LORENZO BARBERIS.
Ho ripreso, di recente, a viaggiare sulla Torino-Savona dopo una pausa di cinque anni. Linea Mondovì-Fossano.
Il salto di cinque anni, dal 2008 al 2013, mi ha fatto notare una cosa.
Il netto aumento dei graffiti sui treni.
Ovviamente, c’erano anche prima.
Ma ultimamente mi sembrano aumentati (magari una percezione mia).
Prima il treno con graffiti era l’eccezione; ormai è la regola.
I graffiti in quest’articolo, per esempio, li ho raccolti in un meno di un mese. E ho fotografato solo qualche graffito ogni tanto. Quelli visti sono molti di più.
Personalmente, come tutti i pendolari, amo molto poco questa forma di vandalismo, specie quando copre i finestrini e mi impedisce di ammirare il panorama (o anche solo capire a che punto del viaggio sono arrivato).
Alcune immagini sono astrattamente gradevoli, in teoria, ma non penso che i graffitari vedano le loro opere come arte. L’elemento di fondo è sempre la scritta, la Tag, che identifica l’autore o il gruppo, la Crew, che ha realizzato l’immagine. Certo le lettere sono deformate in modo così profondo (seguendo le convenzioni del genere) che possiamo anche percepirle come pure forme e colori nello spazio.
Del resto, il fenomeno del graffitismo nasce in connessione alle metropolitane. La prima forma è l’Hand Style, semplici scritte, verso il 1968, a New York (vedi http://www.subwayoutlaws.com)
Un articolo del New York Times del 1971 parla di Taki 183, il “primo writer”; nel 1973, emerge il Wild Style, che inizia ad elaborare artisticamente le scritte (vedi ad esempio il sito di Tracy168, iniziatore di questa tendenza).
Alcuni artisti si avvicinano al fenomeno. Il primo è probabilmente Basquiat, verso il 1976. Segue di poco Keith Haring, nel 1978.
Andy Warhol, il Papa della Pop Art, nota le loro opere nella metropolitana di New York, e li recluta nella sua Factory (1980).
Il fenomeno dei graffiti ottiene una notorietà sempre più vasta. Richard Hambleton, graffitista newyorkese dei primi ’80, viene citato nel famosissimo “Watchmen” (1985) di Alan Moore.
Nel 1988 Basquiat muore di eroina. Nel 1990 Keith Haring muore di AIDS. Due morti emblematiche, che pongono fine alla loro produzione, ma li trasformano in un mito. Specialmente il segno di Keith Haring diventa uno stilema universale.
In Italia il fenomeno si diffonde in modo capillare con gli anni ’90. In questi anni esce SprayLiz (1992) di Luca Enoch, fumetto che riprende i graffiti come argomento, ma anche come segno.
Gli anni 2000 hanno visto l’avvio delle esposizioni di Bansky, che ha reso nota la Stencil Art. Una forma d’arte già presente nel graffitismo, fin dai tardi anni ’60. Indubbiamente, però, gli ultimi anni hanno visto una sua maggiore diffusione.
Anche qui a Mondovì: cosa che potrebbe essere oggetto di un altro articolo.
Intanto, l’invasione silenziosa dei graffiti continua a invaderci col suo rumore visivo.
Le fotografie sono opera di Margutte