ATTILIO IANNIELLO
Si assiste in questi ultimi anni ad una crescita, per ora elitaria, di esperienze che puntano ad una nuova agricoltura, nuova ma con radici antiche, con l’intelligente consapevolezza che occorre salvaguardare quanto di buono vi è nella cultura rurale dei diversi territori in cui si vive.
In particolare sono le terre alte, colline e montagne, ad avere la necessità di salvaguardare la presenza di imprenditori agricoli, soprattutto proprietari di medie e piccole aziende.
La loro sopravvivenza viene messa in forse dalle nuove forme di distribuzione.
La Grande Distribuzione Organizzata infatti esercita un controllo «ad ampio spettro che va dalla capacità di indirizzare gli acquisti dei consumatori (e quindi il mercato) a quello di decretare la vita o la morte delle imprese fornitrici, soprattutto delle più piccole. Il fatto di detenere in Italia oltre il 90% delle superfici di vendita implica che la quasi totalità del prodotto venduto (in particolare per il food) passi per quegli scaffali». [1]
Questo modo di promuovere il mercato alimentare implica una standardizzazione dei prodotti e dei consumi che penalizza interi territori, in particolare quelli marginali e lontani dalle grandi vie di comunicazione.
Questa realtà ha contribuito a far nascere in una parte dell’opinione pubblica la presa di coscienza che se si vuole salvaguardare il proprio territorio occorre modificare le proprie abitudini di consumo.
«Anche se gli Ipermercati continueranno per molto tempo a veicolare la stragrande maggioranza del prodotto alimentare, sempre più persone rivolgono l’attenzione a strutture alternative. Lo dimostra l’aumento della vendita diretta per i prodotti ortofrutticoli, il proliferare di mercatini della domenica, l’evoluzione incredibile dei GAS [Gruppi di Acquisto Solidali]. […] Sono sempre di più i gruppi di agricoltori che organizzano mercatini autogestiti anche nelle grandi città del Nord come forma di resistenza ai mercati generali e alla grande Distribuzione. Lo scopo non è solo quello di guadagnare qualcosa in più… ma anche di avviare un dialogo contadini-cittadini…». [2]
Una presa di coscienza che vuole inoltre salvaguardare, per quanto possibile, insieme all’attività agricola delle piccole e medie aziende rurali anche il paesaggio e la biodiversità: «Il mondo può essere nutrito solo nutrendo tutti gli esseri che lo costituiscono. Dando cibo ad altri esseri e specie, alimentiamo le condizioni necessarie per la nostra sicurezza alimentare. Nutrendo i vermi della terra nutriamo noi stessi. Nutrendo le mucche nutriamo il suolo e, fornendo cibo al suolo, lo forniamo agli esseri umani. Questa visione di un mondo di abbondanza si basa sulla condivisione e su una profonda consapevolezza degli esseri umani come membri della famiglia terra. La consapevolezza che impoverendo altri esseri impoveriamo noi stessi e che nutrendo altri esseri nutriamo noi stessi è il fondamento della sostenibilità». [3]
Profondamente convinto della necessità di difendere il territorio dell’Alta Langa e dell’Alta Valle Tanaro da un ulteriore spopolamento, Paolo Canavese, conduttore di un piccolo ma importante macello di Priero, ha deciso di promuovere una sorta di rinascimento agricolo che sappia valorizzare questo angolo rurale della provincia cuneese: «Poiché abito e lavoro a Priero ho avuto modo di vedere quanto sta succedendo in questo territorio – spiega Paolo Canavese –. nel comune di Priero infatti fino a qualche anno fa c’era un certo numero di capi di bestiame; ora vi è un’unica stalla. Questa realtà è estremamente negativa. Se si perdono queste piccole aziende agricole si perde tutto l’indotto che queste mantengono in vita. Diminuiscono quindi anche le piccole botteghe, i piccoli luoghi di ritrovo. La qualità della vita delle borgate di questo territorio diminuisce. Io lavoro prevalentemente con piccoli macellai e piccoli allevatori di bestiame; ebbene anno dopo anno questi diminuiscono: sembra che sia inevitabile che i piccoli debbano lasciare il posto ai grandi macellai, ai grandi allevatori. Se questa tendenza continuasse anche la mia azienda sarebbe costretta a chiudere. Ho deciso di non assistere passivamente a tutto questo. Penso che si possa dare il via ad un cambiamento di rotta. E per fare questo ho iniziato a cercare agricoltori, allevatori che hanno i miei stessi desideri: far rivivere questi territori riproponendo, ovviamente aggiornandoli e migliorandoli, metodi di allevamento che si usavano nel passato; riproponendo un ceppo di bovini piemontesi, quelli col mantello color del grano maturo, che una volta popolavano le nostre stalle, ricollocando l’agricoltura nell’ambito dell’ecosostenibilità, del contrasto al land grabbing [4] locale e internazionale; ricoltivando la terra che in certe zone pedemontane o collinari è stata abbandonata o trascurata da proprietari che avendo raggiunto una certa età non sono più in grado di curarla; impiantando coltivazioni che possano integrare in modo positivo l’alimentazione del bestiame oltre il classico fieno».
«Quest’ultimo aspetto è importante», aggiunge Paolo Canavese. «Oggi si usano spesso i mangimi: il fattore di conversione mangime carne è di uno a 10, cioè per fare un chilo di carne l’animale deve consumare 10 chili tra fieno mais grano e così via. Il problema è che oggi la maggior parte dei mangimi in commercio contengono soia transgenica perché è quella che ha la più alta resa per l’ingrasso. Facciamo viaggiare navi con la soia transgenica che poi diamo alle nostre bestie. Tutto ciò non ha senso. Non ha senso neppure la concentrazione di grandi allevamenti in pianura, i quali utilizzano per il fieno ampie zone pedemontane ma non vengono a smaltire il letame in queste zone impoverendole in fertilità; il letame spesso lo utilizzano per la produzione di biogas. Allevare nei nostri territori vuol dire recuperare i territori stessi, far ripartire un’economia rurale che possa permettere anche ai giovani di tornare alla terra con una remunerazione adeguata. Occorre anche valorizzare i prodotti di questi territori, facendo prendere coscienza ai consumatori del valore aggiunto che tali prodotti portano con sé».
In questo percorso di costruzione di una nuova ed innovativa fase dell’agricoltura dell’Alta Langa e dell’Alta Valle Tanaro Paolo Canavese ed altri allevatori della zona hanno trovato il pieno appoggio di Silvio Chionetti, vice direttore della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) di Cuneo: «L’agricoltura è una risorsa inestimabile per le sue implicazioni economiche, sociali, ambientali e territoriali. Un semplice slogan? A confutazione di questa eventuale asserzione stanno una molteplicità di elementi, indiscutibili: non è forse l’agricoltura il comparto in grado di garantire l’approvvigionamento alimentare, attraverso sistemi produttivi rispettosi dello spazio rurale, del paesaggio e delle risorse naturali, capace di assicurare opportunità occupazionali nelle aree rurali, che portano il settore ad essere, anche nella difficile fase storica che stiamo attraversando, un non trascurabile ammortizzatore sociale naturale? Semmai dobbiamo constatare come l’agricoltura, che diffusamente nel nostro Paese caratterizza prodotti e sistemi produttivi, territorio e paesaggio agrario, riscontri la necessità di essere conosciuta di più, vada maggiormente tutelata con azioni e politiche appropriate e, proprio per evitare commenti superficiali frutto di disinformazione, debba essere pienamente inserita nel contesto dello sviluppo del Paese. E con essa i protagonisti autentici del comparto, gli agricoltori. Sono essi, infatti, che – con la loro organizzazione aziendale e sociale – danno vita al territorio rurale rendendolo unico. Purtroppo dobbiamo amaramente rilevare che l’attività agricola, in questi anni, si svolge in un contesto particolarmente difficile, che si presenta con peculiare complessità nel nostro Paese. Non sono forse i redditi agricoli ad essere principalmente colpiti a causa delle difficoltà di mercato e della inadeguatezza delle specifiche politiche? Ed è proprio questa una delle ragioni, se non la principale, del difficile ricambio generazionale, fondamentale garanzia di prosecuzione dell’attività. Il leit motiv ricorrente tra i giovani è proprio quello che essi non vedono nell’agricoltura valide prospettive economiche, con l’aggravio delle storiche difficoltà: la scarsa mobilità fondiaria, la debolezza di servizi qualificati di formazione e consulenza, gli scompensi nella filiera agroalimentare. Per salvare la nostra agricoltura, per assicurarle un futuro è indilazionabile la risposta alle richieste puntuali che i giovani agricoltori formulano da anni, da troppi anni, e che si compendiano nell’esigenza di un più facile accesso al bene “terra”, nella difesa del suolo dalla cementificazione, in concreti sostegni creditizi, tutti elementi indispensabili per garantire il non più rinviabile ricambio generazionale, consentendo l’immissione di capacità fresche e dinamiche. Non c’è da perdere altro tempo, bisogna ricercare un nuovo cammino da percorrere per incentivare i giovani nella prosecuzione di questa attività che ha un grande potenziale di sviluppo».
Intorno alle idee di promuovere un’agricoltura sostenibile, rispettosa dell’ambiente, del paesaggio e della cultura delle comunità rurali principalmente dell’Alta Langa e dell’Alta Valle Tanaro poco per volta si riunivano diversi allevatori, affiancati da alcune persone che pur non essendo agricoltori sostenevano i valori della nuova ruralità. Insieme decidevano di costituire un’associazione per meglio contribuire all’affermazione, anche pratica, delle idee sostenute.
Il 17 ottobre 2012 a Mondovì, nella sede della Confederazione Italiana Agricoltori, ubicata nello storico palazzo di proprietà del Comizio Agrario monregalese, in piazzale Ellero n. 12, veniva costituita l’Associazione “La Piccola” [5] avente per scopo soprattutto «la sensibilizzazione e valorizzazione delle qualità dei bovini di razza Piemontese, dei suoi prodotti derivati e di tutte le produzioni agricole ed alimentari che gli Associati producono, o decideranno di produrre nelle proprie aziende agricole, o che siano trasformate in ambito locale da altri Associati. Tutto questo deve essere svolto perseguendo la tutela della salute dei consumatori, del benessere animale, della salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio e della cultura di tutto il territorio rurale in cui operano le aziende agricole associate».
Il primo Consiglio direttivo veniva formato da Paolo Canavese, presidente, Laura Cappellino e Massimo Albesano, membri.
Iniziava così l’impegno della nuova associazione a favore del rilancio umano, sociale, culturale ed economico del territorio rurale dell’Alta Langa e dell’Alta Valle Tanaro in cui si incastonano le aziende degli associati.
http://lapiccolallevatori.it/index.html
Note
[1] Cfr. Guidi Guido, Tra produttore e consumatore, in “Eurocarni” n. 2-2012.
[2] Ibidem.
[3] Cfr. Vandana Shiva, Dalla parte degli ultimi, Slow Food, 2008, pag. 83.
[4] Per land grabbing si intende l’acquisizione incontrollata di terre da parte di compratori, speculatori. Se il termine è stato utilizzato per la prima volta nel corso di una dichiarazione di esponenti della FAO a Tirana il 27 maggio 2011 a proposito di Paesi poveri, il fenomeno di acquisto di terre e di affitto di pascoli da parte di grandi allevatori anche nel nostro Paese ha effetti negativi sulla sopravvivenza di piccoli allevatori e margari.
[5] Il nome dell’associazione (“La Piccola”) fa riferimento alle dimensioni dei bovini di razza Piemontese col mantello “color del grano maturo”, che si sono adattati alle dure condizioni collinari e montane. Inoltre il nome dell’associazione vuole confermare la presenza di tali bovini su un territorio che per essere ecosostenibile deve rimanere legato a “piccole” dimensioni: piccole stalle, piccole botteghe, piccola distanza dai consumatori.