SILVIA PIO E ATTILIO IANNIELLO
Marilena Morano nasce tardi come artista, dopo un percorso esistenziale che si è snodato tra famiglia, lavoro, interessi sociali e politici. Originaria di Cuneo, vive ad Alba da molti anni.
Trent’anni fa ha iniziato a perseguire quell’interesse nei confronti dell’arte che la famiglia d’origine non le aveva permesso neppure di sognare e che le vicende quotidiane non le avevano dato spazio di approfondire.
Ha preso lezioni di pittura su ceramica da insegnanti qualificati e si è dedicata a quest’arte per alcuni anni. Una volta in pensione (ma bisogna dire che c’è andata molto presto) si è iscritta alla scuola di grafica Novalia, con sede prima a Bra e poi a Cherasco; sotto la guida dell’insegnante Daniele Cazzato per tre anni ha studiato principalmente la tecnica dell’acquerello.
Ha continuato poi come autodidatta, approfondendo la pittura a olio e l’acrilico, ed ha esposto le sue opere a Bra, Alba, Viola oltre che in mostre collettive.
L’ultima mostra si è svolta ad Alba a fine maggio nello spazio espositivo di Bella Arredamenti in occasione della Festa di Primavera del Borgo Piave, dove l’abbiamo incontrata.
«Per me dipingere è una forma di meditazione», ci dice, «mi serve per vedere e riconoscere la bellezza che mi circonda. Quando dipingo un fiore o un particolare della natura cerco di rendere sulla tela la bellezza della creazione, mi fa piacere pensare che sto cercando di salvare il bello. Dipingo in maniera verista proprio per rappresentare la natura come la vedo e per rendere così grazie e gloria alla vita. Ci sono in questo momento tante brutture, e a tanti livelli: non solo paesaggistico ma anche nel modo in cui vivono e si rapportano le persone; questo mio esprimere la realtà che mi circonda è un modo per contrastarle. Il nostro mondo è meraviglioso ed io sono contenta di esserci».
Nel disegno di Marilena Morano firmato Pictor ’96 vi è rappresentata una conchiglia ritratta da due punti di vista diversi. La conchiglia è scrigno del segreto delle acque, del loro perenne movimento, del loro perenne conservare e donare la vita. È vulva della nostra fisicità, maschile o femminile che sia, aperta all’esperienza, a quel miracolo laico e sacro insieme che è la vita stessa.
La conchiglia è vulva dell’anima aperta alla meraviglia, alla bellezza, al riconoscimento di sé nello sguardo dell’Altro, aperta a ciò che si rivela e rivelandosi si copre ancora: simbolo del pellegrino perché alla fine del viaggio la conchiglia partorirà la perla.
La pittura di Marilena Morano tratta spesso il tema classico dei fiori. Tema rischioso perché fortemente presente nell’iconografia di ogni genere, da quella illustrativa a quella pubblicitaria. Ma la pittrice supera il rischio, affronta il pericolo del già detto, del già visto, forte senza dubbio di scuola ed esperienza, ma soprattutto di interiore rilettura di una natura mai neutrale o indifferente allo sguardo dell’anima.
Osservando fra le tele fiorite di Marilena Morano ce n’è una che rimanda a conscia od inconscia meditazione. Una rosa bianca attende una farfalla o meglio una farfalla tende alla rosa bianca nel volo sullo sfondo blu.
Qui non possiamo sottrarci dal leggere nella tela i messaggi di archetipi codici: la rosa come simbolo della vita (rosa come “ruota della vita”) a cui la farfalla tende per appropriarsene, per comprenderla. Forse abbiamo dimenticato che il termine greco (le nostre radici) psichè che indica farfalla vuol dire anche anima?
Ma la rosa non è solo statico simbolo di contemplazione dell’eterna trasformazione della vita, è anche dinamica azione, volo nelle possibilità di incroci esistenziali infiniti (la rosa dei venti).
La scena si muove su uno sfondo blu, le acque della grande Madre Terra, le acque dell’Universo su cui lo Spirito creatore delle grandi tradizioni religiose alitò la vita, le acque della Piccola Madre terrestre che in eterno s’increspano in onde nei mari del nostro cuore.
Le tele non sono circoscritte dalle cornici e debordano di fuori. Non è importante, a parere di chi scrive, la varietà ma l’energia di quei colori che con forza o tenero scioglimento rifrangono nell’osservatore onde di memorie personali o di ancestrale umano smarrimento di fronte alla bellezza.
Come ci suggerisce l’haiku giapponese, di fronte al fiore non resta che la contemplazione:
“Oh, guarda!”
e null’altro da proferire
dinanzi ai ciliegi in fiore.
(Foto di Bruna Bonino)
Le immagini di Marilena Morano hanno accompagnato questi articoli:
Gli ulivi e La rosa di Franco Costabile
Il nucleo emotivo
In memoria di Sylvia Plath