Il 28 settembre 1864 presso la St. Martin’s Hall a Londra veniva costituita l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL), meglio conosciuta come Prima Internazionale.
Margutte pubblica gli interventi alla conferenza “1864 – 2014 150 anni di lotte e speranze per una società fraterna” tenuta il 28 settembre 2014 a Mondovì.
Echi della Prima Internazionale. Da Londra ai territori subalpini di Attilio Ianniello
La Prima Internazionale oggi: superare un sistema anti-uomo di Andrea Pace
SERGIO DALMASSO
Prima dell’Internazionale
L’esigenza di solidarietà tra lavoratori di diversi paesi precede di decenni la fondazione dell’Internazionale.
Data 1832, in seguito alla rivolta dei canuts (tessitori), il manifesto degli operai di Lione rivolto ai “fratelli inglesi”. La Giovane Europa di Mazzini, fondata nel 1834, coniuga istanze sociali a tematiche nazionali. Flora Tristan (1803- 1844) analizza i meccanismi della lotta di classe, pubblica un appello a lavoratori e lavoratrici, colmo di tensione messianica, propone una classe operaia unificata non capeggiata da una élite. [1]
Nel 1846 cartisti e proscritti danno vita, a Londra, alla Fraternal democracy.
La Lega dei giusti divenuta lega dei comunisti è dal 1850 tornata cospirativa e in Germania è stata colpita duramente dal processo di Colonia (1852).
Il movimento operaio, apparentemente annientato nel 1848, torna ad esistere ed a strutturarsi. È lo stesso sviluppo capitalistico a produrre la classe sociale che ne è antitesi, non solamente organizzata in sette socialiste o semisocialiste, ma nei primi embrioni di organizzazione operaia.
Nel 1856 cartisti, proscritti francesi, socialisti polacchi, comunisti tedeschi fondano la International association.
Negli anni ’60, la classe operaia inglese, l’unica a non aver conosciuto direttamente la sconfitta della rivoluzione democratica, si batte per diritti sindacali e l’allargamento del diritto di voto, in Francia domina il paternalismo del secondo Impero.
Nel 1862, il governo francese invia duecento operai a Londra, in occasione dell’Esposizione internazionale. Ne nasce, a testimonianza dello spirito del tempo, la Festa della fratellanza universale.
La fondazione dell’AIL
Il 28 settembre 1864, al St. Martin’s Hall, nel centro di Londra, duemila lavoratori assistono al comizio di dirigenti sindacali inglesi e di alcuni operai venuti dal continente. Deve nascere da questo incontro un luogo internazionale di discussione, che abbia come centro una ideologia etico- umanitaria (la pace, la fratellanza). Emerge, invece, al di là delle intenzioni degli organizzatori, l’Associazione internazionale dei lavoratori, riferimento per tutto il movimento operaio, a cui guarderanno, nei decenni, tutte le sue componenti.
La prevalenza iniziale è quella del sindacalismo inglese, attento alle condizioni di lavoro, contrario all’importazione di mano d’ opera straniera nel corso degli scioperi, mai teso a mettere in discussione il modo di produzione capitalistico, a cui si aggiunge il mutualismo francese che nasce dal pensiero di Pierre- Joseph Proudhon (1809- 1865). Alla base il sistema cooperativo e il federalismo, la proposta di libero accesso al credito [2] (Banca del popolo), il rifiuto dello sciopero come forma di lotta.
Minore la presenza di comunisti, attorno a Marx, ancora minori altre componenti dall’utopismo proprio di tanti esuli da vari paesi europei all’interclassimo di Giuseppe Mazzini (1805- 1872) a posizioni democratiche.
Marx ha, però, un ruolo determinante nella stesura dei due testi che segnano la fondazione dell’AIL, l’Indirizzo inaugurale e lo Statuto.
Nel primo si nota come la povertà della classe lavoratrice sia cresciuta dal 1848 al 1864, mentre al contrario è cresciuta la ricchezza e si è avuta una concentrazione della proprietà fondiaria. Il lavoro minorile è quasi simbolo di queste contraddizioni (le vite dei fanciulli sono sacrificate, così come nell’antichità erano offerte al dio Moloch), mentre crescono, per le condizioni di lavoro e di vita, inedia e malattie. Vi sono segni di controtendenza dalla giornata lavorativa di dieci ore ai primi semi del sistema cooperativo. Cresce anche il numero dei proletari uniti in collettività e guidati dalla conoscenza, mentre in molti paesi si hanno sforzi simultanei per ricostruire il partito della classe operaia.
Periodizzazione e difficoltà
Una schematica periodizzazione dell’AIL può suddividere la sua storia in cinque fasi:
1) Formazione e fondazione teorica (1864- 1868) ; 2) Rafforzamento e costruzione di strutture e politiche locali (1869- 1870); 3) Slancio rivoluzionario e classista (1870- 1872); 4) Diffusione e affermazione del “socialismo scientifico” (1873- 1875); 5) Scomparsa e premesse per una nuova Internazionale (1876- 1877).
Per quanto riguarda lo scontro tra opzioni politiche la suddivisione può essere diversa:
A) dibattito tra le multiformi componenti (1864- 1865); B) confronto tra mutualisti e collettivisti (1866- 1870); C) scontro tra centralisti e autonomisti (o anti autoritari) (1870- 1877).
Innumerevoli gli scogli teorici ed organizzativi che, dai primi anni, accompagnano tutto il percorso dell’AIL:
a) il rapporto fra la direzione, la centralizzazione e l’autonomia dell’iniziativa dei gruppi affiliati;
b) l’inserimento delle questioni nazionali (Italia, Polonia, unificazione tedesca…) in un contesto a vocazione universale (si può parlare di sviluppo ineguale e combinato della lotta di classe?);
c) la posizione delle Trade unions inglesi, sempre contrarie al passaggio della lotta sociale in una dimensione politica di partito;
d) i già ricordati dissensi dottrinali tra anarchismo (nella storiografia marxista sempre interpretato come espressione di realtà strutturalmente arretrate, ad esempio nel Giura;
e) svizzero riflesso di una industria specializzata di vecchio tipo), blanquismo, mutualismo proudhoniano, democratismo spiritualista mazziniano, anticentralismo (De Paepe)…
f) il forte peso, in Germania, delle posizioni di Ferdinand Lassalle (1825- 1864) che propone una sorta di socialismo nazionale, basato sul movimento cooperativo sotto controllo statale e che Marx accusa di connivenze con la politica bismarchiana.
«La storia dell’Internazionale è stata una lotta continua del Consiglio generale contro le sette e gli esperimenti dilettanteschi che cercavano di prevalere sul movimento reale della classe operaia nell’interno stesso dell’Internazionale…
Il movimento politico della classe operaia ha naturalmente come scopo ultimo la conquista del potere politico per la classe operaia stessa e a questo fine è naturalmente necessaria una precedente organizzazione… sorta dalle sue stesse lotte economiche». [3]
Salario, prezzo e profitto
Coincide con i primi dibattiti in seno all’Internazionale, il saggio Salario, prezzo e profitto che Marx scrive in risposta alle tesi dell’operaio John Weston, oweniano, per il quale la richiesta di aumento di salario è inutile e nociva, poiché questo sarebbe compensato dall’aumento dei prezzi.
Il testo, illustrato al Consiglio generale nelle sedute del 20 e del 27 giugno 1865, contiene in sintesi ed in forma popolare molte delle tesi che saranno al centro del Capitale (il primo libro uscirà nel 1867) :
«Regna oggi sul continente una vera epidemia di scioperi e una richiesta generale di aumento di salario. La questione si presenterà al nostro Congresso Voi che siete alla testa della Associazione internazionale dovete avere delle opinioni molto precise su questa importante questione». [4]
Lo scritto analizza la dinamica dei prezzi, il rapporto tra salario e profitto, la relazione tra domanda ed offerta, introduce i concetti di forza lavoro e di plusvalore. Il salario è fissato ai limiti minimi di sussistenza e continuo è l’uso dell’ “esercito industriale di riserva”. Deriva da questa realtà la necessità della lotta politica, dello scontro tra capitale e lavoro. Nella lotta puramente economica, il capitale è più forte. Da questo assunto deriva la ineliminabilità della lotta politica generale socialista, di classe che porta a progressi anche sul piano economico. Sino alla conclusione:
«Invece della parola d’ordine conservatrice: Un equo salario per un’equa giornata di lavoro, gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: Soppressione del sistema del lavoro salariato… Concludo proponendovi l’approvazione della seguente risoluzione:
Primo. Un aumento generale del livello dei salari provocherebbe una caduta generale del saggio generale del profitto, ma non toccherebbe, in linea di massima, i prezzi delle merci.
Secondo. La tendenza generale della produzione capitalistica non è di elevare il salario normale medio, ma di ridurlo.
Terzo. Le Trade unions compiono un buon lavoro come centri di resistenza contro gli attacchi del capitale… Esse mancano in generale, al loro scopo, perché si limitano a una guerriglia contro gli effetti del sistema esistente, invece di tendere nello stesso tempo alla sua trasformazione e di servirsi della loro forza organizzata come di una leva per la liberazione definitiva della classe operaia, cioè per l’abolizione definitiva del sistema del lavoro salariato». [5]
I primi congressi
Nel settembre 1865 si tiene, sempre a Londra, la prima Conferenza internazionale.
Il primo congresso si svolge a Ginevra, sempre a settembre, l’anno successivo. Si confrontano e scontrano le tendenze mutualista e collettivista. Tema centrale la riduzione della giornata lavorativa. Vengono approvati ufficialmente gli Statuti ed eletto il Consiglio generale.
Nel 1867 il congresso è a Losanna. La crisi economica ha prodotto scioperi che si svolgono in più paesi. A quello dei sarti di Londra seguono quello dei bronzisti di Parigi, poi dei lavoratori del ferro, poi dei minatori in Provenza; seguiranno nel ’68 i carbonai di Charleroi e gli edili di Ginevra. Alle accuse per cui è l’Internazionale a fomentare le agitazioni, si risponde con la formula per cui «non è l’Internazionale a spingere i lavoratori agli scioperi, ma sono gli scioperi a spingere i lavoratori verso l’Internazionale». Il congresso discute di cooperazione, di credito popolare, di istruzione e definisce lo sciopero risposta economica immediata, ma anche strumento per formare e rafforzare la coscienza di classe.
È il terzo congresso (settembre 1868, Bruxelles) ad introdurre il primo principio direttamente socialista, quello della socializzazione dei mezzi di produzione.
Il ridimensionamento delle posizioni proudhoniane si accentua l’anno successivo (congresso di Basilea). La presenza si è estesa in Svizzera ed in Spagna dove è forte la componente anarchica, mentre in Germania, nette sono le dispute tra lassalliani e collettivisti che, con Friedrich August Bebel e Vilhelm Liebknecht, fondano il Partito operaio socialdemocratico.
Parallela a questi ultimi appuntamenti sono il Congresso della pace (Ginevra 1867) e l’ingresso nell’AIL di Michail Bakunin (1814- 1876).
Il Congresso della pace raccoglie figure intellettuali e democratiche che chiedono la salvaguardia della pace sulla base dei principi del 1789, per la costituzione degli Stati uniti d’Europa. Durissimo il giudizio di Marx. Gli internazionalisti sostengono che per porre fine alla guerra occorra trasformare l’organizzazione sociale e cancellare la pauperizzazione che ne è la causa.
Bakunin rappresenta, con la sua vita avventurosa, la più significativa figura del movimento anarchico ottocentesco. Di famiglia nobile, avviato alla carriera militare, lascia l’esercito. Dalla Russia si trasferisce in Svizzera, quindi a Parigi. Partecipa al ‘48 francese e all’insurrezione di Dresda (1849). Arrestato e condannato a morte vede la pena commutata nell’ergastolo. Subisce, in Russia, il carcere e la deportazione in Siberia da cui fugge a Londra, in Svizzera, in Italia, vivendo a Firenze, quindi a Napoli e a Bologna. Stato e anarchia, la sua opera più sistematica, avrà forte influenza sul populismo russo.
Carattere, formazione e programma politico lo contrappongono a Marx. Non vi è in Bakunin alcuna attenzione alla maturazione delle strutture economiche e dell’antagonismo di classe. È noto come, dopo aver seguito una conferenza di Marx centrata sui temi del salario e della forza lavoro, il rivoluzionario russo sostenga che il filosofo tedesco stia spegnendo la volontà, il fuoco e lo spirito rivoluzionario dei lavoratori.
«Proudhon aveva il vero istinto del rivoluzionario, onorava Satana e proclamava l’anarchia. Marx, come tedesco e come ebreo è un autoritario da capo a piedi». [6]
Non meno duro il giudizio di Marx che definisce Bakunin: zero come teorico, intrigante e con un pensiero che è un guazzabuglio arruffato a destra e a sinistra.
L’anarchico russo nel 1868 fonda l’ Alleanza internazionale per la democrazia socialista, all’interno della quale lo si accusa di dare vita ad una Fratellanza segreta.
«Sul piano organizzativo, Bakunin rimase sempre fedele alla formula della setta clandestina; sul piano politico la sua rivoluzione, molto simile alle jacqueries contadine e al “banditismo sociale” avrebbe dovuto immediatamente abolire lo stato e ogni altra autorità». [7]
Non a caso, la priorità non è data dalla lotta politica del movimento operaio, ma dalla ribellione dei settori oppressi. L’Italia pare terreno fertile, per il movimento nazionale contro l’Austria (Bakunin, da decenni, aderisce al panslavismo, oggettivamente anti austriaco), per il ribellismo (lo stesso banditismo) delle masse meridionali, per le condizioni materiali di tanta parte della popolazione.
Restano costanti del suo pensiero e della sua iniziativa la liberazione totale dell’umanità, possibile solamente con il superamento dello stato, il rifiuto di ogni socialismo di stato, la fiducia nelle forze sociali emarginate dal processo di industrializzazione.
La guerra franco- prussiana e la Comune di Parigi
La guerra tra Francia e Prussia si conclude con la disfatta del Secondo Impero di Luigi Bonaparte.
Il 4 settembre 1870 viene proclamata la Terza Repubblica che assume immediatamente un carattere moderato. È Thiers a negoziare l’armistizio e quindi gli accordi che porteranno ad una pace molto penalizzante, con la cessione della Alsazia Lorena e la permanenza in Francia di truppe prussiane, sino al definitivo pagamento di cinque miliardi di franchi. Il governo è impopolare e non gli giova la scelta di stabilire a Versailles anziché a Parigi la sede del parlamento.
«Il 4 settembre 1870, quando gli operai di Parigi proclamarono la repubblica… una cricca di avvocati in cerca di carriera- Thiers era il loro uomo di stato e Trochu il loro generale- prese possesso dell’Hotel de ville… Thiers, questo nano mostruoso, ha affascinato la borghesia francese per quasi mezzo secolo, perché è l’espressione intellettuale più perfetta della sua corruzione di classe». [8]
Già nel settembre 1870, a Lione, una rivolta a forte impronta anarchica ha dato vita alla Comune di Lione, immediatamente repressa. Celebre il caustico scritto di Marx:
«Il 28 settembre, il popolo si era impadronito del municipio. Bakunin vi si installò: giunse allora il momento critico, il momento atteso da tanti anni, in cui Bakunin poté compiere l’atto più rivoluzionario che il mondo abbia mai visto: egli decretò l’abolizione dello Stato. Ma lo Stato, sotto il sembiante di due compagnie di guardie nazionali borghesi, entrò da una porta che ci si era dimenticati di sorvegliare, ripulì la sala, e ricacciò in tutta fretta Bakunin sulla strada di Ginevra». [9]
Ad ottobre insorge Parigi, ma la protesta rientra dopo le promesse del governo e molti insorti vengono arrestati. A gennaio nuovo tentativo, operato da elementi blanquisti, anche questo immediatamente represso.
A marzo, dopo l’elezione di Thiers a presidente della Repubblica e la pace penalizzante, Parigi insorge nuovamente. La Comune è proclamata ufficialmente il 28.
Gli atti immediatamente assunti segnano modificazioni radicali: trasformazione dell’esercito in Guardia nazionale, cancellazione delle pigioni da ottobre ad aprile, cancellazione delle vendite di beni al Monte di pietà, tetto agli stipendi, separazione tra Stato e Chiesa, nella convinzione che la religione sia questione privata, incameramento dei beni ecclesiastici, divieto di presenza di simboli religiosi nei luoghi pubblici, soppressione del lavoro notturno. La Comune è composta da consiglieri eletti, a suffragio universale, nei vari circondari della città e sempre revocabili.
Secondo Marx, il grido: «repubblica sociale» esprime l’aspirazione a mettere da parte non solamente la monarchia, ma anche il dominio di classe. Per la prima volta semplici operai osano calpestare i privilegi dei loro superiori naturali, dando vita ad un governo della classe produttrice contro quella usurpatrice, per una reale emancipazione economica del lavoro.
Non mancano gli atti simbolici: è bruciata in piazza la ghigliottina, sono abbattute la colonna Vendome e la cappella espiatoria costruita in ricordo della morte di Luigi 16°.
«La Comune dovette riconoscere sin dal principio che la classe operaia, una volta giunta al potere, non può continuare ad amministrare con la vecchia macchina statale; che la classe operaia, per non perdere di nuovo il potere appena conquistato, da una parte deve eliminare tutto il vecchio macchinario repressivo già sfruttato contro di essa e d’altra parte deve assicurarsi contro i propri deputati e impiegati, dichiarandoli revocabili senza alcuna eccezione e in ogni momento». [10]
Questo primo assalto al cielo dura, però, breve tempo. Nel mese di maggio, le truppe del governo di Versailles entrano in città. I massacri si susseguono per giorni. Il muro dei federati nel cimitero di Père Lachaise, come scrive Engels, diventa simbolo dell’odio e della follia cui perviene la classe dominante quando il suo potere è messo in discussione ed il proletariato osa far valere i propri diritti.
«Il filisteo socialdemocratico recentemente si è sentito preso ancora una volta da salutare terrore sentendo l’espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Questa fu la dittatura del proletariato». [11]
L’Internazionale si oppone alla guerra (manifesto degli internazionalisti parigini del 12 luglio 1870). Nel momento in cui essa cambia natura, con il crollo di Napoleone 2°, Marx saluta la nascita della repubblica, chiedendo però alla classe operaia di evitare avventure che porterebbero alla sconfitta:
«Ogni tentativo di rovesciare il nuovo governo, quando il nemico bussa quasi alle porte di Parigi, sarebbe una follia disperata… Gli operai, con calma, con decisione profittino della libertà repubblicana per procedere con metodo alla loro organizzazione di classe». [12]
Nonostante questa valutazione realistica,
«(Marx) in presenza del movimento popolare di massa si comporta verso di esso con l’attenzione estrema di colui che è partecipe di grandi avvenimenti, i quali significano un passo avanti nel movimento rivoluzionario mondiale». [13]
La guerra civile in Francia, indirizzo del Consiglio generale più due indirizzi sulla guerra, rimane un insuperato esempio dell’analisi di Marx sui fatti storici e sulle dinamiche di classe che li condizionano. Profonda la panoramica sull’evoluzione del proletariato dal 1789 alle varie fasi della rivoluzione francese, dalla insurrezione del 1848 alla sconfitta che ha prodotto il secondo Impero, opera di avventurieri della politica e della finanza.
L’analisi materialista dei fatti storici tocca il vertice in quest’opera, come nel 18 Brumaio di Luigi Bonaparte
«Io mostro come in Francia la lotta di classe creò delle circostanze e una situazione che resero possibile a un personaggio mediocre e grottesco di far la parte dell’eroe» [14]
e costituisce modello per tutta la storiografia marxista, anche per il superamento di una applicazione schematica del rapporto struttura/sovrastruttura
La lettura prevalente della Comune, crogiuolo di internazionalisti che fanno capo a tante componenti (in particolare alla blanquista e alla proudhoniana) è quella anarchica, soprattutto sulla questione dello stato. Bakunin accusa i marxisti, i collettivisti di mascherare, dopo gli insegnamenti dei fatti francesi, le proprie reali posizioni. L’interpretazione marxista sottolinea, invece che la Comune è caduta per mancanza di organizzazione, che si sarebbe potuta estendere se fosse esistita una organizzazione, che l’entità della sconfitta pone l’esigenza del partito politico.
È del giugno 1871 la prima versione dell’Internazionale, scritta da Eugène Pottier, lavoratore manuale, comunardo, mentre è ricercato dai versagliesi. Il testo, musicato nel 1888 e adottato come inno nel 1910 dalla seconda Internazionale è molto diverso dalla versione italiana e anche da quella, splendida, ma del tutto libera, scritta da Franco Fortini. Dice Pottier:
«È la lotta finale/ uniamoci e domani/ l’Internazionale/ sarà il genere umano
In piedi l’anima del proletario!/ lavoratori finalmente uniamoci/ In piedi! I dannati della terra!/ In piedi! I forzati della fame!/ Per vincere la miseria e l’ombra/ Folla schiava, in piedi, in piedi/ Siamo noi il diritto, noi siamo il numero/ noi che non eravamo niente, siamo tutto!..». [15]
Lo scontro tra marxisti ed anarchici, tra centralisti ed autonomisti, tra autoritari ed antiautoritari caratterizza gli ultimi anni dell’Internazionale.
La fine dell’Internazionale
Già al congresso di Basilea forte è stato lo scontro fra le due tendenze, in particolare sulle questioni della proprietà fondiaria e della eredità (Bakunin ne propone la soppressione).
Il conflitto esplode però negli anni immediatamente successivi.
La guerra ha reso impossibile il congresso nel 1870 e quello del 1871 viene trasformato in una conferenza (Londra, 17- 22 settembre).
La maggioranza dei delegati, vicini a Marx, insiste sulla necessità di avere il Consiglio generale come organo dirigente ed approva la risoluzione sull’azione politica:
«Considerando: a) che contro il potere collettivo delle classi possidenti il proletariato non può agire come classe se non costituendosi esso stesso in partito politico distinto, opposto a tutti gli antichi partiti formati dalle classi possidenti; b) che questa costituzione del proletariato in partito politico è indispensabile per assicurare il trionfo della rivoluzione sociale e del suo fine supremo: l’abolizione delle classi; c) che la coalizione delle forze operaie già ottenuta con le lotte economiche deve anche servire di leva nelle mani di questa classe nella sua lotta contro il potere politico dei suoi sfruttatori;
la Conferenza ricorda ai membri dell’Internazionale che nella milizia della classe operaia il suo movimento economico e la sua azione politica sono indissolubilmente uniti». [16]
Sia i blanquisti sia i marxisti rivendicano la paternità di questa risoluzione che è molto simile ad un manoscritto di Engels scritto in preparazione del suo intervento alla Conferenza:
«Noi vogliamo l’abolizione delle classi. Qual è il mezzo per pervenirvi? Il dominio politico del proletariato… La rivoluzione è il più alto atto della politica e chi la vuole deve volere anche il mezzo: l’azione politica che prepara la rivoluzione, che educa gli operai alla rivoluzione… La politica che conta dev’essere una politica proletaria: il partito operaio non deve concepirsi come coda di un qualche partito borghese e deve invece costituirsi come partito indipendente che ha un proprio scopo, una propria politica. Le libertà politiche, il diritto di riunione e di associazione, la libertà di stampa, queste sono le nostre armi…» [17]
La posizione più netta sulla necessità di un partito strutturato viene dalla componente classista tedesca. Scrive Liebknecht ad Engels, chiarendo una interpretazione dei fatti francesi e della lezione da trarne:
«Gli operai francesi non hanno organizzazione, a parte l’Internazionale; poi sono passati attraverso una scuola rivoluzionaria che i nostri non hanno ancora conosciuto. Se i nostri operai avessero avuto una siffatta scuola, noi saremmo più avanti dei francesi e ciò grazie alla nostra organizzazione. Con un’organizzazione così efficiente, la Comune non sarebbe stata vinta». [18]
Ancora, i delegati discutono di più accuse a Bakunin. Oltre a quelle, non nuove, ma forzate, di essere spia dello zar o agente di Bismarck, pesa il rapporto con Sergej Necaev (1847- 1882), autore del Catechismo del rivoluzionario e personalità quanto mai discussa.
Non viene assunta alcuna decisione, ma la rottura con le posizioni anarchiche è sempre più prossima ed avviene nel successivo congresso dell’Aja (2- 7 settembre 1972).
Questo è preceduto da un anno di polemiche e scontri. A Sonvilier, presso Berna, viene costituita la sezione del Giura che accusa il Consiglio generale di eccesso di potere e di avere violato gli statuti. Nel marzo 1872, Marx ed Engels pubblicano Le pretese scissioni nell’Internazionale che ribadisce il ruolo del Consiglio, la centralità della lotta politica, accanto a quella sociale, accusa gli anarchici di intrighi (sono richiamati numerosi casi, tra cui quello di Necaev).
Bakunin definisce lo scritto: mucchio di immondizie.
All’Aja vengono riconfermate le risoluzioni di Londra, si ribadisce il ruolo del centro davanti alle richieste di totale autonomia dei gruppi affiliati, si arriva tra polemiche ed accuse all’espulsione di Bakunin e Guillaume, si decide il trasferimento dell’organizzazione dall’Europa a New York. Molte le accuse di comportamento autoritario rivolte dagli anarchici a Marx ed Engels.
Al di là di polemiche ed accuse spesso, dalle due parti, strumentali, nette ed inconciliabili sono le divergenze, come testimoniano alcune citazioni:
«Non si deve credere che il fatto di avere degli operai in parlamento sia irrilevante…Portare degli operai in parlamento significa assicurarsi una vittoria contro i governi, ma si devono scegliere gli uomini giusti» (Karl Marx, Londra 1871)
«Il successo in questa missione richiede un’organizzazione centrale che disciplini l’azione della classe lavoratrice e la diffonda ovunque» (Sezione di Parigi dell’AIL, 1872)
«La concezione del futuro che noi altri collettivisti opponiamo all’idea del Volksstaat è quella della libera federazione di libere associazioni industriali e agricole, senza frontiere artificiali e senza governo» (James Guillaume, congresso di Berna, 1876)
«Noi respingiamo la strategia della conquista del potere politico statale. Rivendichiamo, al contrario, la totale distruzione dello Stato, in quanto espressione del potere politico» (James Guillaume, congresso dell’Aja, 1872)
«Voler imporre al proletariato una linea di condotta o un programma di politica uniforme come l’unica via che possa condurlo alla emancipazione sociale è una pretesa tanto assurda quanto reazionaria… considerando che ogni organizzazione politica non può essere nient’altro che l’organizzazione del predominio a vantaggio delle classi e a scapito delle masse, e che il proletariato, ove mirasse a impadronirsi del potere politico, diventerebbe esso stesso una classe dominante sfruttatrice, il congresso riunito a Saint Imier dichiara: a) che la distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato; b) che ogni organizzazione di un potere politico, per quanto proclamantesi provvisoria e rivoluzionaria, per pervenire alla suddetta distruzione, non può essere che un inganno ulteriore e per il proletariato sarebbe pericolosa quanto tutti i governi esistenti oggi…» (Michail Bakunin, James Guillaume, Risoluzione del congresso di Saint Imier, 1872) [19]
Sintetiche e nette, sulle divergenze, le affermazioni di Marx ed Engels:
«Il programma di Bakunin era un pasticcio messo insieme superficialmente da destra e da sinistra: eguaglianza delle classi (!;, abolizione del diritto d’eredità, come punto di partenza del movimento socialista (sciocchezza sansimonista); ateismo come dogma imposto ai membri ecc., e come dogma principale (proudhonianamente) astensione dal movimento politico». [20]
«Bakunin ha una teoria tutta particolare, uno zibaldone di proudhonismo e di comunismo, in cui prima di tutto l’essenziale è che egli non considera come male principale da eliminare il capitale e quindi il contrasto di classe, tra capitalisti e salariati sorto dalla evoluzione della società, ma lo Stato. Mentre la gran massa degli operai socialdemocratici sono, insieme con noi, dell’opinione che il potere statale non è altro che l’organizzazione che le classi dominanti, proprietari fondiari e capitalisti, si sono dati per difendere i loro privilegi sociali, Bakunin afferma che lo Stato ha creato il capitale, che il capitalista ha il suo capitale per grazia dello Stato. Poiché dunque lo Stato è il male principale, si deve prima di tutto sopprimere lo Stato e allora il capitale se ne andrà al diavolo da solo». [21]
I democratico- radicali hanno abbandonato l’AIL, i mutualisti sono stati sconfitti, i riformisti risultano molto ridotti di numero. Con l’espulsione degli anarchici, la posizione anticapitalista è egemone. Sta di fatto, però, che è cresciuto il ruolo degli stati nazione, che il partito tedesco, strutturato e di massa, è riferimento per le altre formazioni operaie, che il ruolo dell’Internazionale è scemato. Marx afferma esplicitamente di volersi dedicare interamente al lavoro teorico (dopo avere sconfitto le posizioni di Bakunin). Il trasferimento a N. York segna il depotenziamento dell’AIL.
«Quando l’Internazionale, grazie alla Comune, diventò in Europa una forza morale, allora incominciò il baccano. Ogni tendenza volle sfruttare il successo per sé. Sopravvenne l’inevitabile sfacelo… Il congresso dell’Aja fu veramente la fine, e per ambedue le parti… Io credo che la prossima Internazionale, dopo che i libri di Marx avranno esercitato la loro influenza per alcuni anni, sarà puramente comunista e propagherà direttamente i nostri principi». [22]
L’Internazionale antiautoritaria
Gli antiautoritari, ufficialmente espulsi al congresso dell’Aja, mantengono, per alcuni anni, una propria struttura. Pochi giorni dopo l’espulsione, alcune federazioni, tra cui, maggioritarie, quelle del Giura, spagnola ed italiana, si incontrano a Saint Imier.
L’anno successivo a Ginevra, il congresso, che si definisce sesto dell’AIL, dichiara non valide le decisioni assunte da quello dell’Aja, vota l’abolizione del Consiglio generale e stabilisce la autonomia delle federazioni aderenti, ad ognuna delle quali spetta la determinazione della propria linea. Si pronuncia anche per lo sciopero generale come strumento di emancipazione del proletariato, primo segno delle posizioni anarco- sindacaliste.
I congressi successivi (1874 Bruxelles, 1876 Berna) vedono progressivamente diminuire le forze e moltiplicarsi gli abbandoni e le divisioni.
Lo stesso Bakunin, deluso, lascia alla fine del 1874; se ne vanno molti ex comunardi; altri, soprattutto in Italia, scelgono la via dell’azione diretta, tentando insurrezioni locali; altri, ancora sentono l’attrazione del socialismo organizzato.
L’ultimo congresso, a Verviers (settembre 1877) vede la presenza di soli anarchici e segna lo scioglimento dell’Internazionale antiautoritaria, anche se, per alcuni anni, continua l’attività la federazione del Giura.
Anche l’Internazionale, ufficiale, trasferita a N. York, non ha sorte migliore. Fallisce il congresso del 1873 (Ginevra), presenti i soli delegati svizzeri, l’attività è minima e il 15 luglio 1876 la Conferenza di Filadelfia vota la dichiarazione ufficiale che decreta lo scioglimento dell’AIL.
È questa, ormai, la fase dei partiti socialisti e nazionali, della sottolineatura delle specificità di ciascun paese, della valutazione per cui l’AIL è superata nella sua formula iniziale.
Bakunin , nella sua lettera di dimissioni riconosce il venir meno di un afflato rivoluzionario, il fatto che nell’AIL vi siano state troppe idee e che ora non sia tempo di idee, ma di fatti e di azioni.
Secondo le sezioni del Giura per Internazionale:
«Non si intendeva questa o quella organizzazione che raccoglie oggi una parte del proletariato… ma quel sentimento di solidarietà tra gli sfruttati che prevale nel mondo moderno». [23]
Scrivono gli antiautoritari belgi:
«Noi raduniamo le diverse categorie, dapprima sul piano locale, poi su quello federativo o nazionale, e infine su quello internazionale, lasciando ad ogni gruppo spontaneo la propria autonomia. E quando l’Internazionale sarà così organizzata, il Partito operaio autoritario perderà ogni ragione d’essere». [24]
A distanza di molti decenni, lo stesso Errico Malatesta riconoscerà che ognuno badava al proprio partito, non al movimento e che, quindi, la fine di quell’esperienza sia stata responsabilità collettiva.
La seconda Internazionale, nascerà con una sorta di compromesso: fortemente anti anarchica, ma al tempo stesso con una struttura molto federativa.
Dixi et salvavi animam meam
La tendenziale deriva riformista delle formazioni socialdemocratiche è fortemente avversata da Marx in occasione del congresso (1875) che segna l’unificazione tra le due formazioni tedesche di ispirazione lassalliana l’una e più classista l’altra.
Lo scritto critica le concessioni, presenti nel documento congressuale, fatte alla componente lassalliana ed è significativo perché qui viene approfondita la concezione della dittatura del proletariato, fase transitoria necessaria per il passaggio alla società comunista. In questa vige ancora il principio borghese per cui La legge è eguale per tutti, mentre il diritto dovrebbe tener conto della diseguale natura, dei diseguali valori sociali e quindi dei diseguali bisogni dell’uomo.
Solo la società comunista supererà l’angusto orizzonte giuridico borghese e sostituirà il principio: «da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro, con: da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo bisogno».
In questa società cadrà il momento coercitivo della legge che si fonderà su una norma morale- sociale e non puramente giuridica.
La messa in discussione di tutto il documento congressuale, legata alla definizione del concetto di classe, dimostra la preoccupazione, che pare anticipare il dibattito di fine secolo sul revisionismo, sulle possibili derive del movimento operaio.
La conclusione Dixi et salvavi animam meam è quanto mai esplicita.
Ieri e oggi
Il bilancio di questa grande esperienza non può che sottolinearne l’enorme importanza: a) per aver costituito il primo tentativo di organizzazione operaia sovra- nazionale; b) per aver affermato che l’emancipazione della classe lavoratrice non può che essere opera della stessa; c) per aver insegnato che l’emancipazione può avvenire solamente attraverso il superamento del modo di produzione capitalistico e del lavoro salariato; d) per aver ribadito il legame tra guerra e modo di produzione; e) per avere portato a livello di massa, nella coscienza e nella pratica tematiche, ancor oggi vive e drammatiche:
associazioni: «Laddove non esistono ancora associazioni di mestiere e società di mutuo soccorso, è necessario costruirle. Devono essere federate tra loro le società di tutti i mestieri e di tutti i paesi» (Karl Marx, Risoluzione al congresso di Bruxelles, 1878).
Istruzione: «Il congresso invita le diverse sezioni a dar vita a corsi di pubbliche letture su argomenti scientifici o economici, per rimediare, per quanto è possibile, alle insufficienze dell’istruzione ricevuta oggi dalla classe operaia, consapevoli che la riduzione delle ore di lavoro costituisce la condizione preliminare indispensabile di ogni effettivo sistema di educazione» (Ivi).
Guerra: «Il congresso raccomanda a tutte le sezioni, ai membri delle associazioni dei lavoratori, in particolare a tutte le classi lavoratrici in generale, di sospendere il lavoro in caso che il proprio paese dichiari guerra» (Ivi).
«Sappiamo che fino a quando esisteranno i principi di nazionalità e patriottismo, ci sarà la guerra: la guerra non è soltanto il prodotto delle ambizioni delle monarchie;… le vere cause della guerra sono gli interessi di alcuni capitalisti. La guerra è il risultato dell’assenza di equilibrio nel mondo economico e in quello politico» (César De Paepe, congresso di Losanna, 1867).
Pace e lavoro: «Il solo fatto che mentre la Francia ufficiale e la Germania ufficiale si gettano in una lotta fratricida, gli operai della Francia e delle Germani si scambino messaggi di pace… dimostra che in contrapposto alla vecchia società, con le sue miserie economiche e con il suo delirio politico, sta per sorgere una società nuova, la cui legge internazionale sarà la pace, perché la sua legge nazionale sarà dappertutto la stessa, il lavoro. Pioniere di questa nuova società è l’Associazione internazionale dei lavoratori» (Karl Marx, primo indirizzo sulla guerra franco- prussiana, 1870).
Migrazione e delocalizzazione: «Studiando le lotte della classe operaia inglese, si scorge come i padroni delle fabbriche, per resistere ai loro dipendenti, sia importino operai stranieri, sia anche facciano produrre le merci in quei luoghi dove i salari della manodopera sono più bassi. Di fronte a questo stato di cose, se la classe operaia vuole continuare la sua lotta con qualche prospettiva di successo, deve trasformare in internazionali le sue associazioni nazionali» (appello del Consiglio generale per il Congresso di Losanna, 1867).
Rifiuto del nazionalismo: «Uno dei nostri fini è di eliminare qualunque resto di antipatie e di possibili rivalità nazionali dalle menti dei lavoratori» (lettera del segretario generale, 1870).
Sezioni femminili: «la conferenza raccomanda la costituzione di associazioni femminili aggregate all’interno della classe operaia. Naturalmente la presente risoluzione non è diretta contro la formazione di sezioni composte da lavoratori e da lavoratrici» (Risoluzione Conferenza di Londra, 1871).
Rifiuto delle sette: «La prima fase della lotta del proletariato contro la borghesia è contrassegnata dal movimento settario. Esso trova la sua ragion d’essere in un’epoca in cui il proletariato non è ancora sufficientemente sviluppato per agire come classe… Le sette… sono astensioniste, estranee ad ogni azione reale, alla politica, agli scioperi, alle coalizioni, in breve ad ogni movimento complessivo» (Karl Marx, Friedrich Engels, Le cosiddette scissioni dell’Internazionale, 1872) [25]
Eppure
«Un abisso separa le speranze di quel tempo dalla sfiducia del presente, la determinazione anti- sistemica di quelle lotte dalla subalternità ideologica contemporanea, la solidarietà costruita da quel movimento operaio dall’individualismo odierno prodotto dalle privatizzazioni e dalla competizione del mercato, la passione per la politica dei lavoratori che si radunarono a Londra nel 1864 dalla rassegnazione e dall’apatia oggi imperanti… La barbarie del vigente “ordine mondiale”, i disastri ecologici prodotti dal presente modo di produzione, l’inaccettabile divario tra le ricchezze di una minoranza di sfruttatori e lo stato di indigenza di sempre più vasti strati della popolazione, l’oppressione di genere, i nuovi venti di guerra, di razzismo e di sciovinismo, impongono al movimento operaio contemporaneo di riorganizzarsi con urgenza, a partire da due caratteristiche dell’Internazionale: la poliedricità della sua struttura e la radicalità degli obiettivi da perseguire. I propositi dell’organizzazione nata a Londra 150 anni fa sono oggi più attuali che mai: per essere all’altezza delle sfide del presente, però, la nuova Internazionale non potrà prescindere da due requisiti fondamentali: essere plurale e anticapitalista». [26]
(Le immagini storiche sono tratte da Wikipedia)
Note
[1] È possibile vedere in questa teorizzazione i prodromi della futura formulazione: L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi
[2] È da notare come Proudhon derivi il proprio pensiero dal federalismo girondino, al contrario di Louis Auguste Blanqui (1805- 1881) erede delle sette settecentesche e di concezioni insurrezionaliste.
[3] Karl Marx. Lettera a F. Bolte, in Karl Marx, Friedrich Engels, Le opere, Roma, Editori riuniti, 1969.
[4] Karl Marx, , Salario, prezzo e profitto, in Karl Marx, Friedrich Engels, Le opere, cit.
[5] ivi
[6] In Frank Mehring, Vita di Marx, Roma, Editori riuniti, 1966, testo di grande importanza che ha il merito di non accettare denigrazioni aprioristiche di Bakunin. Duro, soprattutto, sulla mancanza di “spiritualità”, il giudizio di Mazzini su Marx: L’Internazionale è diretta da un Consiglio, anima del quale è Carl Marx, tedesco, uomo d’ingegno acuto, ma, come quello di Proudhon, dissolvente, di tempra dominatrice, geloso dell’altrui influenza, senza forti credenze filosofiche e religiose e- temo- con più elemento di ira, anche se giusta, che non d’amore nel cuore. In Gian Mario Bravo, Marx e la prima Internazionale, Bari, Laterza, 1979.
[7] Voce Michail Bakunin, in Filosofico punto net, a cura di Diego Fusaro.
[8] Karl Marx, La guerra civile in Francia, in Karl Marx, Friedrich Engels, Le opere, cit
[9] Karl Marx, Friedrich Engels, Paul Lafargue, Critica della politica di Bakunin, in Marcello MUSTO (a cura di), Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!, Roma, Donzelli, 2014.
[10] Friedrich Engels, Introduzione a” Le lotte di classe in Francia”, in Karl Marx, Friedrich Engels, Le opere, cit.
[11] ivi
[12] AIL, Risoluzione, 9 settembre 1870, testo scritto da Karl Marx.
[13] Lenin, La Comune di Parigi, Roma, Rinascita, 1950.
[14] Karl Marx, Introduzione a Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte.
[15] Eugène Pottier, l’Internazionale; il testo originale è riprodotto in Mathieu Leonard, La prima Internazionale, Roma, Alegre, 2013.
[16] Conferenza di Londra, Risoluzione IX, in Annie Kriegel, Le internazionali operaie, Messina- Firenze, 1973.
[17] Friedrich Engels, A proposito dell’azione politica della classe operaia, in Marcello Musto (a cura di), Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!, cit.
[18] Wilhelm Liebknecht, Lettera a Engels, in Georges Haupt, L’internazionale socialista dalla Comune a Lenin, Torino, Einaudi, 1978.
[19] Tutte le citazioni sono tratte da Marcello Musto (a cura di), Lavoratori di tutto il mondo, unitevi! Cit.
[20] Karl Marx, lettera a Bolte, 29 novembre 1871, in Karl MARX, Friedrich Engels, Le opere, cit.
[21] Friedrich Engels, lettera a Cuno, 24 gennaio 1872, ivi.
[22] Friedrich Engels, lettera a Sorge, 12 settembre 1874, ivi.
[23] In Georges Haupt, L’Internazionale socialista dalla Comune a Lenin, cit.
[24] ivi
[25] Anche in questo caso, tutte le citazioni sono tratte da Marcello Musto, lavoratori di tutto il mondo, unitevi! cit.
[26] Introduzione a Marcello Musto, Lavoratori di tutto il mondo, unitevi! cit.
Per saperne di più
Gian Maria BRAVO, La prima Internazionale. Storia documentaria,Roma, Editori riuniti, 1978
Gian Maria BRAVO, Marx e la prima Internazionale, Bari, Laterza, 1979
Annie KRIEGEL, Le internazionali operaie (1864- 1943), Messina- Firenze, D’Anna, 1973
Georges HAUPT, L’Internazionale socialista dalla Comune a Lenin, Torino, Einaudi, 1978
Mathieu LEONARD, La prima Internazionale. L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi, Roma, Alegre, 2013
Marcello MUSTO (a cura di), Prima Internazionale. Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!. Indirizzi, risoluzioni, discorsi e documenti. Edizione del cento cinquantennale, Roma, Donzelli, 2014
Nello ROSSELLI, Mazzini e Bakunin, Torino, Einaudi, 1972
Franz MEHRING, Vita di Marx, Roma, Editori riuniti, 1966
Boris NIkOLAEVSKIJ, O. MAENCHEN- HELFEN, Karl MARX, Torino, Einaudi, 1969
Karl MARX, Salario, prezzo e profitto; La guerra civile in Francia; Critica al programma di Gotha, varie edizioni.