Intervista a Lilly Manassero
SILVIA PIO (a cura)
L’urlo nel pozzo, 2009, Soltanto un uomo, 2010, Una verità inutile, 2014, tutti editi da Araba Fenice, Boves (CN). Quali aspetti accomunano i tuoi romanzi e quali li rendono diversi?
Se dovessi dire l’aspetto che accomuna tutti i miei romanzi è il legame profondo, viscerale con la terra. Le colline delle Langhe viste da diverse prospettive. Altro elemento costante è la famiglia, quella fornace di sentimenti intensi, capaci di produrre dolorose fratture, come di ricomporle. Ciò che invece li distingue sono le diverse epoche in cui sono ambientati e i tratti caratteriali dei protagonisti.
In L’urlo nel pozzo una giovane che abita ad Alba scopre nella casa di famiglia in Alta Langa segreti dolorosi che riguardano sua madre e suo padre. In Soltanto un uomo una donna ripercorre a ritroso la storia di un amore ambientata tra Alba, le Langhe e Torino. Qual è la protagonista a cui sei più legata e perché?
In modo diverso ho amato entrambe, ma devo ammettere che Secondina, la protagonista di Soltanto un uomo, mi ha coinvolto profondamente. Ho visto in lei l’eroina di altri tempi. La ragazza che si innamora perdutamente del suo principe azzurro e che pur dovendo pagare a caro prezzo il peso di quell’amore, ne difenderà la bellezza dalla prima all’ultima pagina.
In Una verità inutile la voce narrante è quella di un uomo, che visita le Langhe per la prima volta in seguito alla morte del padre, emigrato in Francia, e trova pezzi della storia di famiglia e molto altro. Come mai hai scelto di far parlare un uomo?
Si è trattata di una sfida con me stessa. Mi incuriosiva entrare nei panni di un uomo, confrontarmi con diverso modo di agire e ragionare.
Riesci ad individuare una pagina in ciascun romanzo che in qualche modo lo definisce, una pagina da ricordare?
Da L’urlo nel pozzo:
«Non dico che questa scalinata sia storica. Anche perché credo proprio non lo sia. Io però l’ho sempre vista e percorsa per salire alla piazza della chiesa. Ma come molti luoghi di questo paese, dopo quell’estate anche questa scalinata ha assunto un significato ed una valenza diversi. Ogni scalino su cui poso il piede è un dolore piantato nel petto, tagliente e duro al pari di questi gradini mangiucchiati dal passaggio di troppe suole.
I nostri dolori ci rincorrono con la loro sottile cattiveria. Non capita mai che non ci trovino, conoscono sempre il nostro indirizzo. Usano mappe dettagliatissime e sofisticati metodi di ricerca. Guardano dall’alto e vedono tutto.
Vedo cespugli di fiori impegnarsi a rifiorire ad ogni estate lungo i margini dei gradini. L’allungarsi impercettibile e costante degli alberi presenti sulla collinetta che ripida degrada nella strada sottostante. Quante volte mi addentravo tra gli alberi a cercare le pigne camminando furtiva sul tappeto di aghi secchi, quasi fossi una ladra di tesori! E quante volte la mamma mi raccomandava di stare attenta a non sporcarmi il vestito pulito che mi aveva fatto indossare per la nostra passeggiata in paese. Poi continuò a dirmelo mio padre e qualche volta anche Paolo. Perché quel vizio di andar per pigne, non lo persi nemmeno quando lei morì. L’estate seguente alla sua tragica fine, quando papà si decise a ritornare a villa Adriana unicamente per rivedermi sorridere, nelle nostre uscite in paese mi rituffai ancora tra gli alberi alla caccia di pigne. In cerca di lei. Dell’estate passata. Quando sembrò stare meglio, riprendere colore e vitalità ed invece era tutta una farsa. Fumo buttato nei nostri occhi distratti. Sapeva che non ci sarebbe stato un autunno? Una Fiera del Tartufo? Lo decise qui? O partì da Alba con quel piano in testa? Finirò mai di chiedermelo?»
Da Soltanto un uomo:
«In quel mattino si concludeva una stagione della mia vita. Nell’emarginazione forzata si evinceva tutto il rifiuto e la durezza con cui la mia famiglia prendeva le distanze da me e da quanto mi stava accadendo. Mi lasciavo alle spalle non soltanto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, ma soprattutto l’illusione di credermi amata al di sopra degli eventi e delle circostanze. Evidentemente non era così, l’amore della mia famiglia si era dimostrato gravato dal peso di una cultura rigida e limitata, in cui non venivano contemplate cadute ed errori.
Rimaneva Lorenzo. Il suo animo buono e sensibile non gli avrebbe mai permesso di abbandonarmi in un frangente così delicato. Dovevo accontentarmi e farmelo bastare.
Sulla corriera nessuno dei due parlò. Eravamo come impietriti, murati in un silenzio senza eguali. Intorno a noi le colline scivolavano via: immagini di un film muto, pieno di malinconia. La mia terra sembrava non trovare parole per salutarmi, per assicurarmi che sarei stata ancora ben accolta quando mi fossi sentita pronta a tornare. Rubai spicchi di prati, chiazze di bosco, cinture di strade per tenerle negli occhi nel tempo a venire.»
Da Una verità inutile:
«Difficile per me immaginare un tempo in cui queste mura ormai sventrate erano state abitate, in cui i coppi ora frantumati a terra avevano custodito vite e segreti.
Fatico a figurarmi mio padre in questo buco di mondo dimenticato da Dio e comincio a capire perché abbia voluto andarsene. Quali prospettive gli si potevano mai aprire quaggiù? Spaccarsi il cuore e la schiena su pochi rettangoli magri di terra e maledire ogni istante del suo destino. No! Molto meglio la fuga.»
Da dove vengono le tue storie?
Le mie storie vengono da lontano e da vicino, da dentro e da fuori. Il mondo esteriore è fonte continua d’ispirazione, così come lo è quello interiore. Trovare la giusta alchimia è frutto di una ricerca laboriosa e non sempre indolore, tuttavia indispensabile affinché una storia risulti fantasiosa e allo stesso tempo realistica.
Stai scrivendo altro?
Attualmente sto lavorando al quarto romanzo. Sono alla terza, forse quarta stesura, perché prima di arrivare a quella definitiva, si lavora con pazienza correggendo e correggendosi più volte.
Di Lilly Manassero su Margutte:
La corte di neve
L’uomo con il sacco del pane
Il nonno
Nella vita non si torna mai a capo, due poesie