CYBIL PRINNE
A trentasei anni di età decise che era stufo di alzarsi la mattina per andare a lavorare, di tornare a casa la sera, ingollare la cena cucinata dalla moglie e chiedere alla figlia com’era andata a scuola.
L’unica attività che amava, e che aveva sempre avuto poco tempo per praticare, era la lettura. A trentasei anni annunciò alla moglie e alla figlia che si sarebbe ritirato dal mondo per vivere nello studio dove teneva i suoi libri. E che lo lasciassero in pace.
In principio la donna e la bambina si dispiacquero della sua decisione, più per un fastidioso sentimento di sorpresa, al quale non erano abituate, che per il fatto che non avrebbero mangiato cena tutti insieme e parlato di quel ch’era successo a scuola. Poi scoprirono che le serate senza di lui erano meno tediose e arrivarono a sentirsi euforiche per la sua scomparsa dal desco familiare e dalle loro vite. Misero una credenza di noce davanti alla porta dello studio, tagliarono i collegamenti elettrici con la stanza e si dimenticarono di lui.
Intanto le giornate dell’uomo passavano lievi, scandite dallo sfogliare lento delle pagine. Incominciavano all’alba quando la luce si infiltrava dall’unica finestra e terminavano al tramonto quando era ormai troppo buio per leggere.
Dormiva su un divano polveroso e si cibava dei prodotti del frutteto situato sotto la finestra; raccoglieva la frutta per mezzo di una lunga canna con un barattolo di latta legato alla cima. Durante l’inverno, dopo che era stata staccata l’ultima pera, il vicino di casa posava un po’ di cibo sul davanzale della finestra, ogni giorno fino alla primavera successiva, appena iniziavano a maturare le ciliegie.
Quanto ai bisogni corporali, si serviva di una brocca di smalto che un tempo aveva adornato il tavolino da lettura; la mattina ne vuotava il contenuto nel frutteto e pensava: tutto ritorna all’origine.
Leggeva con calma, assaporando le parole come fossero caramelle di zucchero e orzo che ci mettono ore a sciogliersi in bocca.
Passarono anni prima che avesse letto tutti i libri della sua biblioteca. Nel momento in cui iniziò l’ultimo sentì che la sua vita era alla fine. Rinsecchito a causa della mancanza di movimento, somigliava a un ragazzino rachitico con un gran testone da saggio.
Si sdraiò sul divano con il libro, che era un romanzo sudamericano, e si preparò a godersi i suoi ultimi giorni. Il sentimento di libertà e di piacere che l’aveva accompagnato durante gli anni trascorsi nello studio si fece più forte e capì che quella era l’essenza della vita.
Mano a mano che procedeva nella lettura il suo corpo si assottigliava e le sue mani fragili si confondevano con le pagine del romanzo. Arrivato all’ultima riga ebbe appena la forza di chiudere il libro, poi non rimase di lui più nulla di materiale.
Adesso corre a cavallo nella prateria argentina, in un luogo che l’autore del romanzo aveva pensato deserto ma con un paesaggio così intenso che sarebbe stato un peccato non andarci.
(Illustrazione di Franco Blandino)
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