RUGGERO GHIGLIA
Quali sembianze, quali variegate forme possono assumere le fronde degli alberi e ogni singola foglia di esse?
D’autunno è un piacere il loro sfrigolio. Tiene compagnia e riscalda il nostro passo stanco, fino a quando sono ormai fradice, morte, una macchia sporca sull’asfalto che attende il candore dell’inverno.
D’inverno non le vediamo e ricordiamo quello stupido quadro di Magritte che una persona a cui tenevamo molto ci aveva mostrato, dicendo: «Spesso ciò che non si vede raccoglie la nostra attenzione». Il quadro, ovviamente, lo trovavamo schifoso, ma avevamo risposto: «Eh sì, fa pensare».
Al sole primaverile si mostrano con una velatura d’oro e l’ombra che segnano cade lieve da una all’altra di esse, come una sottile pioggia, e noi cadiamo con lei perché odiamo le mezze stagioni ma ci piace piangerci addosso.
D’estate è diverso, perché all’aperto si sta più volentieri e possiamo osservarle meglio. Allora appaiono rosicchiate e alle loro estremità la forma del morso è un presagio d’ingordigia.
Noi, avendo conosciuto la loro forma precedente, sinuosa o seghettata che fosse, comunque ben stagliata e delineata, ne ricerchiamo a terra i brandelli. Però non riusciamo a trovarli e così, ben sapendo che qui da noi non ci sono giraffe, osserviamo gli insetti che di consuetudine assediano l’albero.
Ma non trovando alcun cambiamento neanche nella loro mole, non ci resta che sospirare e riprendere la nostra vita quotidiana, piena zeppa anch’essa di mutilazioni.
Foto di Bruna Bonino