in un paese devastato e apprende la notizia della morte del padre, ammalatosi e rimasto senza cure adeguate; è mandata a fare la domestica a Venezia, Udine e Trieste. Tanta tristezza e desolazione che i ricordi più felici dei balli e delle feste nei paesi vicini difficilmente compensano. Anche Luigi Ballarin, futuro compagno di Elisa, ha un percorso da emigrante: nasce a Matias Barbosa, nello Stato di Minas Gerais, nel 1899. I genitori, oriundi di Adria (Rovigo) erano in Brasile dal 1895, dove avevano raggiunto parenti, per lavorare in fazenda prima a Rio Claro (nello Stato di Saõ Paulo) poi nel Minas Gerais, e tornano in Italia quando il padre si ammala, poco dopo la nascita di Luigi. Luigi cresce così in Veneto, diventa presto orfano di padre e conosce la vita del riformatorio, dove viene messo a contatto con i libri e apprende il mestiere di meccanico. Diventa un “acceso antifascista” e, per aver cantato inni sovversivi, conosce, nel 1923, il primo periodo di carcere, e in seguito l’esilio. Nel 1925, è Saint-Priest dove lavora alla fabbrica Berliet.
Quando incontra Ballarin, al ballo poi a casa della madre che propone il vitto ai concittadini celibi, Elisa è diventata operaia, fa un lavoro penoso ma c’è nella sua vita un po’ di spazio per la speranza: riportano le nipoti che il sogno di Elisa è di vivere una giovinezza frenetica e restare libera e indipendente. Ma il sogno cambia quando il suo percorso s’intreccia con quello di Ballarin. L’avventura sembra all’inizio una parodia di fiaba e di vaudeville insieme: da quanto riportano le nipoti, Elisa scopre che l’uomo che si è innamorato di lei è già sposato in Italia, con una donna che così lo ha salvato dal carcere, e vuole fuggire. Per convincerla del suo amore, lui finge il suicidio (saltando dalla finestra del primo piano), lei fugge lo stesso, lui la rapisce e diventano amanti. Alla morte della moglie italiana, nel 1929, diventano regolarmente marito e moglie. Intanto sono nati due figli che diventeranno francesi. Il particolare della cittadinanza ha la sua importanza perché, a secondo degli avvenimenti della storia e del paese di nascita, i sette figli della coppia saranno di cittadinanza diversa.
Il seguito della storia è legato alle attività politiche di Luigi e alla tenacia delle democrazie europee a rendere impossibile la vita degli antifascisti troppo accesi. Si succedono arresti, espulsioni, si ritrovano, nel percorso di Luigi, e quindi in quello di Elisa, i nomi, i luoghi, gli eventi presenti nel percorso di tanti anarchici italiani allora in esilio, anche dei più rinomati come Camillo Berneri e Gigi Damiani: le dimostrazioni pro Sacco e Vanzetti, le espulsioni del 1928, l’esilio a Bruxelles, il passaggio per il Lussemburgo e il caffè Solazzi di Esch sur Alzette, luogo di ritrovo e di solidarietà, una nuova espulsione, dal Lussemburgo questa volta, i soggioni in Francia nella clandestinità con nuovi arresti e soggiorni in galera. Tutto questo avviene nello spazio di pochi anni, riassunti qui http://militants-anarchistes.info/spip.php?article7598, a partire dal libro di Laurence e Nathalie.
Se non seguiamo i passi di Luigi bensì quelli di Elisa, invece di un succedersi di arresti, espulsioni, dimostrazioni politiche…, troviamo una serie di domande. Come avrà passato Elisa il periodo di convivenza con Luigi e la nascita di due figli fuori dal matrimonio? All’epoca bastava anche meno per essere messi al bando della società. Come avrà fatto Elisa a mantenersi, insieme ai suoi figli, nati a poca distanza uno dall’altro (in particolare i primi tre), mentre Luigi è o in carcere o lontano dalla famiglia o quando frequenta i caffè italiani e lavora a tratti? Come avrà resistito alle numerose gravidanze e aborti clandestini, agli attacchi di setticemia, prima dell’uso degli antibiotici? Basta l’amore a spiegare che Elisa abbia sopportato le manifestazioni di gelosia, forse la violenza, i mutamenti di carattere, in particolare al ritorno dalla Spagna, nel maggio 1937? Luigi sembra particolarmente provato da quello che ha passato là.
Anche la decisione di Luigi di tornare in Italia durante la seconda guerra mondiale suscita perplessità. Sembra che Luigi si sia stufato di essere chiamato “fascista” nel suo ambiente lavorativo, per il solo fatto di avere la cittadinanza italiana. Nel maggio 1943 riporta in Italia tutta la famiglia, la moglie, del resto contraria a questo ritorno, e i sette figli, tre di cittadinanza francese e quattro di cittadinanza italiana, dei quali nessuno parla italiano perché Luigi esigeva dai figli che parlassero solo francese in casa. La moglie e i figli vivono così i terribili ultimi anni della guerra e primi anni del dopoguerra in Veneto, fino al 1946, per i figli francesi, e all’aprile 1947 per Elisa e i figli italiani. Sono di nuovo separati dal padre, arrestato appena varcato il confine, mandato in galera, condannato al confino. Mettendo a profitto un bombardamento alleato, Luigi scappa dal carcere di Ancona nel dicembre 1943. Fa ancora in tempo a entrare nella Resistenza in Veneto poi in Piemonte e a esser deportato a Dachau, da dove torna nell’aprile del 1945, con quaranta chili in meno, una prova in più per il fisico di Luigi che muore, meno di tre anni dopo, a Parigi, nel febbraio 1948, affidando la famiglia al compagno ritrovato, Angiolino Bruschi.Il racconto non riporta niente delle convinzioni politiche di Elisa. Non è difficile intuire che lei non ha avuto molto tempo per le attività militanti. Non sappiamo neanche come giudicasse le convinzioni del marito. Ma dal racconto, risulta il ritratto di una donna piena di energie di tutti i tipi, di risorse, di resistenza, anche fisica, che attira la simpatia e canta, al matrimonio della nipote, “Addio Lugano bella”, l’inno degli anarchici italiani in esilio.
Bibliografia.
Nathalie Massebœuf & Laurence Ballarin, Le roman d’Elisa, stampato in proprio, 2011.
Voce Luigi Ballarin, Dictionnaire international des militants anarchistes, http://militants-anarchistes.info/spip.php?article7598 consultato il 4 marzo 2014.
Voce Angiolo Bruschi, Dictionnaire international des militants anarchistes, http://militants-anarchistes.info/spip.php?article547 consultato il 4 marzo 2014.
Voci Luigi Ballarin e Angiolo Bruschi, Dizionario biografico degli anarchici italiani, Pisa, BFS, 2003-2005.
L’articolo si può leggere anche in http://atelierdecreationlibertaire.com/blogs/anarchistes-italiens/2014/03/06/elisa-a-lombre-des-camarades-anarchistes-italiens-en-exil/#more-447
(Pubblicato l’8 marzo 2014)