Le montagne si alzano sul mare e dominano le insenature ricche di pesci e coralli. Piccole spiagge brillano bianche tra le rocce scure, sabbia grezza fatta di conchiglie e coralli antichi, sminuzzati e resi irriconoscibili dal tempo. Soltanto le sfumature rosate rivelano l’affinità della sabbia con le strutture sommerse.
La maggior parte delle spiagge non è raggiungibile via terra: perché costruire strade su montagne tanto ripide e deserte?
Ci andavamo in barca nei giorni di festa e nei fine settimana. Quelle gite erano un diversivo alla routine noiosa del lavoro e una tregua al caldo estivo. Calavamo l’ancora in una insenatura e ognuno se ne andava per i fatti suoi, a pescare, nuotare o far semplicemente nulla.
Prendevo maschera e boccaglio e mi tuffavo in cerca di solitudine. Mi piaceva spiare i massi e i dirupi ricoperti di coralli sul fondo del mare. Mi sembravano castelli con giardini di alghe e cespugli di corallo, abitati da una corte di pesci vanesi con vestiti dagli assurdi colori brillanti.
Un giorno mi capitò di infilarmi in una corrente fredda e andai sulla spiaggia per scaldarmi. Proprio dietro ad un promontorio c’era una minuscola baia. Ero sicuro di non esserci mai stato. Il fondale digradante diventava meno profondo e l’acqua più tiepida, ora potevo alzarmi in piedi e camminare a riva. Tolsi la maschera.
Era là. Una figura minuta sulla battigia, seduta con i piedi immersi nell’acqua, sembrava una bambina. Mi avvicinai chiedendomi come fosse arrivata in quel posto e dove si trovassero i suoi genitori.
Senza accorgersi di me, passava la sabbia tra le dita e sceglieva le conchiglie non ancora completamente macinate dagli elementi. Quando fui a pochi passi alzò la testa e sorrise.
Non era una bambina. Aveva i capelli sbiancati dal sole e dall’aria salmastra, il viso appuntito e i tratti spigolosi ma gli occhi tondi. Indossava una tunica consunta che mostrava braccia abbronzate.
Salve, dissi come si fa quando si incontra qualcuno in un luogo poco frequentato, ma non ricevetti risposta. Continuò a setacciare la sabbia e mi sedetti a guardarla. Rannicchiata, quasi nuda, col mento tra le gambe e i capelli sulla faccia, scavava frenetica il ritaglio di spiaggia davanti a sé, come per cercare tesori nascosti.
Dovevo ripartire, gli altri mi stavano aspettando. Mi alzai e guardai il mare. Come a volte succede l’acqua venne smossa da un banco di pesci e molti saltarono in superficie riflettendo lampi d’argento.
Come ad un segnale, si alzò gettando in aria i pezzi che aveva raccolto e con un guizzo si immerse. Un tuffo, un’ombra sott’acqua ed era sparita. Le lievi increspature mi lasciarono con una sensazione come di sogno. Mi girava la testa e non riuscivo a muovermi. Dopo chissà quanto tempo sentii le voci dei miei amici dalla barca, sollevati di avermi trovato, preoccupati di trovarmi in quello stato.
Durante il ritorno non cacciai parola; non dissi mai a nessuno chi, o cosa, avessi visto. Ma tornai spesso da quelle parti a cercare, senza mai riuscire a trovare, la minuscola baia dietro al promontorio. Allora mi chinavo a scegliere conchiglie e pezzi di corallo, chiedendomi che tesori potessero nascondere. Li collezionavo infilandoli su cordicelle dello stesso colore del mare, che portavo intorno al collo quando andavo a nuotare. Una volta sono quasi annegato. Iniziai a vivere sulla spiaggia e diventai scuro come le montagne intorno, i capelli scoloriti e gli occhi spiritati.
Ora vivo lontano dal mare e qui mi permettono di tenere le cordicelle appese ai montanti del letto e di attaccare paesaggi marini sulla testata. Un dottore mi ha chiesto se c’era un luogo dove volessi andare durante la licenza annuale di tre giorni ed io ho risposto: al Mare delle Sirene.
(immagine di Franco Blandino)