Ambra Simeone: non vorrei mai sapere cos’è la poesia

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ATTILIO IANNIELLO (a cura)

Brevi cenni biografici. 
Sono nata a Gaeta il 28 dicembre del 1982 e attualmente vivo a Monza. Ho frequentato svogliatamente il liceo scientifico della mia città e ho scoperto che non ero portata per la matematica e la fisica, quindi all’università ho scelto la facoltà di Lettere e filosofia, mi sono specializzata in Filologia Moderna con il linguista Giuseppe Antonelli e una tesi sul poeta Stefano Dal Bianco. Collaboro da diversi anni con l’Associazione Culturale “deComporre” che ha iniziato pubblicando una rivista indipendente trimestrale di letteratura e ora cura anche progetti editoriali di diverso genere. La mia prima raccolta di poesie non autoprodotta è stata “Lingue Cattive” uscita a gennaio del 2010 per Giulio Perrone Editore di Roma, del 2013 è la raccolta di racconti Come John Fante… prima di addormentarmi per deComporre Edizioni. Un progetto a cui tengo molto sono i volumi de Il Guastatore Quaderni NeoN-avanguardisti dei quali sono co-curatore assieme a Ivan Pozzoni e che coinvolgono autori molto diversi per stili e provenienza con i loro testi di poesia, narrativa e saggistica, nei primi tre volumi usciti sono stati pubblicati autori affermati ed esordienti: un bel progetto di democrazia culturale!  Ci sono molte riviste letterarie nazionali e internazionali che mi hanno ospitato come Italian Poetry Review (italo americana), Kuq e Zi (albanese) e Il Caffè (belga), tra le antologie a cui tengo maggiormente ci sono quelle curate da Giorgio Linguaglossa per Edilet (un’antologia che da spazio ai poeti del Sud Italia) e quella a cura di Giampiero Neri per Lietocolle. Sto lavorando da un paio di anni a un romanzo, il mio primo tentativo…

Quando e come si è avvicinato/a alla poesia?
Mi sono avvicinata alla poesia sin dai tempi della scuola, uno non si aspetta che in un liceo scientifico si ci possa appassionare alla poesia o alla letteratura in generale, di solito si è presi da calcoli, radici quadrate, integrali, io invece ero affascinata dalla filosofia, dalla logica e alla lingua italiana nel suo evolversi, passando da un autore all’altro, da un periodo storico all’altro…

Quali sono le sue attività poetiche, collaborazioni (riviste, collettivi, ecc) e pubblicazioni?
Appena posso collaboro sempre a qualunque iniziativa letteraria o anche artistica in generale, dal vivo o virtualmente su internet, ci sono siti e blog letterari che mi stimolano per i dibattiti aperti che creano, uno di questi è “L’ombra delle parole”. A Sesto San Giovanni partecipo spesso a delle iniziative poetiche e artistiche curate dal gruppo dei Pentagrammatici, artisti e poeti che lavorano nel milanese. Per quest’anno ho intenzione di curare per deComporre Edizioni un’antologia di giovani autori promettenti che ho avuto la possibilità di leggere e conoscere in questi anni; un’iniziativa alla quale tengo molto, alcuni autori non vengono molto valorizzati nel panorama letterario italiano, questo perché la loro “lingua” non è assecondata alla linea poetica italiana che governa gli ambienti letterari. Ho da poco dato alle stampe il mio ultimo libretto di quasi-poesie dal titolo “Ho qualcosa da dirti – quasi poesie” con un’intervista-prefazione di Giorgio Linguaglossa; è un esperimento di antipoesia che ho intenzione di presentare dove mi capiterà di farlo, il libretto tra gli amici e i critici sta suscitando pareri contrastanti, quel che mi interessa è stimolare dibattiti su come e perché fare poesia…

Cos’è la poesia per lei?
La poesia è qualcosa che non riesco a definire pienamente dentro me e penso che non ci riuscirò mai, comprendere fino in fondo qualcosa non mi piace molto, perché questo significherebbe non avere più stimoli, e se non ho più stimoli non scrivo! Quando sono sicura di aver capito una cosa mi annoio e magari dopo non mi interessa più; ecco, non vorrei mai sapere cos’è la poesia! Certo per me scrivere è sempre farlo per qualcuno, quando scrivo non mi chiudo al mondo, perciò mi piace farlo in modo chiaro, scrivere nel modo più onesto possibile al lettore e a me stessa, farmi un’idea delle cose e trasmetterle all’altro… almeno ci provo!

http://decomporre.blogspot.it/

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Da Ho qualcosa da dirti – quasi poesie, deComporre Edizioni – 2014

io dico che non ha costi un’idea

io penso proprio che non ha costi un’idea,
ma che forse un po’ su ci devi lavorare, quel tanto perché si capisca un poco
non molto, perché altrimenti ti viene su troppo imbellettata,
ma neanche troppo poco, che poi sembra una cretinata,
insomma io penso che non ha costi un’idea,
ma che forse se spendi qualche soldo in più per un libro che ti piace,
questo può fartene venire una buona, che magari ci scrivi su qualcosa di onesto,
e non solo su questo libro, ma anche su tutti gli altri che leggerai,
perché se dico che non ha poi tanti costi un’idea,
è perché l’ho sperimentato, ho preso un’idea e ci ho scritto su questa poesia,
l’idea era di scrivere una poesia sulla creatività, diciamo così,
e allora l’ho scritta, ma non ci sono stata poi tanto tempo a correggerla,
e neppure troppo poco, insomma ci ho messo il tempo che serviva,
così per lanciarla nel mondo e per vedere se qualcuno riusciva a prenderla.

l’idea balorda dell’a capo

non sono mai riuscita a togliermi di testa la voglia di usare l’a capo,
scrivo una cosa e me lo dicono in tanti, che non c’è mica bisogno dell’a capo,
ma io lo faccio lo stesso, dicono, sai non c’è bisogno che lo usi, non sono poesie,
e io caso strano ce lo metto l’a capo, che mi è entrato nella testa e non vuole andar via,
mi dicono anche che se scrivo queste cose qui, che chiedono, sono prose? no, gli rispondo,
sai, sono quasi poesie, e allora l’a capo non è obbligatorio nella prosa, perché lo usi?
non sono mai riuscita a eliminare questo tic dell’a capo, scrivo una cosa e poi vado giù,
e dicono che quell’andare giù è superfluo, perché è una cosa che riguarda la poesia,
così un giorno mi ci metto d’impegno, nel senso non d’impegnarsi, ma di sacrificarsi,
e provo a non andare a capo, poi quando rileggo ci trovo ancora gli a capo, e mi chiedo
ma io non li avevo messi? che strano, com’è che sono comparsi? dico a quelli che mi dicono,
perché metti l’a capo, sai che non serve per questi testi, tu come li chiami, poesie?
no, non sono poesie, allora non ci va l’a capo, nel frattempo gli dico che sono comparsi,
e giuro, io non volevo, non volevo cambiarvi le regole, che non è poesia questa, è quasi poesia.

quella volta lì che ho letto qualche libro

quella volta lì che ho letto un libro di Balestrini,
ho pensato subito che l’avrei potuto scrivere anch’io,
e non nel senso, guarda là come sono brava, io scrivo come Balestrini,
eh no, mi sono detta invece, ma va là, che la pensiamo allo stesso modo?
e mi verrebbe da chiedermi come mai ho pensato così,
perché dopo, quando ho letto un libro di Nori, e ho visto che caso strano,
mi sembrava proprio di scrivere come lui, poi mi sono detta
possibile che io e lui siamo sulla stessa lunghezza d’onda,
insomma, abbiamo l’antenna puntata sulla stessa frequenza?
eh no, non può essere, perché poi quando mi è capitato di leggere,
così su due piedi, perché me lo avevano regalato, un libro di Campanile,
che cosa mi è capitato? che anche con lui, mi sono accorta che insieme
la pensavamo uguale, e che quell’ironia, forse poteva essere come la mia,
e non nel senso, guarda sono ironica come Campanile, ma nel senso che bello,
siamo dalla stessa parte, e così, all’improvviso, sono arrivata a pensare,
che voglio proprio continuare a leggere i libri che mi sono scelta,
e non quelli che mi consigliano gli altri, perché quelli che li scrivono
sono dalla mia parte, quando sono dalla mia parte, perché li ho scelti io,
solo che uno non si accorge mica di far proprio parte di quello stesso club,
e allora forse ti chiedi se siamo davvero sulla stessa barca,
oppure se è un’illusione, perché magari in fondo siamo anche un po’ diversi,
ma forse questo, alla fine, non importa poi molto.

invio un comunicato trasmesso da obelischi a onde Hz

invito tutti a chiedersi il perché di avere due cellulari a persona,
la necessità di comunicare subito, in qualunque momento, in qualunque posto,
e per di più con due cellulari diversi, per una comunicazione doppia,
e io mi chiedo, anche, il perché di erigere monumenti alla trasmissione,
così brutti, esteticamente e clinicamente, come le antenne della telefonia mobile,
le antenne della wind, della tim, della vodafone, della tre, che poi prende,
su tutte le altre, e anche dove non prendono le altre, e mi chiedo il perché,
di vivere guardandole nascere, e morire pensando di chiamare qualcuno,
di chattare con qualcuno, che magari non conosco neppure tanto bene,
ma che è importante che sappia come sto, cosa faccio, dove sono, con chi sono,
in breve, invito tutti a chiedersi il perché, di questa comunicazione sopravalutata,
ma che invece, mi sembra un po’ incasinata, e quando ero bambina
non c’erano queste linee telefoniche volanti, e si metteva il dito nei cerchi,
e giravi, giravi i numeri sul telefono fisso, magari anche in affitto,
per chiamare la mamma o il papà via cavo, che ti venissero a prendere a scuola,
perché nessuno poteva accompagnarti a casa, e i motorini non li aveva nessuno,
e stavi lì ad aspettare, e aspettavi, e non moriva nessuno se aspettavi,
perché non c’era mai questa fretta di arrivare, ma di arrivare dove poi?
forse, non mi sentivo così osservata come oggi, ero io che telefonavo,
e non come adesso, che mi squilla il telefonino in tasca, mentre scrivo,
e mi viene, adesso, solo voglia di non rispondere più a nessuno.