GABRIELLA MONGARDI.
Domani 10 dicembre lo scrittore francese Patrick Modiano riceverà a Stoccolma il Premio Nobel per la Letteratura 2014, “per l’arte della memoria con cui ha evocato i più inafferrabili destini umani e svelato la vita quotidiana ai tempi dell’Occupazione”.
Margutte ne recensisce il romanzo Nel caffè della gioventù perduta, pubblicato in Francia nel 2007 e tradotto in italiano da Irene Babboni, per Einaudi, nel 2010.
« Scrivere non è facile. È come avanzare sulle sabbie mobili. Si ha sempre l’impressione di sprofondare e di perdersi, ma poi all’ultimo momento, miracolosamente, si riesce ad andare avanti». Così il premio Nobel si è espresso in un’intervista a “Repubblica” di quattro anni fa.
Anche leggere il suo romanzo non è facile: ci vorrebbe come minimo una mappa di Parigi sotto gli occhi, per orientarsi nello spazio del racconto, mentre è impossibile orientarsi nel tempo, il tempo storico intendo – perché il tempo esistenziale è segnalato fin dal titolo: “la gioventù perduta”, e incessante è l’andirivieni dei personaggi-narratori tra il presente e il passato – più o meno prossimo, più o meno remoto – delle loro esistenze. Non si creda però che si tratti di un romanzo ‘senile’, nutrito di nostalgie e struggimento per un’età rimpianta e irrecuperabile: è un romanzo asciutto, impersonale, un romanzo ‘topografico’, quasi un puzzle che il lettore deve pazientemente rimettere insieme. L’autore assegna cioè al lettore un nuovo ruolo, ne richiede la collaborazione attiva per la ricostruzione della storia, partendo da fatti che nel loro insieme restano lacunosi, aperti, incompiuti nella scrittura. Il lettore deve così farsi detective, come in un giallo, per dare un senso a quello che ha letto, con l’aiuto della topografia di Parigi e di una lingua cartesiana, chiara e distinta, musicale come una partitura.
Il romanzo in realtà ha una struttura teatrale, in quanto consta dei monologhi di quattro personaggi che raccontano per quattro volte – ciascuno a se stesso – la stessa storia, quella di una giovane donna chiamata Louki, ma non è proprio la stessa storia: ciascuno conosce, della vita di quella donna, qualche particolare che gli altri ignorano, non c’è nessun punto di vista privilegiato, neanche quello di Louki, non c’è nessuno ‘che sa tutto’…
Il primo personaggio-narratore è il più esterno, quello che ne sa di meno, ma il suo racconto, come l’ouverture di una sinfonia, contiene già i temi, gli ambienti e le parole-chiave che si rincorreranno negli altri racconti: il caffè Condé come un luogo di confine, un porto che accoglie e ‘registra’ tracce di esistenze alla deriva nel mälström delle grandi città, alla ricerca della vera vita, o almeno di punti fermi -forse proprio in quelle zone neutre dove il tempo si immobilizza in una specie di eternità.
Il secondo personaggio-narratore, un investigatore privato, è forse il più vicino alter-ego dello scrittore (e del lettore): contattato dal marito di Louki per rintracciare la moglie che se n’era andata di casa due mesi prima, forse è in sindrome da burn-out e smette di cercarla, decide di proteggerne la fuga, perché «Parigi è grande ed è facile perderci qualcuno». Così lo scrittore: non ha più il potere di controllare i suoi personaggi, li lascia andare e ne fa suoi portavoce solo in maniera molto mediata e distaccata. Sarà il lettore che “rivelerà il libro a lui stesso”, come ha detto Modiano nel suo discorso di accettazione del Nobel.
Il terzo personaggio-narratore è Louki, la ragazza misteriosa intorno a cui tutto ruota, ma la sua memoria ha dei vuoti, le ritornano in mente alla rinfusa solo alcuni particolari della sua vita, e sono le strade, le piazze, i quartieri di Parigi a custodire, intatti, ricordi a cui non voleva più ripensare.
Il quarto personaggio-narratore è uno scrittore, che ama Louki e le dedica il libro sulle strade di Parigi che ha appena iniziato a scrivere: lui sa che dentro Parigi non ci sono solo zone neutre, ma anche buchi neri, frammenti di materia oscura che rende tutto invisibile, e da cui rischiamo di essere inghiottiti. E cerca di difendersi con le scienze occulte e la teoria dell’Eterno Ritorno e soprattutto con Parigi stessa, i suoi quartieri, le sue strade e le sue linee del metrò: una città enigmatica, ipnotica, ma forse in qualche modo materna e rassicurante. La vera protagonista di un romanzo secco, cronachistico e tuttavia trascinante perché capace di toccare tasti profondi, di dire, senza averne l’aria, verità essenziali: «Viviamo in balia di alcuni silenzi. […] Quando si ama veramente qualcuno, bisogna accettare la sua parte di mistero… Ed è per questo che lo si ama». Come si amano i libri. I libri da Nobel.