Nazario Pardini e la poesia
Il profumo della giovinezza
Un ricordo qualsiasi e quel giorno
pieno di luce che torna reale
a illuminare l’anima. I bei volti
che fanno giovinezza e che sprigionano
la voglia della vita. Mi guardavi
un po’ vaga e distratta
senza affrontare sul serio l’amore.
Ed io che ti perdevo. Inutilmente
restarono i tuoi occhi appiccicati
alla mia resistenza. Giovinezza:
sortivi il tuo profumo
intento ad un sorriso dolce amaro.
Ed i falò sul mare, le nottate
a cacciare la luce del mattino,
le corse a piedi nudi sulla sabbia
arroventata. E tu che mi guardavi
con aria sospettosa.
Andiamo ancora insieme in quel paese:
quello con la piazzetta in mezzo ai tigli,
quello del barettino che ci offriva
il cioccolato caldo. Andiamo, andiamo
tu ed io soli, giovinezza, andiamo.
Ritroveremo nel verde dei tigli
gli occhi fugaci della nostra Delia.
Quanto profumi ancora! Il tuo sapore
sa di mare, di campo, di verbena,
sa di gioia, tristezza, di vaghezza;
sa d’amore, d’amore sano e puro
di un tempo fisso in seno. Forse là,
là dove il cielo incontra l’orizzonte,
resistono gli sguardi
a un’aria che sapeva di speranza.
Si chiudono le imposte al mio paese;
tornano a casa i giovani, ma tu
ti trattieni con aria indifferente
sulla panchina della piazza verde
a seminare amore.
***
Ottobre
Era d’estate quando della vita
riflessero i barbagli. Allora vissi
la fantasia che esplose lucentezza.
Poi giunto è ottobre a mietere le foglie
di una stagione che ha reciso il sole.
La vigna saccheggiata lascia i resti
dell’ultimo raccolto. Muta e scarna
nei suoi colori morti mi dà il senso
di un suo perpetuo addio
(l’autunno mio trabocca di ricordi
che evadono invecchiati all’imbrunire).
Niente di più vicino, ora che freme
sulla distesa vana del mio piano
il tramonto del gelso, a me risulta
che il palpito ottobrino. Scorre languida
dei riflessi marciti sotto il platano
l’acqua che è sonnolenta. Va a scurire
all’ombra della volta abbandonata
del suo vecchio mulino. Il frutto cade
del giorno ormai maturo ed è la notte.
***
Oh terra di novembre
Si raccoglie in campagna il cimitero
dei tanti miei vicini. Oggi è novembre,
il giorno dei defunti, ed ogni anno
mi chiamano all’incontro. In mezzo ai campi,
fra le distese di terra coltrata
e all’aria fresca di sole e cipressi,
sono da voi, miei cari,
sorridenti sul marmo. Mi avvicino
alla tua effigie consunta, fratello,
per parlarti dei nostri tempi in terra.
Forse allora poco dicemmo;
presi dalla vita,
dimenticammo forse quanto breve
sarebbe stato il fascino del sole.
Ma il tuo sorriso ancor di più ricorda
la maschera al dolore. La mia voglia
è quella di restare assieme a te,
di abbracciare il tuo volto,
di parlarti di noi con il rimorso
di un silenzio passato. E tu padre,
vicino alla tua terra, le cui zolle
battesti con il maglio; e tu madre,
sempre lesta alle brine mattutine,
ascoltate dal figlio,
che veglia accanto a voi,
il pianto suo perenne ai vostri marmi.
Oh terra di novembre! Il tuo riposo
sia vigile ai miei cari. Ti respiro
ora che vanno i roghi di fascine
a perdersi lontano. E ti rivivo
novembre di dolore e di riposo.
Mi aiutano gli stecchi volti al cielo,
i campi abbandonati ai sagginali,
le gazze sopra magre prode spente,
e i canti delle tortore mi aiutano,
che lugubri rintoccano nell’aria,
a vivere la morte,
con voi, miei cari,
di questo mio novembre.
***
Non chiedermi perché
Non chiedermi perché sono venuto
a trovarti di nuovo. Sarà forse
perché qualcosa provo
ancora dentro me.
Sai!, non è molto che pensavo
all’ultimo saluto. Ti ricordi?
Era sul mare, il cielo cinerino
di un settembre un po’ stanco accompagnava
un melanconico addio. Eppure
io non credevo che un lungo patrimonio
potesse rivelarsi così fragile
come la bruma pallida d’autunno.
Il cielo si rompeva ad occidente
e il sole grosso e fervido, alla sera
di quel giorno impossibile, tingeva
il tuo volto diverso. Mi ero sperso.
Non ritrovavo più la strada amica,
la strada di una vita. Sono qui.
Non chiedermi perché. Sono venuto!
Ho ancora dentro l’anima
il sole di una sera,
il mare quasi calmo, un volto stanco,
e una bàttima lenta a misurare
un tempo troppo pigro per chi soffre.
Sarà forse l’amore. Chi lo sa.
Eppure c’è qualcosa che ha guidato
quest’animo rigonfio di ricordi
tra i fiordi del passato. Ma non chiedermi
di più. Accetta un mio saluto. E vado.
Davanti a me c’è un guado,
un guado che riporta
quest’uomo ormai attempato
all’altra sponda.
***
Contro le lune
Ho sempre fissa, padre, la tua immagine;
i nostri sogni, il cielo: prevedere
dure gelate a divorare pane,
piogge future ad annullare semi;
e brezze, e folate affilate
a recidere illusioni mai appagate.
Eppure si aspettava primavera
immaginando anche il suo profumo
nel suono nemico dell’urlo invernale.
È sempre fissa, sì!, la tua visione:
tronco scheggiato da lame
forgiate dal tempo;
fronda sfrascata da inverni ribelli;
idea appesantita
da troppe lune piene. Sì!, ti rivedo
ancora qui con me, padre immolato,
a regalarmi odori d’erbe offerte
alle frullane lucide di sole.
Sai, padre!
Qui non ci sono più terre feraci
disposte a dare vita
a mèssi generose;
fronde feconde
ad ospitare nidi da allevare.
Sulla tue terre crescono le case
abbracciate fra loro
come pietre di cava sopra storie
destinate a finire. Chiedo solo
- al cielo, a qualcuno, non so a chi -
che mi mantenga in seno la tua voce,
che mi mantenga in cuore il tuo sorriso,
il tuo sagrato profumato d’erba,
e la tua voglia, maledetta voglia,
di seminare sogni anche nei giorni
più neri della notte.
Contro le lune.
***
Francesca
Francesca mi parlava sulla rena
infuocata dal sole dell’estate.
Mi parlava del mare, della vita,
delle colline verdi che accendevano
i loro abbrivi in cuore al blu del cielo.
Mi diceva Francesca dei suoi sogni,
della sua casa candida assediata
da boschi e girasoli. La campagna
l’aveva dentro il cuore. E la vedeva
anche in quel mare inquieto e sconfinato
- ci si sperdeva libera -.
“È verde il mare come la mia avena”,
mi diceva Francesca. E delle assenze
mi parlava: di quella di sua madre.
Del dolore, del pianto, ma dagli occhi,
schegge di rara giada, le schizzavano
le parole non dette. Poi un bel giorno
mi raccontò di un sogno – le tremavano
le labbra e ed i pensieri -: “Fui rapita
e trasformata in una nube bianca.
Fui trasferita in cielo in compagnia
del brillio delle stelle e dell’azzurro.
Sì!, proprio là restai tutta la vita;
fra l’assenza dei mali e dei dolori;
spersa nell’aria pura dell’eccelso”.
Un giorno il sole a picco dell’agosto
forava l’ombrellone. Ed io attendevo.
Mi mancavano già
i sogni, le parole,
il suo tremore,
le mosse sensuali delle labbra,
quei gesti di fanciulla un po’ innocente,
disposta a rovesciare sulla rena
- calda d’estate – l’anima serena
e il suo futuro. Mi mancava Francesca.
Mai più la vidi. Mi dissero di lei…
Realizzò il suo sogno. Volò in cielo.
Un’altra stella in più in cuore all’azzurro.
Od una nube bianca che volteggia
libera, Francesca, verdi gli occhi,
color di cioccolata la sua pelle.
LA MIA POETICA
Mi sono avvicinato alla poesia fin da piccolo, da quando avevo 11 anni, perché mi emozionavano i versi dei grandi poeti; ed io spesso gridavo, davanti ad un tramonto, per sprigionare tutto il mio magma interiore, che sentiva forte il bisogno di uscire.
Posso parlare di evoluzione della mia linea, ma non certo di stravolgimento. Di sicuro, misurando la cifra poetica dei primi volumi – Foglie di campo. Aghi di pino. Scaglie di mare, L’ultimo respiro dei gerani, Il fatto di esistere, Elegia per Lidia, Gli spazi ristretti del soggiorno, La cenere calda dei falò, Suoni di luci ed ombre,… – con le ultime produzioni, penso che da un verso libero, pur tendente sempre alla musicalità (uno dei principi cardini della mia poetica), mi sia sempre più orientato verso una struttura classica, in cui il mito, fortemente umanizzato ed attualizzato, ha sempre giocato un ruolo determinante nel processo ispirativo che mi riguarda. Il mito come simbologia degli intrighi delle vicissitudini umane. Mito come ipostasi della vita. Anche se la ricerca di un equilibrio classico fra figurazioni significanti e abbrivi emotivi è sempre stata nelle mie corde; magari su un tessuto più narratologico con impiego di endecasillabi spezzati a centro verso e inanellati da ripetuti enjambements a evitare il rischio di una lettura cantilenante a cui si va incontro con quel metro. I contenuti sono sempre stati più o meno gli stessi: meditazione, memoriale, panismo simbolico, input emotivo-esistenziali sui perché dell’essere e dell’esistere, coscienza della caducità del luogo e del tempo, immaginazione, azzardi iperbolici oltre il limen in cui siamo racchiusi, eros e thanatos, inquietudine e saudade, realismo lirico. Sì, il rapporto con la morte mi ha sempre coinvolto in maniera misterica e inquietante. Ma su tutto una grande simbiotica fusione con la natura, quella dei miei posti, quella che contiene tutte le mie primavere, vista come decantazione e concretizzazione dei miei stati d’animo. Sentimento, però, traslato in oggettivanti motivazioni. Penso che quest’ultimo sia il filo conduttore che determina, in qualche maniera, l’organicità delle mie opere con una evidente icastica presenza. Una cosa è sicura. Ho sempre creduto nel sentimento e in una poesia nata da forti subbugli emotivi, controllati però da argini ben solidi di ricerca verbale e stilistica. Non credo ad una poesia intoccabile, ma in un lavoro continuo di limatura della parola e dei suoi nessi. E che alla base del canto ci siano proprio le emozioni, senza ordine, libere, sbrigliate così come nascono, senza bisogno né di limiti né di restrizioni. Semmai è la ragione agli antipodi della poesia. È essa che toglie spazio all’immaginazione e che cerca di limitare e frenare le cospirazioni di un cuore e di un’anima vòlti oltre gli spazi delle ristrettezze umane. E il passato è importante. Senza passato non c’è futuro. Non si deve escludere niente, ma bisogna dare continuità e consistenza al nostro bagaglio culturale. Dacché sarà quel bagaglio con il suo peso etimo-fonico e memonico a costituire la plurivocità del canto, il nerbo sostanziale del dire artistico. La Poesia con la “P” maiuscola non ha tempo, un canto di Saffo è tanto Bello quanto un idillio del Leopardi, o una poesia di Montale. I principi basilari di una buona resa poetica sono la musicalità, il sentimento, l’immaginazione, il memoriale, e il panismo simbolico, che dà corpo agli input emotivi. Non c’è poesia in un verso che stride all’orecchio e all’anima. La musica è nata con l’uomo che, fin dagli albori, ha mosso i primi passi ad un ritmo in lui innato. L’ha fatto inventando strumenti primordiali, battendo ossa di animali su pietre o legni essiccati; è stata quella sonorità, quell’armonia di cui ebbe ed avrà sempre bisogno a farlo umano. Chi tradisce questa sinfonia tradisce ogni forma di attività artistica. Il verso non si può permettere di andare a capo a piacimento. O di copiare la realtà così com’è. La creatività sta tutta nella rivisitazione che la traduce in immagine.
Nazario Pardini
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Bio-bibliografia
Nazario Pardini è critico letterario, saggista, blogger, poeta, laureatosi in Letterature Comparate e successivamente in Storia e Filosofia, è inserito in Antologie e Letterature. Per citarne alcune: Delos (Autori contemporanei di fine secolo) edita da G. Laterza, Bari 1997; Antologie Scolastiche Poeti e Muse edite da Lineacultura, Milano 1995, 1996; Escursioni Letterarie Blu di Prussia, di E. Rebecchi, Piacenza 1997 e 1998; Antologia Poetica Campana di P. Celentano, A. Malinconico, e Bàrberi Squarotti, Pagine, Roma 1999; G. Nocentini, Storia della letteratura italiana del XX secolo; S. Ramat – N. Bonifazi – G. Luti, Dizionario Autori Italiani Contemporanei; Ferruccio Ulivi, Neuro Bonifazi, Lia Bronzi, Dizionario degli autori italiani del secondo novecento; L’amore, la guerra, a cura di Aldo Forbice, Rai – Eri, Radio Televisione Italiana, Roma, 2004 [...]. Ha pubblicato 27 opere fra poesia, narrativa e saggistica (tutte premiate), fra cui un volume di critica su Autori contemporanei: Lettura di testi di Autori contemporanei, Milano, 2014, pp. 800. Moltissimi i premi letterari vinti, fra cui nella terna (Baudino, Mussapi, Pardini) al Premio Pisa 2000 con l’opera Alla volta di Leucade. Hanno scritto di lui critici famosi, fra cui: M. Luzi, G. Luti, V. Vettori, D. Carlesi, S. Guerrieri, P. Ruffilli, N. Di S. Busà, G. Giacalone, L. F. Accrocca, B. Sablone, A. Piromalli, S. Ramat, V. Esposito, Malinconico, E. Rebecchi, A. Nazzaro, A. Spagnuolo, Bàrberi Squarotti, L. Bruno, A. La Rocca, C. G. Lapusata, P. Celentano, B. Marniti, N. Bonifazi…, e riviste specializzate, fra cui “Poesia”. Il “Città di Pontremoli”, il “Libero de Libero”, il “Micheloni”, il “Mario Tobino”, il “Poseidonia Paestum”, il “L’arte città amica, Torino”, il “Tulliola, Renato Filippelli”, con motivazione di Ugo Piscopo, l’“Aeclanum” … sono i Premi Letterari vinti nell’ultimo anno. Numerosi i Premi alla carriera per alti meriti letterari. È fondatore, curatore, e animatore di “Alla volta di Leucade” (nazariopardini.blogspot.com), importante blog culturale, punto d’incontro della comunità letteraria nazionale e non solo, a cui partecipano gli autori più quotati della poesia, della saggistica e della narrativa contemporanee.
Il 9 maggio 2013 presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana è stata conferita la Laurea Apollinaris Poetica 2013 «a cinque tra i massimi Poeti italiani contemporanei. Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato dal Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana, prof. Carlo Nanni, ai poeti Liana De Luca, Ninnj Di Stefano, Dante Maffia, Nazario Pardini ed Elio Pecora. La celebrazione di Laurea ha avuto luogo nell’Aula CS1 alle ore 17.30 alla presenza della Giuria, costituita dal prof. Orazio Antonio Bologna, Presidente di Giuria (UPS, Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche), dalla prof.ssa Neria De Giovanni (Università degli Studi di Sassari) Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari, dalla prof.ssa Cristiana Freni (UPS, Facoltà di Filosofia), dalla prof.ssa Giusi Saija (UPS, Facoltà di Scienze di Comunicazione sociale) e della Poetessa Serena Siniscalco Presidente del Premio Milano-Streghetta. Oggi detta Laurea rappresenta il massimo livello conferito a Poeti italiani di alto merito. Pertanto si propone come pista di lancio per un auspicabile Premio Nobel per la Letteratura» (Il Rettore Prof. Carlo Nanni).
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nazariopardini@virgilio.it
La fotografia di copertina è di Bruna Bonino.