LORENZO BARBERIS.
Questo autunno si segna come decisamente ricco di eventi per l’arte monregalese. Se Museo della Ceramica e Museo della Stampa ospitano nei rispettivi ambiti esposizioni di respiro internazionale, le due cornici espositive di Breo e Piazza, Santo Stefano e Palazzo di Città, presentano l’opera pittorica di un grande del Novecento, Ottavio Mazzonis, che fornisce alla cittadinanza una preziosa occasione di conoscere un artista di grande pregio.
Nato a Torino nel 1921 dal barone Federico Mazzonis di Pralafera e da Elisa Desio Boggio, apprezzato soprano, Ottavio Mazzonis cresce nel prestigioso Palazzo Mazzonis, dov’è di casa Toscanini (e dove ora ha sede il Museo delle Arti Orientali, il MAO), e diventa precocemente un habitué del Teatro Regio. Nel 1932, a soli 11 anni, si avvicina alla pittura, e dimostra un talento così evidente che viene inviato a bottega da Luigi Calderini.
1944, Vedova da consolare
A questo periodo risalgono le prime opere in mostra, alcuni eleganti nudi femminili intrisi di raffinata sensualità, come la “Vedova da consolare” del 1944. Si tratta di nudi ancora molto corporei, per quanto eleganti, e non ancora purificati in quell’ascesi mistica che si può leggere in opere susseguenti.
Nel 1945 Mazzonis entra a bottega da un altro maestro, Nicola Arduino, uno dei migliori allievi di Giacomo Grosso, con cui si avvicina all’arte dell’affresco. Nel 1946 Mazzonis segue il maestro Arduino nel padovano; nel 1947 si iscrive al Circolo degli Artisti di Torino, di cui anche il padre – da poco scomparso – era socio.
1950, Santa Giulia
Nei primi anni ’50 si emancipa dal maestro: a questo periodo risale la magnifica “Santa Giulia” (1950), in cui appare una notevole, precoce sintesi tra il tema del femminino e quello del sacro, i due poli mistici intorno ai quali si dipana l’arte dell’autore. Santa Giulia è ancora carnale, fisica, lontana dai nudi eterei e mistici della produzione più avanzata; ma è anche, indubbiamente, ieratica nel suo supplizio divino.
1954, Palazzo Mazzonis
Nel 1951 il Maestro vende la sua prima opera e avvia così ufficialmente il suo percorso professionale. Un robusto ritratto del 1953, presente in mostra, lo effigia nello studio, intento al lavoro pittorico, granitico e corrusco: l’icona del pittore tradizionale, con una velatura d’immaginario romantico.
Nel 1954 Mazzonis affresca il soffitto del palazzo nobiliare paterno, con un primo grande ciclo pittorico murale che prelude, per certi versi, al lavoro per committenze religiose nei ’60. Panneggi aerei e nuvole come candidi broccati, in una pittura ariosa che ricorda il Tiepolo, riferimento amato dall’autore.
Dio Padre, 1963
Nel 1960 inizia anche una autonoma attività di frescante nell’ambito dell’arte religiosa, con lavori che lambiscono anche, tra l’altro, l’area monregalese.
Tra l’arte religiosa dei ’60, una pala d’altare di San Bartolomeo è realizzata per la parrocchiale di Bossea (1962), nel 1963 quella per San Pietro a Savigliano. A Mondovì è invece nel 1964, dove lavora a tempera nella cappella del Seminario vescovile, dove rappresenta un corrusco Dio Padre di cui, in mostra, è presentato lo studio preparatorio, insieme agli altri bozzetti del cantiere.
Mazzonis poi lavora ancora a Savigliano nel 1965 e nel 1968-1971, in cantieri diversi, che testimoniano del suo apprezzamento in quest’area del cuneese.
Carla, 1966
Nel mentre, Mazzonis prosegue anche la sua produzione pittorica, con ritratti femminili di grande pregnanza e maestria pittorica. Nel 1971 così Mazzonis organizza una sua prima personale, alla Galleria Fogliato di Torino; nel 1972 inizia il lavoro sulla pala d’altare del Beato Valfré per la chiesa torinese di San Filippo.
Calze Rosse, 1973
Di nuovo in personale a Torino nel 1975, alla Galleria Quaglino; con gli anni ’80 sbarca a Roma, con personale presso La Barcaccia (1981), presentato da Franco Solmi e dallo scrittore Giovanni Arpino.
Solmi, nel catalogo del 1981, coglie per primo come la ricerca di Mazzonis non si limiti a un puro tradizionalismo, ma nella sua poliedrica autenticità abbia “pagato qualche debito” anche alle avanguardie novecentesche, in particolare al simbolismo, “senza risolversi” in esse.
Nel corso degli ’80 la galleria Forni lo porta a Parigi (dove Liberation lo avvicina elogiativamente a Casanova, probabilmente per la sua mirabile propensione nel dipingere il nudo femminile), a Londra, a New York, Los Angeles, Madrid. In una mostra nella galleria Davico, nel 1982, incontra la modella-musa Silvia, che diverrà ispirazione fondamentale nell’evoluzione successiva della sua arte (sempre, ovviamente, in continuità con le esperienze precedenti).
Gli anni ’80 sono infatti anche quelli dove appare nella sua pittura un tratto più di sintesi, che parrebbe assente nella pittura precedente. Nel bel catalogo della mostra monregalese, Cottino fa riferimento a “La nube”, del 1994, come esempio di tale evoluzione, ma già “Albero nella tempesta” (1986) presenta i segni di questo nuovo tratto, meno pianamente figurativo, basato su un romantico contrasto nitido di bianchi e neri virati in un blu melanconico.
Per Cottino, come già per Solmi, non vi è in Mazzonis un “rifiuto” delle avanguardie; anzi, “la fascinazione classica è filtrata anche attraverso la profonda conoscenza” che Mazzonis ha di esse.
Per contro, anche in questa mostra monregalese, non è mancato chi ha visto in Mazzonis un alfiere di una sorta di estrema “resistenza” contro il dilagare dell’astratto e del post-moderno, contro le “minestrine riscaldate di Campbell Soup”, nella “ridotta monregalese” (che però, altre volte, ha ospitato i grandi dell’astrazione, da Picasso a Mirò a Dalì).
Al dominante viraggio blu (e blues) di questi anni rimandano anche le Melanchonie (1991), con ascendenza dureriana, magnifiche ed eteree donne sognanti, archetipo sempre più rarefatto dell’idealtipo femminile mazzoniano.
Gli “Atelier” del 1992 (anche questi documentati in mostra) fanno percepire un’arte di Mazzonis profondamente intrisa di una consapevolezza ormai anche meta-artistica, con una ricezione sempre personale non solo del moderno, ma anche del post-moderno, che genera un nuovo autoritratto dell’artista in grado di riscrivere quello di quarant’anni prima, nel ’53.
Il catalogo generale nel 1993 conta 513 dipinti e 26 sculture, oltre a 51 disegni. Ricca è anche l’attività di illustrazione libraria, tra saggi dell’economista Ricossa e studi su Nietzche.
La Nube del 1994, come colto da Cottino nel pregevole catalogo della mostra, accentua la ripresa di tratti dell’Informale palesatasi già negli anni ’80.
Ma nel 1994 fa anche a la sua apparizione il tema del Vascello Fantasma, e soprattutto quello dell’Isola Ildebranda, che rinnova il mito dell’Isola dei Morti di Böcklin, il massimo capolavoro del Simbolismo, che aveva affascinato anche il genio maligno di Hitler il quale, leggendo nell’opera qualcosa di più che una semplice opera d’arte, aveva voluto accumulare le varie versioni dell’Isola mortifera ritenendole un ultimo esempio di arte talismanica (così come il folle dittatore cercò anche di accumulare oggetti della tradizione esoterica occidentale, dal Graal alla Lancia Longini, per rovesciarne la valenza positiva nel suo culto di morte).
Il tema dell’Isola domina in particolare la produzione degli anni ’90, trasbordando anche nella mise en abime dello studio d’artista (1998).
Anche il tema religioso ha una ripresa particolarmente ricca di pathos con la fine della Decade, con opere del 1998 come l’Adultera, colta perfettamente nella sofferente umiliazione che, a differenza dei farisei, la salva.
Simmetricamente, dello stesso anno è la Chiesa trionfante ai piedi della Croce, coi Quattro Evangelisti corruschi e tetragoni a far quadrato intorno al loro vessillo. Certo, la Spada di San Paolo è il simbolo del suo martirio (come San Pietro ha la Chiave) ma unito alla posa fiera del Santo sembra anche divenire segno di una fede che tramuta vittoriosamente la Croce in Arma gloriosa. Quanto al rapace ai piedi della croce, è ovviamente il simbolo di San Giovanni (si vedono anche il leone, il toro e l’angelo) ma suggerisce anche un senso di inquietudine vagamente gotico e crow-leiano.
Particolarmente interessante a questo proposito sarebbe poter ammirare l’Apocalisse curata da Eugenio Corsini, da lui illustrata per l’editore Fogola; nel 2001, una personale intitolata “Apocalisse di Giovanni” riprende tale tema, che immaginiamo particolarmente nelle sue mistiche corde.
2003, Veronica.
2008, studio per la Cattedrale di Noto
Sempre in tema nicciano ed apocalittico, interessante anche la mostra torinese “Il crepuscolo delle dee”, nel 2007. Siamo nell’anno in cui Mazzonis viene scoperto da Sgarbi, che lo porta a Milano e poi, nel 2008, gli fa commissionare due pale d’altare per la Cattedrale di Noto, di cui l’artista realizzerà due modelli nel 2010, l’anno della morte. L’opera resta dunque, in qualche modo, il suo ultimo testamento spirituale, esposto nel 2011 alla Biennale di Venezia.
E ora questa nuova mostra monregalese, a suo modo, aggiunge un nuovo tassello alla giusta celebrazione di uno dei più interessanti, e misconosciuti, maestri dell’arte italiana del XX secolo.
(La mostra sarà visitabile dal 25 ottobre 2014 all’11 gennaio 2015)
Le fotografie (autorizzate) sono opera di Margutte