SILVIA PIO
Qual è il suono del tempo? Che rumore fa quando macina le ore, sfoglia i giorni e archivia gli anni? Se lo chiedete a me ora, seduta sulla panchina, vi risponderò così. Il suono del tempo è il battere dell’orologio della Torre civica nei giardini nel Belvedere a Mondovì Piazza.
Questo è un luogo di profonda bellezza dove gli effetti sonori sono principalmente forniti dagli uccelli che volano tra gli alberi, con un appena percettibile sottofondo di rumori cittadini che sale da Breo. Qui si può stare in ascolto e, visto il tema al quale i giardini sono dedicati, percepire il suono del tempo. E ciò che più scandisce il tempo e lo cala nel mondo delle percezioni fisiche è il suono delle campane. Questi i requisiti per un ascolto ottimale, oltre un periodo senza troppo affollamento: avere a disposizione più di trenta minuti ed essere qui allo scoccare dell’ora.
I trenta minuti permettono di sentire, forse anche due volte, la campana dell’antico Palazzo di Città che batte ogni quarto con un suono bitonale, ripetuto due volte alla mezz’ora e tre ai tre quarti.
La Torre civica batte le ore e le mezze, con un tono basso e vibrante che si sente anche da parecchio lontano. Da lontano si vede pure l’enorme orologio con una sola lancetta. Non c’è stato bisogno di declinare esattamente ore e minuti fintanto che l’Italia non è stata collegata dalla rete ferroviaria. Allora è diventato indispensabile sincronizzare l’ora delle varie città, che per loro collocazione geografica avevano scarti tra di loro anche di molti minuti.
Ma qui siamo fuori dal tempo, ricordate? O almeno siamo in un tempo che può permettersi di non corrispondere alla precisione che spesso gli uomini pretendono da lui.
Allo scoccare dell’ora si sentono i battiti non sincronizzati di numerosi campanili, la cui provenienza viene ingannata dalla direzione del vento e dai pensieri molesti che l’ascoltatore si trova a contrastare. A mezzogiorno, e alle ore canoniche, il suono più vicino arriva dal campanile della Cattedrale di San Donato, che di campane ne ha quattro ma non saprei dire come lavorano.
L’intrecciarsi di battiti non è che un’eco dello scampanare che si doveva sentire quando tutte le chiese di Piazza erano operanti. Qualcuno ancora se lo ricorda: la Cattedrale, l’ultima opera disegnata dal Gallo per la sua città, la Chiesa di san Francesco Saverio detta della Missione del Boetto (con un minuscolo campanile che si vede solo da via Vasco), giù per via Carassone (allora chiamata via Piave) la Cappella del Convento delle Domenicane (passata alle Clarisse per qualche anno, prima che si trasferissero a Vicoforte), in via Giolitti la chiesetta delle Teresiane, giù per via Vico la chiesa di san Giuseppe dei Carmelitani Scalzi detta della Misericordia, la prima del Gallo a Mondovì. Scampanano nella memoria di chi allora era bambino come in un tempo mitico, lontano e perduto, che in effetti è il tempo dell’infanzia passata.
Torniamo sempre a disquisire del tempo, le cui espressioni esteriori Mondovì custodisce e spiega nel suo percorso delle meridiane tra Piazza e Breo e nel Parco del Tempo, dove mi trovo adesso. Ma non si può parlare del tempo con un linguaggio comprensibile a tutti, ognuno lo percepisce secondo la sua esperienza e convenienza. Stiamo ad ascoltare, quindi, il suono che ce lo rammenta, che accompagna le ore e le loro frazioni, i momenti del giorno, le liturgie e le fasi della vita. Stiamo ad ascoltare le campane e il silenzio che segue il loro battere.
Foto di Lorenzo Avico
Presentazione del progetto di scrittura creativa e primo intervento “La città straniera”
“Gocce di paesaggio a Breo”
“La consistenza dei pappi piumosi”
“La città ermetica”
(Originariamente pubblicato il 1 giugno 2014)